Jacovitti il fumetto italiano

Benito Jacovitti, tra fumetto e pubblicità.

Alessandro SottileBLOG 27 Comments

Oggi è San Giuseppe e si celebra la Festa del Papà, una ricorrenza che in questo marzo 2020 ricorderemo tutti per il clima surreale che stiamo vivendo, per la clausura forzata nelle nostre abitazioni a causa del rischio di contagio del Covid-19, che da un mese sta mettendo a dura prova il nostro Paese e la nostra salute (consentiteci di dire fisica e mentale).

Per rompere la monotonia, proviamo a strapparvi un sorriso ricordando in questa giornata particolare Benito Franco Giuseppe Jacovitti, uno dei nostri maggiori disegnatori di fumetti, nato il 9 marzo 1923 a Termoli.

Jacovitti, autore di personaggi e storie dalla caratteristica sintesi figurativa e linguistica, per il suo taglio illustrativo controcorrente, per le geniali trovate iconografiche ha fatto scuola e avrebbe meritato attenzioni e riconoscimenti maggiori durante la sua carriera di disegnatore (ci lasciò il 3 dicembre 1997).

I più anziani lo ricordano in modo nitido come uno dei principali disegnatori de Il Vittorioso, tanti per il Diario Vitt, per le strisce cariche di salumi e lische di pesce parlanti e, soprattutto per Coccobill, il pistolero che beve camomilla, apparso il 28 marzo 1957 su Il Giorno dei Ragazzi, ma Benito Jacovitti disegnò a partire dagli anni Trenta decine di characters che hanno fatto la storia del fumetto italiano: il Trio Pippo, Pertica e Palla, il criminale Zegar, poi Gionni Galassia, Tom Ficcanaso, Baby Tarallo, oltre a numerose illustrazioni per classici della letteratura come Pinocchio.

Jacovitti era un uomo che non scendeva a compromessi, una sorta di anarco-liberale che pagò nel corso della sua carriera di fumettista la totale lontananza dagli ambienti della contestazione di sinistra degli anni sessanta/settanta e un certo conformismo di quella sinistra vicina ai movimenti studenteschi che oggi definiremmo radical-chic.

Accusato di fascismo per alcuni fumetti pubblicati su Il Corriere dei Ragazzi e osteggiato dai lettori di Linus, fu costretto a concentrarsi prevalentemente sulle illustrazioni e sulle storie brevi come Zorry Kid.

Fu costretto a interrompere la collaborazione anche con l’ala più bacchettona dei cattolici de Il Giornalino dopo la pubblicazione del Kamasultra, un capolavoro di arte comica ed erotica dissacrante, provocatorio, ricco di riferimenti alti e bassi.

Leonardo Gori sostiene che “la sua più grande sfortuna è stata quella di essere nato tra noi. Se fosse nato in America, hanno detto in tanti, sarebbe diventato il rivale numero uno di Walt Disney”.

Quando disegnava i suoi fumetti, non usava sceneggiature e plot narrativi, al contrario i dialoghi e i disegni nascevano contemporaneamente; riusciva con naturalezza a comporre le sue tavole arricchendole man mano di particolari, di segni, di linee a pennino in cui improvvisazione e rigore compositivo si incrociano alla perfezione: piedi, dita, salami, vermi, ossa, pettini, lische, spuntano all’interno delle sequenze con piena forza iconica e narrativa.

Jacovitti è stato anche uno dei più prolifici “reinventori” della lingua italiana, sapeva lavorare sul pastiche linguistico senza mai avere la necessità di appesantirsi con citazioni colte, adottava la leggerezza per rivolgersi ai propri lettori con invenzioni fantastiche e dialettali, intrecciava con sapienza artigianale le parodie italiane del Far West di Ugo Tognazzi e Raimondo Vianello, con lo stile narrativo tipico del fumetto comico italiano degli anni Trenta.

Oggi Benito Jacovitti avrebbe compiuto 97 anni, noi di Garage abbiamo approfittato della Festa del Papà per ricordare uno dei maggiori maestri del fumetto italiano del Novecento, anche perché amava lavorare nel campo della pubblicità; dagli anni Cinquanta i suoi personaggi a fumetti fecero da testimonial per i gelati Eldorado con Cocco Bill coniando anche il claim El Gelato Revolusionario!, per i Caroselli della Rai, per la Facis con Pecor Bill, per l’Olio Teodora con Zorry Kid e ancora per i salami Fiorucci, per i formaggini Mio con il gatto Maramio, per la KitKat e per l’Enel.

Realizzò molti disegni per la Ferrero e per la Nestlé.

Rileggere oggi Jacovitti significa conoscere il recente passato dell’Italia, comprendere a fondo un autore fondamentale della storia del fumetto che non si è mai prestato a conformismi, alle mode contestatarie, agli aggiustamenti di comodo.

 

 

 

Alessandro Sottile
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Comments 27

  1. Ancora una volta le mie parole scritte e prima pensatesu Jacovitti e la sua vita pubblica e quella segreta, appaiono non in ordine di battitura, in modo tale da dar l’impressione – poi, chissà forse è reale- che il sottoscritto sia un mezzo rimbambito che balbetta a caso cose senza capo e neppure coda.
    Alla fidata Balalaica che di nome fa Laika, dico che, sinceramente, se avrò le conoscenze del caso in merito a quanto mi sarà richiesto dalla sezione americana F.B.I Redazione Vitt e Dintorni, farò il possibile. Direi che comunque andrebbe definito l’argomento nei suoi limiti temporali e nella dimensione da dare al contesto, il suo approfondimento e in quali direzioni.
    Questo lo dico perché nei saggi già usciti su Jacovitti, di lunghezza variabile e dovuti ad autore singolo oppure ad un gruppo di autori come nel caso di Bellacci, Boschi, Gori e Sani ( Toscanacci, dall’acuto ingegno!) il contesto storico è sempre stato predominante con una scelta di dare importanza all’influenza avuta anche dal cinema ( pensate a Goffredo Fofi e ai suoi interventi jacovitteschi per l’editrice “Stampa Alternativa” e riviste o giornali vari e a volte correlati! ), naturalmente i fumetti e loro autori più conosciuti, contemporanei all’area storica e in alcuni casi alla letteratura d’evasione e non , con autori legati al mondo dell’Appendice fino a scrittori relativamente più vicini a noi, quali Calvino o ai classici Yambo, Luigi Motta e, alla lontana Salgari, Melville, Conrad e compagnia bella.
    Veramente un piano di studi e competenze interdisciplinari.
    Tralascio chi ha tirato in ballo la psicanalisi per spiegare certe supposte simbologie, e questo perché per me la psicoanalisi non è certo scienza, ma non di rado voluta ciarlataneria!! A Raymond che mi osserva cogitabondo tenendo fra le mani un albo della serie “Lampo” con avventure a fumetti di Arsenio Lupin disegnate nel 1946 – mi pare- da Ruggero Giovannini chiedo” Ma Zazie è poi cresciuta?? è poi riuscita ad entrare e viaggiare con il metro? Giovannini non è certo come Raymond Queneau, che ha fama di uomo taciturno, laconico, e tale si riconferma: “ Tomaso io Zazie l’ho conosciuta solo sullo schermo nel 1960”; Ruggero sorride accattivante volgendosi a lato per osservare Renata Gelardini che sta sferruzzando per preparargli calzettoni di lana: ha in simpatia Ruggero e non vuole che nelle fredde serate parigine si ammali prendendo freddo ai suoi piedoni ( calza abitualmente il 46!) “Ma caruccio” faccio io, in ascolto c’è pure Tiziana la Gitana, non vorrai deluderla??” Queneau pare ridestarsi e sospira detergendosi il sudore dall’ampia fronte bisbiglia:” Ti delego in toto” e se ne va! Che ci possiamo fare, potremmo chiederlo ad Italo Calvino che ora abita qui a Parigi in un quartiere anonimo del 14° arrondissement, in una via di comune aspetto e di difficile raggiungimento mimetizzata com’è com’é fra tante abitazioni dall’identico aspetto, “sua casa di campagna” come la definisce lui! Mah, Calvino è peggio di Raymond in fatto di lingua parlante, meglio soprassedere. Comunque, col passare del tempo, romanzo, film e alla fine con grande ritardo il fumetto si possono considerare “datati”, superati dall’evolversi del gusto comune??
    Si dice che i capolavori non invecchiano mai, anzi diventano dei classici che tutte le generazioni possono apprezzare.
    Faccio di tutte le erbe un fascio un poco dissonante: Jacovitti, Topor, Queneau, Craveri, Hergè , Disney classico e la sua officina, Barks, il regista Malè, e gli attori Philippe Noiret, Hubert Deschamps, Catherine Demongeot ( in arte Zazie), Antoine Roblot, Jacques Dufilho, Vittorio Caprioli.
    Titolo originale del romanzo e dell’omonimo film del quale ambiguamente vorrei parlare, dopo il silenzio planetario messo in atto in terra di Molière dal capo dell’Eliseo ( geloso del favore intellettuale che spesso mi concede la vetusta consorte) nei riguardi mio articolo “Zazie nel métro incontra Jacovitti”, sono stati superati, sta scivolando nel dimenticatoio??
    La folla oceanica che in attesa sotto al balcone del palazzo stile Liberty che ospita “l’Hotel de la carriere noir” di una stella rosicata, qui in “Place de la culotte” attende da ore la parola del grande Guro che incurante delle attese passa il tempo pregando, facendo le parole crociate, friggendo salcicce in padelline con la bomboletta a gas, leggendo fumetti. Mi avvicino a uno di loro, che fa parte della folla, che appunto sta leggendo un albo a fumetti e chiedo: ”Signore, ehi, Signore, che sta leggendo?? L’uomo alza gli occhi e sorridendo mi mostra la copertina dell’albo. Perbacco!!! si tratta dell’Almanacco estivo di Eureka del 1969 e la storia letta è di Jacovitti!!!
    Ma allora Jac non si è dissolto nel nulla, non è caduto nel dimenticatoio!!! Ha fatto bene Santi a scrivere la prima parte dell’articolo sui “Tre Pi” apparso su “Vitt & Dintorni” n° 41, che pur riferendosi al mese di Settembre 2019, è già uscito creando in questo torrido mese di Luglio un classico paradosso temporale! dimenticando solo di inserire una considerazione non del tutto vana: Jacovitti non di rado, sin dall’inizio, disegnava storie in contemporanea pressato, penso, dal suo desiderio di affrontare argomenti diversi prima che il tempo infierisse sulle sue capacità creative: l’ episodio della famiglia Spaccabue” pubblicato su “Intervallo” del 1945 ( firmato Jac 45 , ma forse iniziato nel mese di Dicembre del 1944 come prima storia dopo “Pinocchio”, poi proseguito per lungo tempo, tanto che la sua ultima parte, “Ghigno il Maligno” lascia intravedere con chiarezza l’evoluzione del suo stile che appare già diverso da storie come “Pippo e il dittatore” e il coevo “Pippo sulla Luna” disegnate in contemporanea o quasi, tanto che lo stile in ambedue le storie evolve contemporaneamente, visibilmente attraverso le loro tavole si intuisce che Il Nostro aveva parecchie storie che elaborava nello stesso tempo!!” Tutti gli ascoltatori di fronte a tale disquisizioni non reggendo alla noia, se la sono data a gambe rifugiandosi nella fermata della vicina metropolitana di Montparnasse, che “underground” di fatto diviene un inestricabile labirinto!!
    Mi allontano sollevato, non dovrò subire le loro rimostranze!!.
    Quella storia, quella che leggeva quel signore sull’Almanacco di Eureka in realtà risale al 1958/59 e apparve a puntate sul supplemento del martedì del “Giorno della Donna” a partire dall’estate del 58, quando io stavo svolgendo il servizio militare a Napoli, su al Vomero.
    Per una serie di ragioni se acquistavo il quotidiano “Il Giorno” con l’allegato, poi dovevo lasciarlo in camerata perché tutti potessero, se volevano, usufruirne.
    Capite che non era possibile collezionare l’inserto, che finiva in casa del maresciallo Gambardella che aveva moglie e figlie.
    Di questi allegati del martedì non ne ho molti: caduti per la Patria!!
    Va beh, tanto…… Ah, la storia in questione si intitola “La famiglia Spaccabue”ed è formata, in origine su “Il giorno della donna”, da due lunghe strisce che formano un mini episodio conclusivo.
    Come già detto inizia sul supplemento del martedì de “Il Giorno”, a partire dal 15 Luglio del 1958 per terminare il 7 Aprile 1959.
    C’è comunque un piccolo mistero, forse chiarito, riguardante la prima puntata del 15/7/1958. All’inizio il supplemento era grande come un foglio del quotidiano, questo fatto fece credere a Jacovitti di poter disporre di molto spazio, tanto che inviò al “Giorno” la prima puntata composta di ben 4 strisce.
    Ma Jac aveva frainteso, lo spazio a sua disposizione non era tanto da consentire la pubblicazione di 4 strisce, ma solo di due. Allora Jacovitti mandò la seconda puntata di due strisce e la prima venne ridotta da 4 a 2 strisce con una drastica azione di forbici al lavoro. ,
    Jacovitti comunque si tenne la versione originale a 4 strisce che poi fu utilizzata in fotocopia nell’occasione di questa “Famiglia Spaccabue” apparsa rimpaginata in verticale sul supplemento di “Eureka” 1969.
    Quando l’editore amatoriale Carlo Conti ristampò la detta storia in albo utilizzò i supplementi del “Giorno della donna”, che pur avendo pubblicata la storia per primi, avevano la prima puntata originale mancante di 11 quadretti e mezzo.
    Se non sono stato chiaro potete chiedere qualsiasi cosa in merito, se non ve ne interessa un bel nulla, beh…. pazienza, io ho fatto il mio dovere di improvvisato filologo.

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    Gentile Tomaso, benvenuto nel blog di Garage e grazie per aver voluto condividere con noi i suoi pensieri su Benito Jacovitti con puntuali ricostruzioni dei suoi lavori.
    Sono d’accordo con lei sulla debolezza dell’analisi psicanalitica utilizzata da alcuni critici per interpretare i simboli che Jac amava disegnare nei suoi fumetti, ma è evidente che in Italia l’orizzonte dei comics soffra ancora di una velata discriminazione intellettuale, incapace di cogliere la sinergia funzionale tra codice iconico e codice verbale, l’incrocio tra letteratura e immagine, tra alto e basso, il “corpus eterogeneo” tanto caro a Roland Barthes che in autori come Jacovitti diventa esplosivo per rompere totalmente gli schemi.
    Molto interessante la storia de “La famiglia Spaccabue” e l’artigianale riduzione delle strip praticata da Jacovitti per le esigenze di impaginazione de “Il Giorno”, così come la ringrazio per aver ricordato la particolare metodologia di lavoro su più storie.

  3. Gentilissimo Alessandro Sottile,
    mi rendo conto che la mia presenza qui, in questo blog, è sfasata, fuori luogo perchè data la mia età (83) non posso realisticamente far parte del mondo di coloro che sono attivi nel lavoro professionale.
    Comunque grazie per aver accettato la mia risposta e avermi risposto.
    Faccio solo un’ultima segnalazione, solo per attirare la sua attenzione su un particollare relativo a quanto da lei riporttato all’inizio di questa pagina del Blog: “…. accusato di Fascismo sul “Corriere dei Ragazzi” eccetera.
    Si parla di Jacovitti naturalmente.
    Questa ipotesi di Jacovitti accusato di Fascismo in quel contesto, è una opinione gratuita di Sauro Pennacchioli direttore di “Giornale Pop”, poi forse ripetuta da altre persone senza alcun accenno di controlli effettuati per approfondimento. Su “Il Corriere dei Ragazzi” Jacovitti non ebbe di fatto grandi scontri con la redazione, direzione o proprietà del giornale per ragazzi in questione, almeno io non ho trovato prove documentali a proposito; anzi, paradossalmente nel 1973, ultimo anno della continuità della collaborazione del Nostro, ho letto che la proprietà del gruppo del “Corriere della sera” aveva maturato la strampalata idea che direzione e collaboratori del “Corriere dei Ragazzi” fossero in odore di comunismo, e questo io penso basandosi sulla loro opinione sui contenuti dei fumetti franco-belgi stampati sul giornalino stesso.
    Ma quello che si legge va sempre preso con precauzione, poi di fatto io non ho mai letto interventi scritti da chi rappresentava la proprietà del gruppo del “Corriere della sera” che avessero ribadito le opinioni prima citate. Insomma, come al solito, anche in questo caso il gatto si mangia la coda1
    Cordialissimi saluti, Tomaso

  4. Grazie Tomaso per avermi citato; ti leggo solo ora, quando ormai ti sarai accorto che non avevo dimenticato che il nostro amato Jac ralizzava più lavori in contemporanea: l’ho solo scritto nella seconda parte dell’articolo. Buona estate a te, al curatore del blog e ai lettori fumettofili! Alessandro Santi

  5. Caro Ale,
    si, prendo atto di quello che leggo su Jacovitti ed altri autori, ma col passar dei mesi continuando a leggere e scrivere ( anche solo per passatempo”), i ricordi entrano in una sorta di frullatore mnemonico che selezione a piacer suo quello che poi mi rimane in mente! Da alcuni mesi sto cercando di sbrogliare una matassa assai aggrovigliata oppure che non imbrogliata qìuasi per nulla, quindi in questo caso lavoro p quasiper nulla! Il problema in generale ha ul lasso di tempo che per comodità ho rinchiuso in un metafrico recinto che parte dal 1957 e raggiunge il 1961, comprendente tutte le storie a fumetti di quei 5 anni a mio parere turbolenti per Jacovitti. L’epicentro di trova inconguamente quasi all’inizioalla fine del 1958 sul TRavaso con “Pasqualino Rififì”!

    Come al solito scrivo più analisi dell’argomento correlate fra loro ma anche diverse, poi alla fine tiro le somme! Spesso il risultato mi spinge a continuare nella ricerca! La cosa per me risulta quasi appagante e il suo senso è leggere tutto quanto, anche se le gli scritti sono in parte ripetitive: cerco di scrivere come procedono i miei pensieri senza linee guida alle quali sottostare, una attività per me liberatoria! Ma purtroppo non tale per i possibili lettori, che poi mi possono anche mandare a quel paese! Pazienza, che ci vuoi fare!
    Te ne propongo uno squarcio!

    Jac Rififì non riceve il martedì ( ma a Pigalle, rue Ravignan fourtythree, forse sì!)

    Su Jacovitti è stato scritto di tutto e da quasi tutti i suoi ammiratori e detrattori. Di tutto ma non “tutto”verrebbe da pensare, se il sottoscritto dopo qualche mese di ricerche, non è riuscito a trovare nessuna notizia certa della genesi della storia di Jacovitti “Pasqualino Rififì”, apparsa sul “Travaso” alla fine del 1958 a partire dal n°49, dopo un’attesa di almeno un mese di digiuno jacovittesco, mentre sul settimanale citato apparivano settimalmente avvisi scritti con disegno o disegnino di Jacovitti che preannunciavano l’arrivo di Pasqualino Rififì !!! Nemmeno Luca Boschi sbroglia tale matassa forse immaginaria( Jacovitti di solito acquisiva notizie e suggestioni varie e poi iniziava le sue storie a fumetti inventandole di tavola in tavola!) su “Il meglio di Cocco Bill e Jacovitti” nel volume edito da Hachette numero 30 del 13 Marzo 2018, dove appare la ristampa di “Pasqualino Rififì”, nell’ambito della quale Boschi svela bene i meccanismi all’origine di detta storia, entrando nel merito con perizia ed acume, ma non può discettare nel merito del perchè e percome delle cause per le quali il Nostro disegnò quella storia unica per ambientazione!! Varrebbe veramente la pena di ristampare in albi singoli le tre storie apparsa fra il 1957 e il 1959 sul gia citato “Travaso”con una corposa prefazione sia storica che legata all’analisi dei contenuti e stile del disegno, senza far però pasticci: tutte storie di quel periodo, trascurate dalle grandi case editrici per decenni per motivi che appaiono assai misteriosi. Per il decennio anni 50 la storia riproposta anche da Cadoni nella sua “Autobiografia” fantasy di Jacovitti è per prima “Bobby Cianuro”, tratta dal Travaso di quell’ anno scombinato , ossia il 1957! ; per gli anni sessanta la storia scelta è invece proprio lo straordinario Pasqualino Rififì, disegnato in effetti fra la fine del 1958 e l inizio del 1959, ma già proiettato verso il divenire dello stile “ hard” jacovittesco sbocciato a fine anni settanta!. Storia a fumetti ritornata alla ribalta dopo più di 50 anni di oblio, della quale ho parlato diffusamente ma in chiave romantica in altro ambitoe tempo passato ( “Vitt&Dintorni” di Marzo 2011). L’ autore definisce questa storia a fumetti una satira di certa imperante letteratura giallonera d’ oltralpe. Da dove prende le mosse Jacovitti per disegnare questa canizza parisienne? Dal romanzo di Auguste le Breton ( nome anagrafico Auguste Montfort) “Du Rififì ches les hommes” edito dalla francese Gallimard nella sua collana noir e risalente al 1994 : l’ anno seguente ne venne tratto un film, per la regia Jules Dassin – Rififì – che nel 1995 vinse la palma d oro al festival di Cannes. Il romanzo tradotto in Italia nel 1958 da Garzanti, letto ora denuncia la sua età, il film, per chi come me, l’ ha visto più volte volte, non ha perso il suo fascino. Probabilmente Jacovitti vide il film? canticchiò forse anche la canzone motivo conduttore della pellicola in prima edizione cantato da Magali Noel, quel Rififi che da noi in Italia il cantante Fred Buscaglione rese famoso. Io ve lo dico, sono un dritto, A me nessuno fa dispetto, Lo sanno tutti che è così, perché mi garba il rififì. Musica di Philippe-Gèrard, parole italiane di Buscaglione-Chiosso. Rififi, era una parola in Argot? Secondo Andrea G. Pinketts il nome era quello del cane di Le Breton: ci dobbiamo credere??? Per i curiosi e i dubbiosi esiste il vocabolario Larousse Du français argotique et populaire. Va beh, son cose che forse se non tutti, molti conoscono. Comunque nella tavola corrispondente alla decima puntata della storia Jacovittesca, di inizio Marzo 1959, avviene una sorta di “cross-over”, in quanto entra in ballo anche il Commissario Maigret creato dal grande George Simenon( In Italia poi dal 1964 al 1973 lle serie televisive , con un successo oggi inimmaginabile, con Gino Cervi nelle parti del Commissario Maigret e Andreina Pagliani nelle vesti di moglie rassegnata all’obbedienzae a cucinare giornalmente gustosi manicarette per il marito goloso e mangione): quindi in questo caso Jacovitti intreccia alla lettera due mondi che sono posti nello stesso ambiente socio /culturale, ma sono opera di invenzione e dovute a due mani diverse, tre se pensiamo al film già prima citato! Curioso che nessuno, a quanto mi risulta, abbia mai citato questo aspetto della storia qui in disamina. Per quanto riguarda invece altra cosa, ovverosia Pasquale, Pasqualino, Pasqualone, un nome usato comunemente da Jacovitti nelle sue abituali declinazioni qualificative di grandezza, perchè molto comune nella sua terra di origine; il suo uso non ci deve porre interrogativi, pensate sul “Travaso” per giustificarne l’uso da parte di “Lisca di pesce”, del perchè ne esistono tracce alle spalle del Nostro anche su “Il Vittorioso”( ricordate la bella storia per bimbi “Pasqualino e Pasqualone” risalente al 1950?) non c’é bisogno di tirare in ballo chi dopo di lui l’ha usato per cantare Pasqualino Maragià, come a volte è stato fatto, oppure in fin dei conti si può anche fare, poiché anche questo, anche se è posteriore al primo citato, è a sua volta calzante!! Mi guardo intorno e indosso gli occhiali donatemi dalla fata Insalata in forma di pappagallino Cocorita che vive libero all’aperto, che di solito mi ferma a chiacchierare ogni mattina nel mio giardino di metri 3×12!! Ahh, così vedo meglio!! Leggere? Ahh, questa è un’altra cosa ancora!! Il significato delle cose scritte è vario e collegato sempre a chi legge, che interpreta il senso delle cose lette a modo suo!Un problema senza via di uscita, una strada chiusa!
    Pensate quello che volete,ognuno è libero di farlo!!

  6. Può capitare che un brano scritto per puro divertimento infastidisca certi lettori??? Pare di si, anche se io poi non ne tengo conto e persevero nella mia “opera”!
    Ecco quindi qui un argomento che io ho rivoltato più di una volta come un calzino, e che nonostante una certa ripetitività, non mi stanco di perseverare in questo diabolico tentativo di parlare di Jacovitti e il “suo” Rififi!!
    mi sono addormentato su una panchina di questa piazza che sembra solo un incrocio di strade: nonostante il mese di Maggio tiepido, vento e questa strana pioggia che parla di solitudine quasi fermando il senso del tempo, mi sferzano senza requie.
    Una sorta di attesa alla Hopper, ma senza tanta luce, con il vento che c’è ma non muove le cose. Pioggia battente, eppure sul set che mi si para davanti, di questo film film amatoriale girato da Jacovitti con la consulenza di Fellini e Simenon truccato da commissario Maigret inizio anni sessanta, il gruppo di cantimbánchi girovaghi di certa etnia lombarda ( riconosco Mastrorocco, Ragni e Maggi tutti e tre in mutandoni per esigenze sceniche ( Fellini docet)!!) incuranti che l ‘addetto alle luci Hopper non illumini la scena, peraltro immota, si impegna per intrattenere i pochi curiosi passanti, che in questo remoto angolo del 20° si affollano intorno a loro. Alla questua penso io minacciandogli improvvisati spettatori a scrocco, con una finta rivoltella fatta di marzapane, raccolgo in tale maniera qualche soldino per la futura ristampa in albo di gran lusso di “Pippo e la pesca”, colorato dal daltonico Lo Tedesco in tandem con Von Turcken, mio cugino svizzero di Ginevra!
    Straziante una voce fuori campo- mi pare Pazzi che soffre di gotta- sottolinea le danze dei tre poveri malcapitati con tonalità e ritmi portoghesi popolari tradizionali.Pazzi un portoghese?? Mah, anche questo non lo immaginavo!!
    Beh, non ci troviamo esattamente nel 20° arrondissement parigino, ma un poco più ad est oltre la Porte des Lilas , dalle parti del cimitero omonimo, dove strade e vicoli si intersecano in modo disordinato mantenendo la casualità della loro disposizione risalente alla fine 800. Ah, la poesia della banlieu, cantata da Prevert e immortalata in tanti films del regista René Clair, la voce conturbante del “brutto anatroccolo” Edith Piaf, l’interprete più autorevole della chanson intime. E poi il film cult Godot, Jean Sernais dal volto impenetrabile nella bagarre del film Rififi, il primo Delon, ambiguo e – per le donne- bellissimo, Jean Gabin e il suo grisbi. Mah, altri tempi. Tempi di noir e di polar. Iacovitti ne sa qualcosa dopo aver collaborato con il settimanale “Il Travaso” durante il periodo 1957/59, con l’ultima storia ispirata sì al film “Rififi’” del 1955, ma anche al romanzo di Simenon” Maigret a Pigalle” ( Maigret au Picratt’s”) e dell’omonimo film del 1965 con Gino Cervi nella a lui ben nota parte di Maigret!! Si lo so, il film viene 5 anni dopo la storia jacovittesca, ma il romanzo di Breton al quale si ispira, ben cinque anni prima!! Non cercate peli nel piatto, questo è solo un racconto di fantasy!!
    Già il fascino del poliziesco, ma io che ci faccio qui ora mentre un freddo vento di tramontana sibilando e scendendo a raffiche dalla banlieu nord mi gela le ossa?
    Beh, è proprio per il misterioso richiamo dell’intrigo alla Simenon con Il commissario Maigret intento a decifrare gli enigmi della mente criminale, che sono qui appostato: sono stato incaricato dalla mente criminale che dirige il “Pop Giornale del fumetto” di rintracciare una persona scomparsa, forse rapita dalle forze occulte della reazione.
    Io ho qualche dubbio e penso che Domenic Volpius, lo scomparso, si sia volontariamente allontanato, abbia cioè di sua spontanea volontà fatto perdere le sue tracce. Certo, quasi certamente alla ricerca di Jacovitti e Caesar inghiottiti loro malgrado da un altro tempo ucronico
    Comunque le rivelazioni di un noto confidente mi hanno segnalato la sua presenza in questo luogo, perciò, essendo stato sontuosamente pagato in sonanti bigliettoni, farò il mio dovere. Un’ombra scivola silenziosa alle mie spalle, un fruscio di seriche vesti e un inebriante profumo di blue gardenia mi fanno intuire che la diabolica Mata Hary junior è pure lei della partita.
    Inutile voltarsi, sarebbe vano il cercare di afferrare questa sorta di fantasma la presenza del quale ho avvertito fin dal primo istante di questa mia indagine parigina.
    Una voce mi fa sobbalzare: “ehi, Tomaso, quale buon vento ti porta in questo luogo dimenticato da Dio?? Perbacco, è la voce del vecchio amico Crepascolo la Trottola, da lungo tempo latitante per intima vocazione . Al suo fianco il comandante Lupus in fabula della X° Mas mi guarda sorridendo tirando rapide finte boccate dal suo immancabile sigaro spento, mentre il colonnello Bruno Arcieri è pensieroso e corrucciato: attende con rassegnazione la sua prossima avventura già scritta dallo scrittore venato di quieto sadismo Gorio de Leonardis!! Angela Ravetta invece si sta cambiando le scarpe, chissà perché? Ah, povero me, son scarpe da corsa in salita quelle che ha indossato!! Angela Ravetta dopo avermi sfidato a seguirla su per l’erta rue de Ravignan, mi concede respiro e ne approfitta per raccontarmi quanto segue: “Su Jacovitti è stato scritto molto da quasi tutti i suoi ammiratori e qualcosa di asfittico dai detrattori, politicizzati con la fissazione che il Nostro essendo nato nel 1923 ed essendo logicamente cresciuto durante il “ventennio”, fosse un fascista ancora a 74 anni, anno della morte. Ma non è stato di fatto scritto “tutto”,verrebbe da pensare, se il sottoscritto dopo qualche mese di ricerche, anche se “sabotato” dalla chiuseura dell’archivo biblioteche modenesi a causa della pandemia, non è riuscito a trovare nessuna notizia certa della genesi, o cause se preferite, della storia di Jacovitti “Pasqualino Rififì”, apparsa sul “Travaso” alla fine del 1958 a partire dal n°49, dopo un’attesa di almeno un mese “ a partire dalla fine della storia precedente”Sempronio, periodo di digiuno jacovittesco, mentre sul settimanale citato apparivano settimalmente avvisi scritti ( tipo “quanto prima” che dovreste vedere postato qui) con disegno o disegnino di Jacovitti che preannunciavano l’arrivo di Pasqualino Rififì !!! Nemmeno Luca Boschi su “Il meglio di Cocco Bill e Jacovitti” nel volume edito da Hachette numero 30 del 13 Marzo 2018, dove appare la ristampa di “Pasqualino Rififì” nell’ambito della quale Boschi svela bene i meccanismi all’origine di detta storia, entrando nel merito con perizia ed acume, ma non può in effetti poi discettare nel merito del perchè e percome delle cause per le quali il Nostro disegnò quella storia unica per ambientazione!!il “noir”, mi dice un esperto, “rappresenta in qualche modo l’altra faccia della storia di un crimine, quella vista dalla parte del criminale. A differenza del classico giallo, per prima cosa, manca del finale consolatorio che tranquillizza il lettore e assicura il colpevole alla giustizia. Nel noir, quello che conta realmente è raccontare lo spaccato di una società – solitamente periferie emarginate, città decadenti, sobborghi malfamati – ma anche il protagonista: generalmente in chiaro-scuso e ai margini della legge. Il noir è stato paragonato al romanzo realista italiano (quello di Verga, per esempio), per la ricerca della rappresentazione della realtà e della società civile. Molto spesso nel noir la figura dell’investigatore passa in secondo piano, l’importante è raccontare, attraverso l’indagine poliziesca, gli aspetti oscuri di una città o della collettività”.Io veramente non le idee certe a proposito, poiché il termine stesso”noir” ha una pluralità di significati anche all’interno della terminologia francese! Varrebbe veramente la pena di ristampare in albi singoli le storie di questo genere che potrebbero di carattere comico made in France e in Itally apparse fra il 1955 e il 1960, sia sul gia citato “Travaso”o altrove , con una corposa prefazione sia storica che legata all’anasisi dei contenuti e stile del disegno, senza far però pasticci: tutte storie di quel periodo, trascurate dalle grandi case editrici per decenni a causa di motivi che appaiono assai misteriosi. Per il decennio anni 50 la storia riproposta anche da Cadoni nella sua “Autobiografia” fantasy di Jacovitti è per prima “Bobby Cianuro”, tratta dal Travaso di quell’ anno scombinato , ossia il 1957! ma Bobby Cianuro è di fatto una storia breve inventata in fretta, e ambientata negli States, quando Jacovitti non aveva minimamente nella testa “Rifif’, romanzo e suoi sguiti letterari sempre farina di Auguste Breton e una sequela di film diversi sullo stesso tema o almeno contenenti nel titolo la magica parola “Rififì”, frutto di differenti registi ed attori con l’arrivo sulla scena di Jean Gabin e in un caso anche della nostra Gina Lollobrigida!! Il fatto che la leggenda riportata e avvalorata da Luca Boschi sempre sullo stesso volume di “Cocco Bill e il meglio di Jacovitti” n°30, che Jac abbia lavorato per “Bobby Cianuro dall’alba alla notte di uno stesso giorno, questo per poterla farla visionaare sempre al direttore Guastaveglia, cosa che a me appare incredibile; per gli anni sessanta la storia scelta da Cadoni nell’ambito suo saggio di una biografia immaginariadi Jac, è invece lo straordinario Pasqualino Rififì, disegnato in effetti fra la fine del 1958 e l inizio del 1959, ma già considerato 8 non precisamente dal sottoscritto) già proiettato verso il divenire dello stile jacovittesco. Storia a fumetti ritornata alla ribalta dopo più di 50 anni di oblio, della quale ho parlato diffusamente ma in chiave romantica/parigina in altro ambito ( Vitt&Dintorni di Marzo 2011). L’ autore definisce questa storia a fumetti una satira di certa imperante letteratura giallonera d’ oltralpe. Da dove prende le mosse Jacovitti per disegnare questa canizza parisienne? Dal romanzo di Auguste le Breton ( nome anagrafico Auguste Montfort) “Du Rififì ches les hommes” edito dalla francese Gallimard nella sua collana noir e risalente al 1954 : l’ anno seguente ne venne tratto un film, per la regia Jules Dassin – Rififì – che nel 1955 vinse la palma d oro al festival di Cannes. Il romanzo tradotto in Italia nel 1958 da Garzanti, letto ora denuncia la sua età, il film, per chi come me, l’ ha visto più volte volte, non ha perso il suo fascino. E un finale adeguato con la morte dei protagonisti tutti “cattivi”. Da notare che Jacovitti sia in Bobby Cianuro” del 1957 ,che in Pasqualino Rififì” del 1958/59 a dar cedito alla sigla con data di jac Probabilmente Jacovitti vide il film? Io sono scettico, canticchiò forse anche la canzone motivo conduttore della pellicola in prima edizione cantata da Magali Noel, quel Rififi che da noi in Italia il cantante Fred Buscaglione rese famoso. Io ve lo dico, sono un dritto, A me nessuno fa dispetto, Lo sanno tutti che è così, perché mi garba il rififì. Musica di Philippe-Gèrard, parole italiane di Buscaglione-Chiosso. Rififi, era una parola in Argot? Secondo Andrea G. Pinketts il nome era quello del cane di Le Breton: ci dobbiamo credere??? Per i curiosi e i dubbiosi esiste il vocabolario Larousse Du français argotique et populaire. Va beh, son cose che forse se non tutti, molti conoscono. Comunque nella tavola corrispondente alla decima puntata della storia Jacovittesca, di inizio Marzo 1959, avviene una sorta di “cross-over”, in quanto entra in ballo anche il Commissario Maigret creato dal grande George Simenon: quindi in questo caso Jacovitti intreccia alla lettera due mondi che sono posti nello stesso ambiente socio /culturale, ma sono opera di invenzione e dovute a due mani diverse, tre se pensiamo al film già prima citato! Di fatto Jacovitti si riferisce al Maigret scritto ma non a quello della televisione italiana che inizierà la prima serie nel 1964!!Curioso che nessuno, a quanto mi risulta, abbia mai citato questo aspetto della storia qui in disamina. Comunque le mie impressioni io le ho scritte e riscritte per i pochi che cercandole sui saggi dedicati a Jac non le hanno trovate, anche perché benchè pubblicate sono ora vaganti in uno spazio di collocazione anaomalo! Per questo in una precedente versione di questo articolo- poi lasciata nel limbo– pensando al genere noir francese. mi son sentito di inserire anche una parte, tutta farina del mio sacco, in quanto a storia narrata da Jacovitti nel clima “Noir francese”, dove da una parte tiro in ballo il Commissario Maigret di Simenon e da un altro verso ricordo lo storico incontro di Place d’Italie fra Leo Malet scrittore della narrativa “Noir” francese e della serie “I nuovi misteri di Parigi”, con protagonista il poliziotto privato Nestor Burma e Il disegnatore Jacques Tardi ai pennelli, che dei volumi di detta serie ne ha trasportati 4 in albi a fumetti editi da Casterman! Ma la progettualità un poco distratta dei fautori internet dell’Associazione Amici del Vittorioso”, portò anni fa alla chiusura del post su facebook con la sparizione degli articoli scritti dal sottoscritto, Nino Cadoni e Toto Buffatti , poi altre iniziative atte a ripartire in bellezza con l’intento di rinnovare il sito facebook. In effetti oggi come oggi tale sito funziona senza impicci, con risultati positivi: tutto è bene quello che finisce bene! La prolificazione francese della serie filmica di “Rififì “in origine scritta in forma di romanzi da August le Breton. è praticamente sconosciuta in Italia: nulla si sa sulla eventuale loro versione in forma di storie a fumetti. Visto che Jacovitti dopo il tribolato esordio del 1958 e 59 di tale “fumetto”, che fu pubblicato ad intervalli irregolari sul “Travaso” probabilmente causato sia degli impegni in altre sedi di Jacovitti, che delle inderogabili regole del direttore Gastaveglia ( detto Guasta, conosciuto per la sua fama di uomo “terribile”) e delle sue riunioni settimanali per “controllare” gli elaborati dei “suoi” disegnatori e fare scelte draconiane a proposito! Io penso che Jacovitti nel 1959, definito il contratto con la proprietà del “Giorno dei Ragazzi”, abbia troncato la collaborazione con “Il Travaso” e anche con “Il Corriere dello Spazio” lasciando incompleta la storia della sua esilarante e inesorabilmente critica “Storia dell’aviazione” ( antimilitarista, poco conosciuta anche dai critici nonostante la sua ristampa dovuta alla nostra Associazione “Amici del Vittorioso”), con un certo sollievo! Mi sogno tutto??

    Occorre specificare che Jacovitti con “Pasqualino Rififì”, che combina, storia ultima sul Travaso” risalente al 1959, E poi ? beh Jac è generoso e travalica le regole del noir alla francese e non fa morire l’attore principale perchè cattivo, lo salva con un escamotage alle aultime vignette! Quindi il suo fumetto parigino come definirlo? di che Genere?? Un genere alla Jacovitti? Con “Rififì” tortuoso percorso verso la non comprensione
    Un sasso gettato in uno stagno suscita onde concentriche che si allargano non solo come apparentemente sembra sulla sua superficie, coinvolgendola nel loro moto, non solo a distanze diverse ma anche in profondità verso la dimensione del subconscio, con diversi effetti; il povero Lo Pazzu sprofondato sul fondo del laghetto del bois di Vincennes, con il probabile intervento della la ninfa detta anche Nereide, che lo aspetta e lo salverà dal torpore paralizzante delle acque gelide, la canna di Gori pescatore di frodo, la barchetta di carta opera sublime del diabolico Sani, il galleggiante del pescatore Bellacci che non demorde anche se da decenni la sua pesca è infruttuosa o quasi! Non diversamente una parola, gettata nella mente a caso, produce onde di superficie e di profondità, una serie infinita di reazioni a catena, coinvolgendo nella sua caduta suoni e immagini, analogie e ricordi, significati e sogni, invenzioni e l’immersione nella dimensione dell’automatismo creativo e del surreale! Sono parole illuminanti, queste di Gianni Rodari e del suo occulto suggeritore a posteriori, Tomaso Prospero, che dovrebbero far capire qual è il senso profondo della sua Grammatica della Fantasia: non un manuale di istruzioni ma un serie di impulsi, che, come sassi nello stagno, generano occasioni di riflessione e di approccio espressivo sui processi che guidano la fantasia. L’espressività è alla base di quasi tutto quello che si va scrivendo, una manipolazione creativa del nostro povero cervello stimolato a non essere meramente ripetitivo!! Da un intervento, credo, di Luca Boschi , esorcizzato per ragioni occulte!
    Il primo volume che Non analizzerò, “ Dal SignorBonaventura a Saturno contro la terra” di Pier Luigi Gaspa, per farvi un favore, lettori in genere , è un saggio fondamentalmente cólto/didattico, rivolto- io credo- ad una utenza di lettori diversamente impegnati, o comunque non adusi ad affrontare simili letture, senza alcuna storia a fumetti ristampata, anche se con moltissime figure a corredo. Non che gli interventi scritti sui volumi jacovitteschi editi ad esempio da “Stampa Alternativa”, siano viceversa più “popolari”, no, tutt ‘altro, ci mancherebbe, ma la parte fondamentale è rappresentata dalle ristampe dei fumetti. Però i due volumi in questione in un certo senso si assomigliano perché ripensano in modo diverso entrambi cose già conosciute in parte in precedenza, con la stranezza di non prendere, mi pare ( se mi sbaglio chiedo scusa in anticipo) mai in considerazione alcuni fra le decine e decine di articoli scritti sul “tempo di Jacovitti” e i suoi dintorni vasti ed eterogei, pubblicati soprattutto su, “ Informavitt / Vitt & Dintorni”, anche se la bibliografia, da pagina 169/72, è veramente cospicua. Per altri versi, su differenti volumi precedenti, quanto è stato scritto è esemplare, vedi il lungo intervento di Goffredo Fofi nei riguardi del periodo storico del 1960/80 all’ interno del quale vengono a collocarsi “Gli anni d’ oro del diario Vitt”. Un intervento degno di quell’ intellettuale impegnato che Fofi è. Criticato però inopinatamente da Gori, Boschi e Sani all interno del loro remake “ Jacovitti. Sessant’anni di surrealismo a fumetti”. Penso alla parte- maggioritaria- dedicata alle storie a fumetti sui libri di Stampa Alternativa, che non di rado dal punto di vista della riproduzione grafica è scarsa: vedi Peppino il Paladino ( una cosa, secondo me, incomprensibile). Certo, il prodotto è – forse- rivolto ad un utenza non specializzata nei riguardi dell epos jacovittesco, però in questo modo, comunque, non si rende un buon servizio alla memoria del rimpianto Lisca di Pesce. Bellacci mi chiese circa 10 anni fa, se su Vitt & Dintorni ci sarebbe stata una presentazione o recensione del volume edito da Nicola Pesce, chiedendo eventualmente a me di provare a farla. Non è da tutti trovare il filo di Arianna che permette di percorrere il labirinto jacovittesco rappresentato da quanto da lui prodotto dal 1939 ad un momento imprecisato degli anni 90. E di capire bene il senso di questa sterminata produzione. Credo, penso, che il lavoro di Bellacci, Boschi, Gori e Sani miri a questo. Secondo me il progetto se è come io suppongo- è veramente ambizioso, nel senso non di una sfrenata brama di onori e casomai anche soldi, ma di un forte desiderio di raggiungere un obbiettivo importante. Sinceramente non saprei dire se poi questo in effetti è avvenuto: da che cosa nascono i miei dubbi? Dal fatto che- è ovvio, ma lo dico lo stesso- quanto scritto, specialmente dai magnifici tre toscani,( Bellacci lo tiro fuori, poiché la sua parte è tecnicamente ineccepibile) esprime spesso pareri e valutazioni storico critiche molto personali, a vote dissonanti con quello che di quelle stesse cose penso io; se la questione viene posta in tale maniera i contenuti del volume in questione sono automaticamente da considerarsi discutibili. Ovverosia cosa sulla quale si potrebbe discutere. Però una ipotesi del genere per concretizzarsi dovrebbe usufruire del dialogo fra le opposte ( in senso amichevole) parti. Ma non credo che Boschi, Gori e Sani, o anche uno solo dei tre, abbia motivazioni per farlo, con me o chiunque altro. Io ho scritto, ma non ho rivevutorisposta, a parte sul blog di Leonardo Gori Se si volessi fare una recensione approfondita del volume qui in questione – attualmente ancora stranamente latitante da molte librerie- non si potrebbe prescindere dal dialogo. Chiaramente una presentazione su Vitt & Dintorni nell ambito della rubrica Sullo scaffale dei libri mi pare doveroso si debba fare. Ma in quale modo??? Io a proposito in effetti qualche idea ce l ho.
    Da buon piccolo megalomane ( mi si perdoni la contraddizione in termini ), ci tengo a ribadire attraverso quanto scrivo la mia individualità. Comunque, dovrei venire a più miti consigli e non partire lancia in resta criticando questo e quello?? Non so, mi sbaglio?? Questo mi viene suggerito anche da Nato Diavoli, che dopo aver letto una bozza del mio articolo intitolato “Pasqualino Rififì & Dintorni”, mi ha amichevolmente tirato le orecchie. io l’ ho poi un poco modificato. Però alla fine ho scritto quello che mi frullava per la testa e che trovate qui di seguito. Il lavoro è adatto per gli Amici del Vitt?? Mah?. Cordiali saluti. Tomaso Jacovitti, Autobiografia (mai scritta), a cura di Antonio Cadoni, Stampa Alternativa/Nuovi Equilibri editore, Gennaio 2011, pag.157, 20 Ho sotto gli occhi il bel volume di Stampa Alternativa curato da Antonio Cadoni, una Autobiografia assai particolare ricavata alla lettera dalle svariate interviste rilasciate dal Nostro nel corso dei decenni. Le interviste in questione sono state rimontate in modo il più possibile cronologico per dare l impressione di una continuità progressiva nel tempo. Documentatissima dal punto di vista iconografico questa parte del lavoro del nostro Cadoni ci dà un idea di quale portata ed importanza sia l archivio personale dell autore, certamente il più importante in assoluto. A pagina 77 una Bibliografia essenziale elenca in ordine di data ben 35 interviste apparse sui più disparati e a volte inaspettati contenitori : dalla prima risalente al 1959 a quella postuma del 1998 ospitata sul n 559 de Il Venerdì del 27 Novembre di quell anno. Da pagina 139 a157 fa bella mostra di sé la completissima ed illustratissima (due superlativi) Cronologia Jacovittiana : ne sono stati fatti dei passi in avanti da quando nel 1969 sul mensile Il sergente Kirk del genovese Ivaldi apparve la prima cronologia jacovittesca redatta da Manfredo Gittardi!! Ma in verità Jacovitti non teneva molto conto di queste cose e spesso non rispondeva in modo coerente alle domande che gli venivano fatte. Inoltre molti intervistatori presumibilmente si prendevano delle licenze, non solo formali, quindi a volte c è da dubitare che quanto poi è stato pubblicato sia in effetti corrispondente al vero. Quelle sono esternazioni assai bislacche nell ambito delle quali il Nostro prende fischi per fiaschi; non so se per un lapsus della memoria o per una sottile voglia di rimescolare le carte per scopi sui quali si potrebbe dissertare all infinito. Di quali dichiarazioni si tratta? Se siete curiosi andate a pagina 29 del prima citato volume curato da Antonio Cadoni e le troverete. Tutti sappiamo che Jacovitti non sempre era puntuale e preciso nelle sue esternazioni di ricordi e memorie, confondendo non di rado date e nomi: a volte forse volutamente, per tenere sulle spine gli intervistatori, altre volte per dare di sé una immagine diversa, apparire come probabilmente in certe circostanze avrebbe voluto essere, Questo è un tratto comune a tutte la autobiografie, diari, memoriali e quant altro scritto con l intento di mandare ai posteri un messaggio personale, di tramandare una certa immagine di sé Non per niente ci sono storici specializzati nel valutare l attendibilità delle prove documentali. Io non ho intenzione di esaminare al microscopio le interviste, anche perché – bisogna pur dirlo- a volte erano trascritte da semplici telefonate, fatte a voce in modo improvvisato; anche per quelle fatte per lettera o registrate in audio o in video non pensiate sia semplice risalire alle prove documentali originali. Qualcosa ho guardato, letto e visto e su tutto quanto ho sempre preferito lavorare a modo mio traendone spesso dei pastiches, cosa che ho intenzione di fare anche questa volta, Lo faccio per puro e semplice egoismo, ossia perché traggo soddisfazione nello scrivere come e quello che mi garba. Penso al grande Jac che per sua stessa ripetuta ammissione, leggeva molto: già, il nostro Lisca di Pesce: ammirava lo scrittore Italo Calvino, il suo Cavaliere inesistente, la sua indimenticabile traduzione (1967) de I fiori blu di Raymond Queneau e la sua postfazione a detto romanzo che inizia con la seguente citazione: secondo un celebre apologo cinese, Chuang.tzé sogna d essere una farfalla; ma chi dice che non sia la farfalla a sognare d essere Chuang-tzé. E Jac andava anche spesso al cinema ( non solo films western), dove si addormentava sognando di vedere un film con protagonista lui stesso che faceva la parte di uno spettatore intento a guardare un bel film. Poi, svegliatosi, andava a casa dove, stanco morto, cadeva in un profondo sonno senza sogni: la storia a fumetti del 1941 ( disegnata nel) Pippo indaga è nata proprio in tale modo. Quella del 1942 Alì Babà, la prima ad essere stata pubblicata a tutta pagina a colori su Il Vittorioso nel corso del 1942 invece Jac la fece ad occhi ben aperti avendo come spalla l esperto Enrico Basari come aiuto per la sceneggiatura ( intervista del 24 Luglio 1987 a Forte dei Marmi ). In comune queste due storie hanno in comune il fatto che nate con le nuvolette dovettero essere poi sforbiciate per eliminare i baloons, invisi al MINICULPOP, sostituiti da didascalie. La storia Peppino il Paladino, disegnata nel 1942 ma pubblicata sul Vitt tre anni più tardi, la prima riproposta nel volume qui in oggetto ( che divide in decenni l’ intero
    opus iacovittiano) con una resa assai discutibile della qualità grafica, è assai singolare perché appartiene al periodo nel quale per ordine sempre del Ministero della cultura popolare, dovette essere abbandonata persino la quadrettatura delle vignette; problema questo che il nostro Lisca di pesce risolse da par suo, tanto che alcuni di quei lavori a cavallo fra il 1942 e il 43 prendo ad esempio Caccia grossissima ( l ultima puntata apparsa su Il Vittorioso n 22 del 1946, in fondo a destra nell ultimo quadretto mostra la sigla JB 43) che ne è l esempio calzante, è a mio parere sotto tutti i punti di vista STRAORDINARIO!! Varrebbe veramente la pena di ristampare, senza far però pasticci, tutte le storie di quel periodo, trascurate dalle grandi case editrici per motivi che appaiono assai misteriosi. Per il decennio anni 50 la storia riproposta nel volume di Antonio Cadoni è Bobby Cianuro tratta dal Travaso di quell’ anno ; per gli anni sessanta la storia scelta è invece lo straordinario Pasqualino Rififì, disegnato in effetti fra la fine del 1958 e l inizio del 1959! proiettato verso il divenire dello stile jacovittesco? Non mi pare proprio, specialmente per l’ambientazione della storia, che il Nostro scelse per poter mostrare qualche barlume di nudità femminile, che il direttore Guasta tollerava logicamente in un ambito che traeva linfa da questi aspetti considerati allora “trasgressivi”!! Storia a fumetti ritornata alla ribalta dopo più di 50 anni di oblio, della quale ho parlato su “Vitt&Dintorni di Marzo 2011”. L’ autore definisce questa storia a fumetti una satira di certa imperante letteratura giallonera d’ oltralpe. Da dove prende le mosse Jacovitti per disegnare questa canizza parisienne? Dal romanzo di Auguste le Breton ( nome anagrafico Auguste Montfort) “Du Rififì ches les homme”s edito dalla francese Gallimard nella sua collana noir e risalente al 1953 ? Mi pare poco probabile! l ‘anno seguente ne venne tratto un film, per la regia Jules Dassin – Rififì – che nel 1955 vinse la palma d oro al festival di Cannes. Il romanzo tradotto in Italia nel 1958 da Garzanti, letto ora denuncia la sua età e una visione irreale di Parigi tenuta in pugno da bande di algerini, corsi e dalla mala di Pigalle e zone limitrofe! Alla fine emerge la solidarietà di tutte le etnie malavitose di Parigi di fronte al rapimento di un bambino- ritenuta cosa inaudita e mai vista- da parte di due algerini “Terracotta”! il film, per chi come me, l’ ha visto molte volte, rimane un capolavoro di tecnica e di espressività girato nell’orbita del neorealismo con riprese all’aperto della realtà parigina come si presentava nella metà degli anni cinquanta!! Circa dieci anni dopo , nel 1965/66, Gino Landi girando a Parigi “Maigret a Pigalle” con Gino Cervi e troupe al seguito, tratto dal romanzo “Maigret au Picratt’s, girerà con subdola arte manipolatoria all’aperto, ma con il metodo del “taglia e incolla”, scene parigine dove sullo sfondo di piazza della Bastiglia si intravedono scenari delle scalinate di Montmartre, ed altri “imbrogli visivi” degni di un visionario senza freni!! Probabilmente Jacovitti vide il film originale di Dassin? canticchiò forse anche la canzone motivo conduttore della pellicola, quel Rififi che da noi in Italia il cantante Fred Buscaglione rese famoso. “Io ve lo dico, sono un dritto, A me nessuno fa dispetto, Lo sanno tutti che è così, perché mi garba il rififì”. Musica di Philippe-Gèrard, parole italiane di Buscaglione-Chiosso. Rififi, era una parola in Argot? Secondo Andrea G. Pinketts il nome era quello del cane di Le Breton: ci dobbiamo credere??? Per i curiosi e i dubbiosi esiste il vocabolario Larousse Du français argotique et populaire. Va beh, son cose che forse se non tutti, molti conoscono. Comunque io le ho scritte e riscritte per i pochi che cercandole sui saggi dedicati a Jac non le hanno trovate. In pratica gli anni sessanta vengono elusi ( si sarebbe potuto includere una storia come Pippo zumparapappà, ancora inedita dopo la prima ed unica pubblicazione su Il Vittorioso del 1962, ma……. ). Alla fine mi sono deciso: ho impacchettato il mio lungo articolo su Pasqualino Rifif’ì storia a fumetti di Jac, iniziato a scrivere nel corso del 2011, che appare all’nterno di“Autobiografia di Jacovitti, 60 anni di surrealismo a fumetti”, Pasqualino Rififì”( poi questo fumetto riappare nel 2018 sul volume numero trenta della collana edita da Hachette , dedicata a Jacovitti e curata dal fenomenale Luca Boschi!! Mi sto dirigendo verso l ‘ufficio postale di Atene 1( un quartiere parigino) per spedire il tutto a chi?? Forse alla Redazione de Gli Amici del Vitt?? Mah, non ne vale la pena! Ho sudato sette camicie, in dieci anni di fatica e sudore ho dovuto superare mille ostacoli, ma alla fine ce l’ ho fatta! Poi l’ineffabile fato la userà come meglio crederà!
    Ciao a tutti!
    Tomaso

  7. Straziante una voce fuori campo- mi pare Pazzi che soffre di gotta- sottolinea le danze di tre poveri malcapitati ex redattori di “Vitt & Dintorni” ora a spasso per raggiunti limiti di età, con tonalità e ritmi portoghesi popolari tradizionali. Pazzi un portoghese?? Mah, anche questo non lo immaginavo!!
    Beh, non ci troviamo esattamente nel 20° arrondissement parigino, ma un poco più ad est oltre la Porte des Lilas , dalle parti del cimitero omonimo, dove strade e vicoli si intersecano in modo disordinato mantenendo la casualità della loro disposizione risalente alla fine 800. Ah, la poesia della banlieu, cantata da Prevert e immortalata in tanti films del regista René Clair, la voce conturbante del “brutto anatroccolo” Edith Piaf, l’interprete più autorevole della chanson intime. E poi il film cult Godot, Jean Sernais dal volto impenetrabile nella bagarre del film Rififi, il primo Delon, ambiguo e – per le donne- bellissimo, Jean Gabin e il suo grisbi. Mah, altri tempi. Tempi di noir e di polar. Iacovitti ne sa qualcosa dopo aver collaborato con il settimanale “Il Travaso” durante il periodo 1957/59, con l’ultima storia ispirata sì al film “Rififi’” del 1955, ma anche al romanzo di Simenon” Maigret a Pigalle” ( Maigret au Picratt’s”) e dell’omonimo film del 1965 con Gino Cervi nella a lui ben nota parte di Maigret!! Si lo so, il film viene 5 anni dopo la storia jacovittesca, ma il romanzo di Breton al quale si ispira, ben cinque anni prima!! Non cercate peli nel piatto senza uova, questo è solo un racconto di fantasy!!
    Già il fascino del poliziesco, ma io che ci faccio qui ora mentre un freddo vento di tramontana sibilando e scendendo a raffiche dalla banlieu nord mi gela le ossa?
    Beh, è proprio per il misterioso richiamo dell’intrigo alla Simenon con Il commissario Maigret intento a decifrare gli enigmi della mente criminale, che sono qui appostato: sono stato incaricato dalla mente criminale che dirige il “Pop Giornale del fumetto” di rintracciare una persona scomparsa, forse rapita dalle forze occulte della reazione.
    Io ho qualche dubbio e penso che Domenic Volpius, lo scomparso, si sia volontariamente allontanato, abbia cioè di sua spontanea volontà fatto perdere le sue tracce. Certo, quasi certamente alla ricerca di Jacovitti e Caesar inghiottiti loro malgrado da un altro tempo ucronico dove vivono negli agi di una società veramente cristiana alla lettera, dei primi Vangeli, con Gesù che strapazza i ricconi e i mercanti nel Tempio!
    Comunque le rivelazioni di un noto confidente mi hanno segnalato la sua presenza in questo luogo, perciò, essendo stato sontuosamente pagato in fruscianti pacchetti di noccioline americane ( frutta secca che non dovrebbe incidere sulla glicemia che viceversa nonostante i miei digiuni quasi totali, supera i duecento punti e sarà la causa della mia dipartita!!), farò il mio dovere. Un’ombra scivola silenziosa alle mie spalle, un fruscio di seriche vesti e un inebriante profumo di blue gardenia mi fanno intuire che la diabolica Mata Hary junior è pure lei della partita.
    Inutile voltarsi, sarebbe vano il cercare di afferrare questa sorta di fantasma la presenza del quale ho avvertito fin dal primo istante di questa mia indagine parigina.
    Una voce mi fa sobbalzare: “ehi, Tomaso, quale buon vento ti porta in questo luogo dimenticato da Dio?? Perbacco, è la voce del vecchio amico Crepascolo la Trottola, da lungo tempo latitante per intima vocazione . Al suo fianco il comandante Lupus Irsuto in fabula della X° Mas mi guarda sorridendo, tirando rapide finte boccate dal suo immancabile sigaro spento, mentre il colonnello Bruno Arcieri è pensieroso e corrucciato: attende con rassegnazione la sua prossima avventura già confezionata dallo scrittore venato di quieto sadismo Gorio de Leonardis!! Angela Ravetta che è ritornata alla ribalta del “Giornale Pop”, invece si sta cambiando le scarpe, chissà perché? Ah, povero me, son scarpe da corsa in salita quelle che ha indossato!! Angela Ravetta dopo avermi sfidato a seguirla su per l’erta rue de Ravignan, mi concede respiro e ne approfitta per raccontarmi quanto segue: “Su Jacovitti è stato scritto molto da quasi tutti i suoi ammiratori e qualcosa di asfittico dai detrattori, politicizzati con la fissazione che il Nostro essendo nato nel 1923 ed essendo logicamente cresciuto durante il “ventennio”, fosse un fascista ancora a 74 anni, anno della morte. Ma non è stato di fatto scritto “tutto”, verrebbe da pensare, se il sottoscritto dopo qualche mese di ricerche, anche se “sabotato” dalla chiusura dell’archivo biblioteche modenesi a causa della pandemia di ritorno in questo Dicembre 2022 nonostante la divina “Georgia”osannata dalle masse di incolti novax, abbia strapazzato a colpi dei gatto dalle nove codei suoi sottoposti sempre distratti e con il braccio teso nell’anacronistico”saluto al Ducio!!”, non è riuscito a trovare nessuna notizia certa della genesi, o cause se preferite, della storia di Jacovitti “Pasqualino Rififì”, apparsa sul “Travaso” alla fine del 1958 a partire dal n°49, dopo un’attesa di almeno un mese “ a partire dalla fine della storia precedente”Sempronio, periodo di digiuno jacovittesco, mentre sul settimanale citato apparivano settimanalmente avvisi scritti ( tipo “quanto prima” che dovreste vedere postato qui) con disegno o disegnino di Jacovitti che preannunciavano l’arrivo di Pasqualino Rififì !!! Nemmeno il compianto Luca Boschi su “Il meglio di Cocco Bill e Jacovitti” nel volume edito da Hachette numero 30 del 13 Marzo 2018, dove appare la ristampa di “Pasqualino Rififì” nell’ambito della quale Boschi svela bene i meccanismi all’origine di detta storia, entrando nel merito con perizia ed acume, non può in effetti poi discettare nel merito del perché e percome delle cause per le quali il Nostro disegnò quella storia unica per ambientazione!!il “noir”, mi dice un esperto, “rappresenta in qualche modo l’altra faccia della storia di un crimine, quella vista dalla parte del criminale. A differenza del classico giallo, per prima cosa, manca il finale consolatorio che tranquillizza il lettore e assicura il colpevole alla giustizia”. Nel noir, quello che conta realmente è raccontare lo spaccato di una società – solitamente periferie emarginate, città decadenti, sobborghi malfamati – ma anche il protagonista: generalmente in chiaro-scuso e ai margini della legge -. Il noir è stato paragonato al romanzo realista italiano (quello di Verga, per esempio), per la ricerca della rappresentazione della realtà e della società civile. Molto spesso nel noir la figura dell’investigatore passa in secondo piano, l’importante è raccontare, attraverso l’indagine poliziesca, gli aspetti oscuri di una città o della collettività”.Io veramente non ho le idee certe a proposito, poiché il termine stesso”noir” ha una pluralità di significati anche all’interno della terminologia francese! Varrebbe veramente la pena di ristampare in albi singoli le storie di questo genere che potrebbero ringaluzzurci, di carattere comico made in France e in Itally apparse fra il 1955 e il 1960, sia sul gia citato “Travaso”o altrove , con una corposa prefazione sia storica che legata all’analisi dei contenuti e stile del disegno, senza far però pasticci: tutte storie di quel periodo, trascurate dalle grandi case editrici per decenni a causa di motivi che appaiono assai misteriosi. Per il decennio anni 50 la storia riproposta anche da Cadoni nella sua “Autobiografia” fantasy di Jacovitti, è per prima “Bobby Cianuro”, tratta dal Travaso di quell’ anno scombinato , ossia il 1957! ma Bobby Cianuro è di fatto una storia breve inventata in fretta, e ambientata negli States, quando Jacovitti non aveva minimamente nella testa “Rifif’, romanzo e suoi seguiti letterari sempre farina di Auguste Breton e una sequela di film diversi sullo stesso tema o almeno contenenti nel titolo la magica parola “Rififì”, frutto di differenti registi ed attori con l’arrivo sulla scena di Jean Gabin e in un caso inaspettato anche della nostra Gina Lollobrigida!! Il fatto che la leggenda riportata e avvalorata da Luca Boschi sempre sullo stesso volume di “Cocco Bill e il meglio di Jacovitti” n°30, che Jac abbia lavorato per “Bobby Cianuro” dall’alba alla notte di uno stesso giorno, questo per poterla farla visionare sempre al direttore Guastaveglia, cosa che a me appare incredibile; per gli anni sessanta la storia scelta da Cadoni nell’ambito suo saggio di una biografia immaginaria di Jac, è invece lo straordinario Pasqualino Rififì, disegnato in effetti fra la fine del 1958 e l inizio del 1959, ma già considerato e riscritto non solo dal presente precisamente dal sottoscritto) già proiettato verso il divenire dello stile jacovittesco. Storia a fumetti ritornata alla ribalta dopo più di 50 anni di oblio, della quale ho parlato diffusamente ma in chiave romantica/parigina in altro ambito ( Vitt&Dintorni di Marzo 2011). L’ autore definisce questa storia a fumetti una satira di certa imperante letteratura giallonera d’ oltralpe. Da dove prende le mosse Jacovitti per disegnare questa canizza parisienne? Dal romanzo di Auguste le Breton ( nome anagrafico Auguste Montfort) “Du Rififì ches les hommes” edito dalla francese Gallimard nella sua collana noir e risalente al 1954 : l’ anno seguente ne venne tratto un film, per la regia Jules Dassin – Rififì – che nel 1955 vinse la palma d oro al festival di Cannes. Il romanzo tradotto in Italia nel 1958 da Garzanti, letto ora denuncia la sua età, il film, per chi come me, l’ ha visto più volte volte, non ha perso il suo fascino. E un finale adeguato con la morte dei protagonisti tutti “cattivi”. Da notare che Jacovitti sia in Bobby Cianuro” del 1957 ,che in Pasqualino Rififì” del 1958/59 a dar cedito alla sigla con data di Jac Probabilmente Jacovitti vide il film? Io sono scettico, canticchiò forse anche la canzone motivo conduttore della pellicola in prima edizione cantata da Magali Noel, quel Rififi che da noi in Italia il cantante Fred Buscaglione con tempismo sospettorese famoso. Io ve lo dico, sono un dritto, A me nessuno fa dispetto, Lo sanno tutti che è così, perché mi garba il rififì. Musica di Philippe-Gèrard, parole italiane di Buscaglione-Chiosso. Rififi, era una parola in Argot? Secondo Andrea G. Pinketts il nome era quello del cane di Le Breton: ci dobbiamo credere??? Per i curiosi e i dubbiosi esiste il vocabolario Larousse Du français argotique et populaire. Va beh, son cose che forse se non tutti, molti conoscono. Comunque nella tavola corrispondente alla decima puntata della storia Jacovittesca, di inizio Marzo 1959, avviene una sorta di “cross-over”, in quanto entra in ballo anche il Commissario Maigret creato dal grande George Simenon: quindi in questo caso Jacovitti intreccia alla lettera due mondi che sono posti nello stesso ambiente socio /culturale, ma sono opera di invenzione e dovute a due mani diverse, tre se pensiamo al film già prima citato! Di fatto Jacovitti si riferisce al Maigret scritto ma non a quello della televisione italiana che inizierà la prima serie nel 1964!!Curioso che nessuno, a quanto mi risulta, abbia mai citato questo aspetto della storia qui in disamina. Comunque le mie impressioni io le ho scritte e riscritte per i pochi che cercandole sui saggi dedicati a Jac non le hanno trovate, anche perché benché pubblicate sono ora vaganti in uno spazio di collocazione anaomalo! Per questo in una precedente versione di questo articolo- poi lasciata nel limbo– pensando al genere noir francese. mi son sentito di inserire anche una parte, tutta farina del mio sacco, in quanto a storia narrata da Jacovitti nel clima “Noir francese”, dove da una parte tiro in ballo il Commissario Maigret di Simenon e da un altro verso ricordo lo storico incontro di Place d’Italie fra Leo Malet scrittore della narrativa “Noir” francese e della serie “I nuovi misteri di Parigi”, con protagonista il poliziotto privato Nestor Burma e Il disegnatore Jacques Tardi ai pennelli, che dei volumi di detta serie ne ha trasportati 4 in albi a fumetti editi da Casterman! Ma la progettualità un poco distratta dei fautori internet dell’Associazione Amici del Vittorioso”, portò anni fa alla chiusura del post su facebook con la sparizione degli articoli scritti dal sottoscritto, Nino Cadoni e Toto Buffatti , poi altre iniziative atte a ripartire in bellezza con l’intento di rinnovare il sito facebook. In effetti oggi come oggi tale sito funziona senza impicci, con risultati positivi: tutto è bene quello che finisce bene! La prolificazione francese della serie filmica di “Rififì “in origine scritta in forma di romanzi da August le Breton. è praticamente sconosciuta in Italia: nulla si sa sulla eventuale loro versione in forma di storie a fumetti che pue sono uscite in Francia sotto forma di strisce quotidiane! Visto che Jacovitti dopo il tribolato esordio del 1958 e 59 di tale “fumetto”, che fu pubblicato ad intervalli irregolari sul “Travaso” probabilmente causato sia degli impegni in altre sedi di Jacovitti, che delle inderogabili regole del direttore Gastaveglia ( detto Guasta, conosciuto per la sua fama di uomo “terribile”) e delle sue riunioni settimanali per “controllare” gli elaborati dei “suoi” disegnatori e fare scelte draconiane a proposito! Io penso che Jacovitti nel 1959, definito il contratto con la proprietà del “Giorno dei Ragazzi”, abbia troncato la collaborazione con “Il Travaso” e anche con “Il Corriere dello Spazio” lasciando incompleta la storia della sua esilarante e inesorabilmente critica “Storia dell’aviazione” ( antimilitarista, poco conosciuta anche dai critici nonostante la sua ristampa dovuta alla nostra Associazione “Amici del Vittorioso”), con un certo sollievo! Mi sogno tutto?? Dormo o son desto, sono rinchiuso nel reparto jacovittomani inrecuperabili del reparto “matti inrecuperabili” del manicomio di Berlino est in mano agli scherani del pazzoide criminale Putin????’??

  8. Non è da tutti trovare il filo di Arianna che permette di percorrere il labirinto
    jacovittesco rappresentato da quanto da lui prodotto dal 1939 ad un momento
    imprecisato degli anni 90. E di capire bene il senso di questa sterminata produzione.
    Credo, penso, che il lavoro di Bellacci, Boschi , Gori e Sani miri a questo.
    Secondo me il progetto – se è come io suppongo- è veramente ambizioso, nel senso
    non di una sfrenata brama di onori e casomai anche soldi, ma di un forte desiderio di
    raggiungere un obbiettivo importante. Sinceramente non saprei dire se poi questo in
    effetti è avvenuto: da che cosa nascono i miei dubbi?
    Dal fatto che- è ovvio, ma lo dico lo stesso- quanto scritto, specialmente dai magnifici
    tre toscani,( Bellacci lo tiro fuori,
    poiché la sua parte è tecnicamente
    ineccepibile) esprime spesso pareri e
    valutazioni storico critiche molto
    personali, a vote dissonanti con quello
    che di quelle stesse cose penso io; se la
    questione viene posta in tale maniera
    i contenuti del volume in questione
    sono automaticamente da considerarsi
    “discutibili”.
    Ovverosia cosa sulla quale si potrebbe
    discutere.
    Però una ipotesi del genere per
    concretizzarsi dovrebbe usufruire del
    dialogo fra le opposte ( in senso
    amichevole) parti.
    Ma non credo che Boschi, Gori e
    Sani, o anche uno solo dei tre, abbia
    motivazioni per farlo, con me o
    chiunque altro. Io ho scritto, ma non
    mi hanno risposto.
    Se si volessi fare una recensione
    approfondita del volume qui in questione – attualmente ancora stranamente latitante
    da molte librerie- non si potrebbe prescindere dal dialogo.
    Chiaramente una presentazione su “Vitt & Dintorni” nell’ambito della rubrica “Sullo
    scaffale dei libri” mi pare doveroso si debba fare “. Ma in quale modo??? Io a proposito
    in effetti qualche idea ce l’ho.
    Da buon piccolo megalomane ( mi si perdoni la contraddizione in termini ), ci
    tengo a ribadire attraverso quanto scrivo la mia individualità.
    Comunque, dovrei venire a più miti consigli e non partire lancia in resta criticando
    questo e quello?? Non so, mi sbaglio??
    Questo mi viene suggerito anche da Renato Ciavola, che dopo aver letto una bozza del
    mio articolo intitolato “Pasqualino Rififì & Dintorni”, mi ha amichevolmente tirato le
    orecchie . io l’ho poi un poco modificato .
    Però alla fine ho scritto quello che mi frullava per la testa e che trovate qui di seguito.
    Il lavoro è adatto per gli “Amici del Vitt”??
    Mah?’.
    Cordiali saluti.
    Tomaso
    Jacovitti, Autobiografia (mai scritta), a cura di Antonio Cadoni,
    Stampa Alternativa/Nuovi Equilibri editore, Gennaio 2011,
    pag.157, €20
    Ho sotto gli occhi il bel volume di “Stampa Alternativa” curato da Antonio Cadoni,
    una Autobiografia assai particolare ricavata alla lettera dalle svariate interviste rilasciate
    dal Nostro nel corso dei decenni. Le interviste in questione sono state rimontate in
    modo il più possibile cronologico per dare l’impressione di una continuità progressiva
    nel tempo.
    Documentatissima dal punto di vista iconografico questa parte del lavoro del nostro
    Cadoni ci dà un’idea di quale portata ed importanza sia l’archivio personale
    dell’autore, certamente il più importante in assoluto.
    A pagina 77 una “Bibliografia essenziale” elenca in ordine di data ben 35 interviste
    apparse sui più disparati e a volte inaspettati “contenitori”: dalla prima risalente al 1959
    a quella postuma del 1998 ospitata sul n°559 de “Il Venerdì” del 27 Novembre di
    quell’anno.
    Da pagina 139 a157 fa bella mostra di sé la completissima ed illustratissima (due
    superlativi)“Cronologia Jacovittiana”: ne sono stati fatti dei passi in avanti da quando
    nel 1969 sul mensile ”Il sergente Kirk” del genovese Ivaldi apparve la prima cronologia
    jacovittesca redatta da Manfredo Gittardi!!
    Ma in verità Jacovitti non teneva molto conto di queste cose e spesso non rispondeva in
    modo coerente alle domande che gli venivano fatte.
    Inoltre molti intervistatori presumibilmente si prendevano delle licenze, non solo
    formali, quindi a volte c’è da dubitare che quanto poi è stato pubblicato sia in effetti
    corrispondente al vero
    Quelle sono esternazioni assai bislacche nell’ambito delle quali il Nostro prende fischi
    per fiaschi; non so se per un lapsus della memoria o per una sottile voglia di
    rimescolare le carte per scopi sui quali si potrebbe dissertare all’infinito.
    Di quali dichiarazioni si tratta? Se siete curiosi andate a pagina 29 del prima citato
    volume curato da Antonio Cadoni e le troverete.
    Tutti sappiamo che Jacovitti non sempre era puntuale e preciso nelle sue esternazioni
    di ricordi e memorie, confondendo non di rado date e nomi: a volte forse
    volutamente, per tenere sulle spine gli intervistatori, altre volte per dare di sé una
    immagine diversa, apparire come probabilmente in certe circostanze avrebbe voluto
    essere,
    Questo è un tratto comune a tutte la autobiografie, diari, memoriali e quant’altro scritto
    con l’intento di mandare ai posteri un messaggio personale, di tramandare una certa
    immagine di sé
    Non per niente ci sono storici specializzati nel valutare l’attendibilità delle prove
    documentali.
    Io non ho intenzione di esaminare al microscopio le interviste, anche perché – bisogna
    pur dirlo- a volte erano trascritte da semplici telefonate, fatte a voce in modo
    improvvisato; anche per quelle fatte per lettera o registrate in audio o in video non
    pensiate sia semplice risalire alle prove documentali originali.
    Qualcosa ho guardato, letto e visto e su tutto quanto ho sempre preferito lavorare a
    modo mio traendone spesso dei pastiches, cosa che ho intenzione di fare anche questa
    volta,
    Lo faccio per puro e semplice egoismo, ossia perché traggo soddisfazione nello
    scrivere come e quello che mi garba.
    Penso al grande Jac che per sua stessa ripetuta ammissione, leggeva molto: già, il
    nostro “Lisca di Pesce: ammirava lo scrittore Italo Calvino, il suo “Cavaliere
    inesistente”, la sua indimenticabile traduzione (1967) de “I fiori blu” di Raymond
    Queneau e la sua postfazione a detto romanzo che inizia con la seguente citazione:
    secondo un celebre apologo cinese, Chuang.tzé sogna d’essere una farfalla; ma chi dice
    che non sia la farfalla a sognare d’essere Chuang-tzé.
    E Jac andava anche spesso al cinema ( non solo films western), dove si addormentava
    sognando di vedere un film con protagonista lui stesso che faceva la parte di uno
    spettatore intento a guardare un bel film. Poi, svegliatosi, andava a casa dove, stanco
    morto, cadeva in un profondo sonno senza sogni: la storia a fumetti del 1941 (
    disegnata nel) “Pippo indaga” è nata proprio in tale modo.
    Quella del 1942 “Alì Babà”, la prima ad essere stata pubblicata a tutta pagina a colori
    su “Il Vittorioso” nel corso del 1942 invece Jac la fece ad occhi ben aperti avendo
    come “spalla l’esperto Enrico Basari come aiuto per la sceneggiatura ( intervista del 24
    Luglio 1987 a Forte dei Marmi”).
    In comune queste due storie hanno in comune il fatto che nate con le nuvolette
    dovettero essere poi sforbiciate per eliminare i baloons , invisi al MINICULPOP,
    sostituiti da didascalie.
    La storia “Peppino il Paladino”, disegnata nel 1942 ma pubblicata sul “Vitt” tre anni
    più tardi, la prima riproposta nel volume qui in oggetto ( che divide in decenni l’intero
    opus iacovittiano) con una resa assai discutibile della qualità grafica, è assai singolare
    perché appartiene al periodo nel quale per ordine sempre del Ministero della cultura
    popolare, dovette essere abbandonata persino la quadrettatura delle vignette; problema
    questo che il nostro “Lisca di pesce “risolse da par suo, tanto che alcuni di quei lavori a
    cavallo fra il 1942 e il 43 – prendo ad esempio “Caccia grossissima”( l’ultima puntata
    apparsa su “Il Vittorioso” n° 22 del 1946, in fondo a destra nell’ultimo quadretto
    mostra la sigla JB 43) che ne è l’esempio calzante, è a mio parere sotto tutti i punti di
    vista STRAORDINARIO!!
    Varrebbe veramente la pena di ristampare, senza far però pasticci, tutte le storie di quel
    periodo, trascurate dalle grandi case editrici per motivi che appaiono assai misteriosi.
    Per il decennio anni ’50 la storia riproposta è “Bobby Cianuro” tratta dal “Travaso”di
    quell’anno”; per gli anni sessanta la storia scelta è invece lo straordinario “Pasqualino
    Rififì”, disegnato in effetti fra la fine del 1958 e l’inizio del 1959, ma già proiettato
    Verso il divenire dello stile jacovittesco.
    Storia a fumetti ritornata alla ribalta dopo più di 50 anni di oblio, della quale ho
    parlato diffusamente in altro ambito ( Vitt&Dintorni” di Marzo 2011).
    L’autore definisce questa storia a fumetti “una satira di certa imperante letteratura
    giallonera d’oltralpe. Da dove prende le mosse Jacovitti per disegnare questa canizza
    parisienne?
    Dal romanzo di Auguste le Breton ( nome anagrafico Auguste Montfort) “Du Rififì
    ches les hommes” edito dalla francese Gallimard nella sua collana noir e risalente al
    1994 : l’anno seguente ne venne tratto un film, per la regia Jules Dassin – Rififì – che nel
    1995 vinse la palma d’oro al festival di Cannes.
    Il romanzo tradotto in Italia nel 1958 da Garzanti, letto ora denuncia la sua età, il
    film, per chi come me, l’ha visto cento volte, rimane un capolavoro.
    Probabilmente Jacovitti vide il film, canticchiò forse anche la canzone motivo
    conduttore della pellicola, quel “Rififi” che da noi in Italia il cantante Fred Buscaglione
    rese famoso.
    Io ve lo dico, sono un dritto,
    A me nessuno fa dispetto,
    Lo sanno tutti che è così,
    perché mi garba il rififì.
    Musica di Philippe-Gèrard, parole italiane di Buscaglione-Chiosso.
    Rififi, era una parola in Argot? Secondo Andrea G. Pinketts il nome era quello del
    cane di Le Breton: ci dobbiamo credere???
    Per i curiosi e i dubbiosi esiste il vocabolario Larousse Du français argotique et
    populaire. Va beh, son cose che forse se non tutti, molti conoscono.
    Comunque io le ho scritte e riscritte per i pochi che cercandole sui saggi dedicati a Jac
    non le hanno trovate.
    In pratica gli anni sessanta vengono elusi ( si sarebbe potuto includere una storia come
    “Pippo zumparapappà”, ancora inedita dopo la prima ed unica pubblicazione su “Il
    Vittorioso” del 1962, ma……).
    Arrivano gli anni settanta ed ecco il vero e proprio scoop: Sandocan, storia che capita a
    proposito poiché quest’anno corre il centenario della morte dello scrittore Emilio
    Salgari.
    Digressione figurata
    Alla fine mi sono deciso: ho impacchettato il mio lungo articolo recensione su “
    Autobiografia di Jacovitti, 60 anni di surrealismo a fumetti” e mi sto dirigendo verso
    l’ufficio postale per spedire il tutto alla Redazione de “Gli Amici del Vitt”.
    Ho sudato sette camicie, ho dovuto superare mille ostacoli ma alla fine ce l’ho fatta!
    Non mi rimane che percorrere i tre chilometri che mi separano dall’ufficio delle poste
    del quartiere “Nuova Atene”, dove l’amico direttore Padre Gorla mi attende per gli
    ultimi accordi, ormai nessun ostacolo può impedire la positiva conclusione di questo
    importante evento.
    Il fato questa volta mi è favorevole!
    Mi illudo: intravedo alto nel cielo il dirigibile a strisce rosse e blu del pirata Lu-Feng
    che si sta abbassando in modo pericoloso.
    Scorgo il volto diabolico dell’indistruttibile (
    teoricamente già defunto negli anni trenta
    nell’ambito della saga dei pirati della
    Malesia portata avanti da Luigi Motta)
    cinese che mi guata con piglio feroce; lui
    non sa che io conosco la sua identità occulta
    rivelatami dallo scrittore messicano Paco
    Taibo II°.
    Voi l’ignorate? Beh, incredibilmente trattasi
    del prof. Moriarty di sherlockiana memoria!
    Siete perplessi? Vi rimando alla lettura
    de”Ritornano le tigri della Malesia”, dovuto
    alla immaginifica penna di Paco Ignacio
    Taibo II°, edito or ora da Troppa Editore
    in Mediolanum, euro 19,90.
    Perché poi il malefico individuo da anni
    congiuri per impedirmi di far pubblicare su
    “Vitt& Dintorni” i miei scritti, lo ignoro.
    Ed ecco sbucare una torma di orripilanti
    straccioni che urlando e brandendo armi
    bianche di vario taglio e dimensione si
    gettano su di me.
    Sono perduto!!
    Riecheggiano in rapida successione svariati colpi
    di pistola e furibondi ringhi e latrati: Holmes è
    della partita affiancato dai suoi terribili cento
    mastini di Baskerville ( tutti discendenti dal
    famoso capostipite nativo delle brughiere del
    Devon).
    L’ orda dei miserabili aspiranti assassini vacilla,
    arretra, si ferma ed è presto messa in fuga
    lasciando sul terreno un migliaio di cadaveri
    crivellati da proiettili o sbranati senza
    misericordia.
    Imperturbabile Holmes mi guarda: Thomas, di
    nuovo nei pasticci, come al solito. Volge gli
    occhi al cielo e con un cenno al fedele
    Kammamuri dà l’ordine di fare partire la
    batteria di missili terra –aria.
    Alto nel cielo il dirigibile del truce Lu –Feng
    colpito e in preda alle fiamme si allontana verso
    oriente, in direzione del 13°, un arrondissement
    della capitale parigina, ricco di quartieri
    popolati da figli del celeste Impero. Un boato
    lontano, un bagliore improvviso : la fine della
    miserabile canaglia??
    Sandokan con gli occhi iniettati di sangue si spoglia completamente e nudo con il
    serpeggiante kriss stretto fra i denti si butta nelle turbinose acque della Senna; lo vedo
    nuotare velocemente verso la riva sinistra.
    Ha giurato di tagliare la testa a Moriarty alias Lu –Feng, di certo manterrà la sua
    promessa: la Tigre non perdona!!
    Io sospiro di sollievo: Sherlock, sempre presente al punto giusto, ma come fai??
    I cento mastini uggiolando mi sono attorno, li accarezzo uno per uno, li conosco
    benissimo per essere stato il loro padrino tanti anni fa .
    Volete che vi racconti come ebbi modo e maniera di salvarli dalle grinfie di Moriarty
    che li voleva spellare vivi e con le loro pelli opportunamente conciate rivestire i suoi
    divani Frau??
    Noo, ma, ma, me la caverei con poco, al massimo una decina di paginette scritte…..
    “Dai Thomas”, mi bisbiglia Holmes, vieni con me, ho prenotato un intero treno- the
    tunnel train- che fra un’ora partirà per l’Inghilterra e in men che si dica arriverà a
    destinazione: laggiù, in quel di Battle on the hill ti aspetta Lady Gaga che ti vuole
    consegnare di persona un rarissimo romanzo di Luigi Motta edito da Odham Press,
    London, Agosto 1939, intitolato The red planet.
    Sobbalzo dalla sorpresa: alla fine Lady Gaga ce l’ha fatta, alla faccia di Claudio Gallo
    che non ha mai voluto credere all’esistenza di questo volume.
    Claudio Gallo, l’occulto manovratore della sezione storica della biblioteca civica di
    Verona, in combutta con Gallinoni e Gallinari ( quest’ultimo ora residente a Firenze
    per oscuri motivi) hanno cestinato il mio annoso lavoro sulle storie a fumetti scritte da
    Luigi Motta dal 1936 al 1955, alcune apparse poi postume.
    Va beh, che ci volete fare, questa è la vita!!
    Ritorno all’ordine (quasi).
    Il decennio degli anni ottanta vede il Nostro alle prese con seri problemi di salute. Nel
    1982 si ammala gavemente la moglie e Jacovitti risente in tal modo della pesante
    situazione da avere un crollo nervoso tale da ridurlo balbuziente: dovrà sottoporsi per
    alcuni anni a cure appropriate, ma ancora nel 1987 leggermente balbetta.
    Il suo disegno ovviamente ne risente, complice anche un forte calo della vista e il
    diabete che lo debilita e che lo costringe ad una alimentazione controllata.
    La storia Cocco Beach, 1986, rivela con un disegno sofferente questa situazione di
    forte disagio.
    Ed eccoci arrivati al dolente periodo degli anni novanta, con Jacovitti in precaria
    salute, tanto da dover ricorrere ad aiutanti vari: ahimè, che cosa ti combina l’editrice
    “Stampa Alternativa”??
    Va a pescare nelle acque poco chiare rappresentate dalla collaborazione di Jacovitti con l’agenzia “Il Soldatino” del compianto Vezio Melegari”.
    Tutti i lavori firmati Jacovitti ed apparsi sul trimestrale della “Banca Popolare
    dell’Emilia Romagna” sono del falsi autorizzati dall’autore! Disegnati in realtà da
    Ferrara prima e Triscari poi. Il loro nome appare in ultima pagina in fondo a destra di
    ogni lavoro.
    Tutti sanno come sono andate le cose, quindi perché non parlarne?? .
    Così anche il “Collodjacmelevittirime”, risalente all’autunno del 1990, proposto dal
    volume del quale si sta parlando è nient’altro un “Jacovitti per procura”.
    Non ci credete? Io posseggo l’intervista video girata a Forte dei Marmi il 20 Agosto
    1993!! Il video di Bellacci, Pierre , Gori e Sani che armati di videocamera
    immortalarono Jacovitti in bicicletta.
    In questo ambito Jacovitti confessa ingenuamente ogni cosa.
    Va beh, pazienza , si deve pur campare.
    Ma per evitare di portare avanti ipotesi campate in aria e dichiarazioni che mi
    potrebbero portare in galera, mi sono deciso ad incontrare Jacovitti per conoscere alla
    fonte come sono andate in realtà le cose..
    L’occasione si presenterà di nuovo oggi, qui a Parigi dove Jac invitato dal disegnatore
    Georges Wolinsky sta esponendo numerose sue tavole originali nell’ambito di una
    mostra ospitata in un teatro della riva sinistra, in pieno quartiere latino,
    Soppeso il volume in questione e devo convenire che vale molto di più dei 20 euro che
    costa, non fosse altro per la ristampa delle storie a bellissimi colori “Bobby Cianuro” e
    “Pasqualino Rififi” tratte dal “Travaso del 1957/59 e fino ad ora mai ristampate.
    Poi la “chicca”; il Sandocan ritrovato, tre tavole di una storia probabilmente mai
    continuata della quale apparve solo una sintesi di una pagina pubblicata su “Il Corriere
    dei Piccoli”in data 4 Agosto 1977. L’anno prima il Nostro aveva disegnato il famoso
    “Salgarone”, apparso quasi postumo alla fine del 1997 a cura del romano Edgardo
    Colabelli, opera questa che sta fra il fumetto e l’illustrazione e che presumibilmente
    ebbe come coda l’incompiuto Sandocan. Una vera novità,
    Ed altre novità ce ne sono proprio oggi in arrivo mentre
    scocca or ora mezzodì ed io mi trovo sull’autobus della linea numero 84 diretto al
    mercatino di rue Levis dove alla Brasserie della piazzetta omonima Jacovitti mi aspetta
    per rilasciarmi la sospirata intervista.
    Inizia a piovere, un temporale improvviso con vento e polvere nell’aria
    L’acqua scorre sulla strada in discesa, specialmente ai lati, tanto che trabocca in parte
    sul marciapiede.
    Mi rifugio nel primo Bistrot che trovo.
    Seduti ad un tavolo chi vedo?? Ciavola, Gallinoni e Pazzi con davanti scodelle fumanti
    di zuppa di cipolle e un magnum Veuve Clicquot,
    Ecco mi hanno visto !! Agitano le mani: ehi Tomaso, vieni qui, c’è posto, camerieregridano ad alta voce- un altro coperto.
    Arriva Vito Mastrorocco in persona con una zuppiera di trippa fumante e un
    bottiglione coperto di goccioline semigelate che appoggia orgogliosamente sul tavolo:
    ecco qui per te caro vecchio amico del Vitt, questo è un Primat, contiene ben 27 litri di
    champagne, nel caso tu non lo sapessi!!
    “Ma, ma”, balbetto,”non saprei, mi sembra esagerato”.
    Sogghigna felice Vito: la bottiglia più grande fa lo champagne più buono! Io, da parte di
    nonna materna, sono un Drapier (antica stirpe di viticultori) e nei miei vigneti
    dell’Aube, dalle parti di Troyes, pratico ancora la presa di spuma, il remuatage e la
    sboccatura.
    Io mi schernisco: ma, champagne così a quest’ora, non sono avvezzo, non vorrei che
    mi potesse dare alla testa.
    Ciavola sorride: allora dovrai mangiare anche qualcosa, che so, la trippa alla normanna,
    è la specialità della casa.
    Gallinoni assente e scorgendo il volume che ho appoggiato sul tavolo dice: ah, è il
    volume di Stampa Alternativa curato dal nostro Cadoni, tu che ne pensi Pazzi?
    L’interpellato che sta scolando una coppa di nettare ben gelato prende tempo e dopo
    aver schioccato la lingua mugugna qualcosa di inintelligibile. Capisco solo Peppino il
    Paladino e “sito internet” .
    Il dolente problema del sito internet degli “Amici del Vittorioso”….. Per quanto invece
    riguarda la storia di Peppino il Paladino c’è in effetti ogni ragione per mugugnare visto
    in quale modo è stata ristampata, tanto da suscitare più di una reazione, una fra tutte
    quella della stessa figlia del grande Lisca di Pesce ,che detiene il copyright dell’opera
    omnia del celebre padre.
    Facendo una recensione non è obbligatorio incensare a tutti i costi e se c’è qualcosa
    che non quadra non bisogna avere peli sulla lingua.
    Quindi, cara Stampa Alternativa, per la qualità della riproduzione della storia qui in
    questione, bollino rosso!
    Mi siedo sospirando : amici miei, okay, però non posso restare tanto, c’è Jacovitti che
    mi aspetta, avrei dovuto incontrarlo proprio da queste parti, ma pare che sia di nuovo
    in rue Suger, io ci sono già stato ieri, quindi non so se tornarci o meno.
    “Ma ieri che cosa è successo, che ti ha detto Jac??”Risuonano all’unisono le tre voci.
    “MMMH, dico inghiottendo cucchiaiate di trippa, avete tempo da perdere? Si, bene,
    ora ve lo racconto per filo e per segno :
    Ah, che bello scarabocchiare, recito con enfasi ad alta voce!
    Come? Perché lo faccio? Perché mi diverto.
    “Ma un disegno più preciso e pulito?” la voce echeggia disturbante.
    Jacovitti mi scruta corrrrrrrucciato.
    “Maestro” sussurro, “c’è qualche erre di troppo”
    Ride Lisca di pesce: sta giocando a briscola con Georges Wolinsky e in questo preciso
    momento sta estraendo dalla manica il suo sesto asso. Wolinsky per non vedere si è
    tolto gli occhiali e volgendosi verso di me ammicca: dai Tomaso, fai presto, hai finito
    con quello straccio, il pavimento è pulito?
    Ecco come sono finito: dovevo”sgommare” qualche tavola dei due concentrati
    giocatori invece – quei bellimbusti- hanno deciso altrimenti!! Se non fosse che Dubout
    ha promesso di lasciarmi squadrare le sue tavole e forse pure di farmi colorare gli
    sfondi delle sue illustrazioni del romanzo di Marcel Pagnol,”La gloir de mon père”
    edito da Pastorelli, non sarei qui in rue Suger .
    Colorare….insomma, usare solo il giallo ( l’azzurro? No, troppe possibili variabili di
    tono).
    Apro la finestra del minuscolo appartamento e mi sporgo per vedere meglio la folla
    che sotto di me gremisce la piazza di St.André des Arts. Sono tutti fans di Jacovitti che
    attendono la quotidiana gratuita distribuzione delle tavole originali del Maestro: davanti
    a tutti un imberbe Luca Raffaelli, non vedo Andrea Sani, strano molto strano
    Probabilmente il futuro arguto filosofo fiorentino sarà ancora al Bistrot a consumare la
    solita pentolaccia di ribollita in compagnia del prof . Michel Pierre.
    “Maestro”dico con tono reverente rivolgendomi a Jacovitti,” ma che accadde in realtà
    alla fine del lontano 1959?
    “Tomaso” sospira Jac,”qui si tratta di parlar di soldi, lo sai, non si campa di sola aria!
    Alla fine del 1959 la direzione del “Giorno” mi propose un contratto in esclusiva con
    uno stipendio fisso di 700.000
    ( settecentomila ) lire più un tanto ogni tavola, però
    non avrei più dovuto collaborare con nessun altro.
    Così dovetti lasciare perdere le tavole per “Il Piccolo Missionario”, la collaborazione
    con “Il Travaso”e quella con “Il Corriere dello Spazio”.
    Qualche mese prima c’era stato un poco di attrito con Maner Lualdi per la “Storia
    dell’aviazione”, scritta da lui stesso e illustrata non ricordo più da chi, che era già partita
    da alcuni mesi in vista della prossima fine del “Vola Hop”.
    Una cosa che non mi aveva garbato punto, tanto che saltai un mese nella consegna di
    una tavola.
    Poi Lualdi era partito per uno dei suoi viaggi di esplorazione in aereo e non ebbi più
    modo di contattarlo; ne parlarono tutti i giornali di quel viaggio che era stato
    sponsorizzato dalla Fiat:
    L’aereo utilizzato era per l’appunto un Fiat monorotore G.49: mi pare che si trattasse
    di attraversare l’Atlantico e poi l’America da est ad ovest e poi giù fino al Perù e la
    Terra del fuoco per un totale di 60.000 chilometri.
    Quando poi tornò in Italia, un paio di mesi dopo, io ormai lavoravo a tutto ritmo per il
    “Giorno dei ragazzi” e per altri supplementi del quotidiano milanese che allora era
    diretto- mi pare- da un tal Baldacci.
    Quindi al “Vola Hop” non ci pensò più nessuno”
    Io osservo attentamente Jacovitti; ma allora la fantomatica nona puntata di questa storia
    non fu mai disegnata??
    “Mi pare proprio di no”
    Io sono allibito.”Ma l’anno scorso tu mi dicesti che fra te e Maner Lualdi erano nate
    divergenze di tipo politico, perché avevi sbertucciato gli aviatori dell’Ala Fascista, quelli
    che nel 1935/36 in Etiopia avevano sganciato bombe all’iprite( un gas vescicante) e
    mitragliato la popolazione in fuga dopo la battaglia del lago Ascianti! Ci furono migliaia
    di civili uccisi, donne , vecchi e bambini, un massacro vergognoso, una notizia che il
    fascismo fece di tutto perché non divenisse di dominio pubblico e che di fatto rimase
    sommersa fino agli anni sessanta, quando il giornalista Angelo del Boca ( poi docente
    di storia contemporanea all’Università di Torino) iniziò a pubblicare reportages
    sull’argomento e tirò fuori tutta la verità nei servizi giornalistici e in ben due libri (
    Feltrinelli editore) che fecero scandalo”
    Jacovitti si toglie gli occhiali e si gratta la testa: Lualdi non aveva gradito il fatto che
    avessi disegnato le azioni belliche dell’aviazione durante la prima guerra mondiale
    denunciando che questo uso dell’arma aerea contraddiceva lo spirito che animava i
    pionieri del volo, che era improntato a ben altri ideali .Poi consultando delle riviste
    inglesi sull’aviazione scoprii la loro versione sul comportamento dell’Ala Fascista nella
    guerra d’Etiopia e ne rimasi molto turbato.
    Io nel 1936 avevo tredici anni e avevo realmente creduto che quella guerra fosse stata
    fatta per portare la civiltà in un paese considerato selvaggio, ma non potevo sapere che
    in realtà si era trattato di una ingiustificabile aggressione ad un paese sovrano composto
    da una popolazione in maggioranza cristiana, riunita in tribù ed armata
    prevalentemente di lance e pochi fucili.
    Io avrei voluto continuare il “Vola Hop per denunciare tutto questo, ma il contratto
    con il “Giorno …..”
    “Mah, allora”, faccio io,”la causa dell’incompiutezza del “Vola Hop” è in pratica da
    addebitarsi solo a questo contratto ??”
    “Si, in pratica accadde proprio questo.” Jac sospira e si rimette gli occhiali, ”Mia moglie
    fu molto felice che io avessi avuto quello stipendio fisso, una sicurezza per tutta la
    famiglia”.
    Ma e “Il Vittorioso”?? Con l’AVE hai pure continuato a collaborare: storie a fumetti, il
    Diario Vitt , le copertine per il Vittorioso Poi i cartoni animati per la Televisione,
    Pecor Bill per l’industria Lanerossi di Vicenza: come mai??
    “Ahh, si, si, per “Il Vittorioso”fecero una eccezione, potevo fare una sola storia a
    fumetti all’anno, così come per alcune storielle che avevo preparato per un giornaletto
    che si chiamava “Allegria. Pecor Bill in realtà l’avevo disegnato tempo prima e il
    contratto con Lanerossi era già stato stipulato da oltre un anno”.
    Sono perplesso, la cosa non mi convince del tutto, Però è pur vero che dal 1960 su “Il
    Vittorioso” iniziarono ad essere ristampate vecchie storie a fumetti del Nostro e che
    apparve a puntate solo un nuovo lavoro, “Pippo e il Cirilimpacco”.
    Il quale, è pur vero, a volte si confonde con date e nomi, ma su questo fatto specifico
    mi sembra sincero e privo di dubbi
    “Il 1960”, riprende Jac,” fu un anno strano, avevo acquistato con i primi stipendi una
    automobile nuova-la prima era stata una”topolino”usata con la quale al sabato e alla
    domenica andavamo al mare; poi nel 1964 comperai anche la casa a Forte dei Marmi
    consigliato da mio cognato architetto. Comunque il 1960 me lo ricordo bene, l’anno
    delle olimpiadi a Roma , del film di Fellini “La dolce vita”, poi mi ricordo di un altro
    film stranissimo, francese , con una bambina che a Parigi scappava di casa….”
    “Zazie nel metrò” faccio io, “un film del regista Louis Malle tratto dall’omonimo
    romanzo di Raymond Queneau”.
    Jacovitti mi guarda sorpreso.”Si, si, mi pare proprio quello, c’era pure Philippe Noiret
    giovanissimo e anche Vittorio Caprioli in una parte un poco strana, anzi se ben ricordo
    interpretava più personaggi contemporaneamente ma tutto il film era piuttosto
    bislacco; io poi lessi anche il libro- a quel tempo ci vedevo ancora bene e leggevo
    moltissimo, un poco di tutto e alla fine finivo per conoscere di tante cose un po’, non
    come Umberto Eco che è un tuttologo. ”.
    “Ehm, ehm” intervengo io per evitare che Jac inizi a parlare a ruota libera uscendo dal
    seminato,” si, Raymond Queneau, l’autore di Zazie nel metrò era a quel tempo uno
    scrittore elitario e con quel romanzo nel 1959 riscosse un successo incredibile( mai
    ripetutosi), ma il film di Malle fu un fiasco colossale, a parte il primo mese di
    proiezione nelle sale parigine)e , tanto che dopo uscì dal circuito e scomparve
    nell’oblio. Ora, dopo decenni, è uscita sul mercato una copia ottimamente restaurata
    alla quale sono stati ridati i vivaci toni del tecnicolor.
    Il film rivisto oggi a distanza di più lustri che fa pensare”
    Jacovitti mi guarda interessato: una versione restaurata?? Ma come l’hai avuta??
    “Beh, me l’ha procurata mio cognato che è un accanito cinefilo, pensa, ha una
    filmoteca che contiene più di quattromila pezzi!!”
    Cade il silenzio sugli astanti, tutti restiamo per un po’ cogitabondi.
    Caprioli?? penso io, ah si l’attore, da non confondersi con il quasi omonimo Franco.
    Jacovitti intuisce al volo: Fulvia Caprioli ti ha strigliato per le domande che ti sei ed hai
    posto a proposito del disegnatore in questione??
    “Ma” bisbiglio,” sai per quella faccenda dello stile del disegno che nel 1958 passò
    inopinatamente dal puntinato al tratteggio…”
    Jac si fa serio: e beh, l’AVE esportava da decenni le nostre tavole di fumetti all’estero
    senza pagarci una lira e perdipiù quando dalla Francia arrivò la richiesta di tavole dal
    disegno meno elaborato e senza le sottigliezze che il grande Caprioli metteva in opera
    con infinita pazienza, qualcuno della direzione e/o dell’amministrazione ebbe la
    sfrontatezza di intimare a Caprioli di usare solo il tratteggio; poveretto, doveva pur
    campare e dovette sottostare a quella richiesta”.
    Wolinsky che ha ascoltato tutto in silenzio prende la parola: che ingiustizia, vittima
    della miopia culturale di qualche testa di legno. Mah, erano tempi grami.
    Sospira il disegnatore francese( direttore anche del mensile “Charlie”)e con tono
    accorato prosegue: invece con questo romanzo di Zazie , demistificante, beffardo e
    surreale, Queneau ebbe proprio in quegli stessi anni un grandissimo successo: il solo
    best seller di tutta la sua vita di scrittore .
    Le stesse cose che ho appena detto io, penso.
    “Il romanzo in questione ha avuto di recente una edizione illustratissima, hai
    presente??”
    “No”faccio io,” mi pare che –come al solito- in Italia non sia mai arrivata. Ne avevo
    sentito parlare da Jean-Paul Rappaneau”, il dialogista del film in questione, nell’ambito
    di un breve video allegato alla nuova versione del film stesso”.
    Guardo Jacovitti che sta maneggiando il mazzo di carte: una domanda mi prude sulle
    labbra.
    “Ma come mai poi passasti nel 1968 alla Rizzoli, se al “Giorno” ti pagavano così
    bene?”
    “Ahh” fa Jacovitti,” nel 1968 il “Giorno” era in crisi, problemi non solo economici,così
    accettai lo stipendio della concorrenza e iniziai le storie per “Il Corriere dei Piccoli” e
    le tavole per la “Domenica del Corriere”.
    Lascio Jacovitti pensoso e Wolinsky che mi guarda con espressione indecifrabile.
    Decido di andarmene .
    Georges e Lisca di pesce hanno ripreso a giocare a carte e non si accorgono nemmeno
    che me ne vado.
    Sospiro, ho finito di raccontare.
    Renato Ciavola non ha resistito e dorme beatamente con un vago sorriso sulle labbra.
    Gallinoni è uscito per un imprescindibile impegno ( un rendez-vous con una vecchia
    fiamma?) , Pazzi e giù nelle cantine con Vito per assaggiare la famosa annata 1981 di
    un “secco”dell’Alvernia”.
    Ho deciso di non ritornare in rue Suger e attacco il terzo piatto di trippa annaffiato dal
    Veuve Clicquot generosamente offerto (spero) dagli Amici del Vitt..
    A voi cari lettori l’ingrato ma stimolante (me lo auguro) compito di separare il grano
    dal loglio.
    Postfazione
    Con Zazie nel metrò
    Il freddo vento di tramontana non mi dà tregua.
    Il metrò, non resta altro da fare che immergersi di nuovo
    nelle viscere della terra: il mostro, ormai tutto
    automatizzato, corre velocemente nel sottosuolo e ormai
    dovrei essere quasi arrivato.
    Mah, non mi raccapezzo più, ma dove mi trovo?
    Guardo il grafico che schematicamente mi presenta il
    percorso di andata e ritorno di questo treno: perbacco,
    mi dice che inopinatamente sono sulla linea 12 e non
    sulla 6 come credevo!
    Dunque, facciamo mente locale: scenderò fra due
    fermate a “Pasteur”, poi vedrò il da farsi.
    Una ragazzina seduta di fronte a me mi guarda
    sorridendo, ha in mano un paio di albi a fumetti di grande formato .
    Riesco a sbirciare: accipicchia uno è l’edizione francese di “Pippo nel castello di
    Rococò”, l’altro l’introvabile “Cucu” a colori del 1943.
    “Sei Prospero?” mi chiede la bimba con voce speranzosa: la osservo bene, avrà più o
    meno dieci/dodici anni, occhi e capelli scuri con la frangetta, maglione rosso e blue
    jeans, ai suoi piedi sta accoccolato un bel gattone tutto nero con una
    macchia bianca sotto il collo.
    “No, mi spiace non sono Prospero, bensì Tomaso Prospero, una sottigliezza semantica della quale tenere conto! ma tu che fai, viaggi sola sulla metropolitana, di chiè quel bel micio”
    Sospira rassegnata la ragazzina: eppure mi sembrava….io mi chiamo Zazie e vivo nel
    Metrò e il gatto si chiama Gris-gris ed è di Chloe, una mia seconda cugina: l’ho trovato
    in casa nascosto dietro il frigo, mentre quella mezza scema lo sta cercando per tutto il
    quartiere della Bastiglia.
    “ Ma che stai dicendo, stai mescolando il grano con il loglio! Zazie nel metrò è un
    romanzo di Raymond Queneau scritto nel 1959, un grottesco/surreale che sarebbe
    piaciuto – e forse piacque – al grande Jacovitti, un disegnatore che non penso tu possa
    conoscere .
    Se ne fece anche un film, 50 anni fa, un divertissement del regista Louis Malle con
    interprete principale una bimba di nome Chaterine Demongeot”.
    “ Chaterine la vacca! (mon cul! nella versione originale francese) non sono io quella”,
    esclama corrucciata la presunta Zazie.
    Mi guarda seriamente e dice: ti piacerebbe avere anche tu 12 anni , non invecchiare
    mai e passare tutto il tempo nel metrò’?”
    Io sto allo scherzo: già, ma che vita sarebbe sempre chiusi qui sotto notte e giorno,
    mese dopo mese. Una cosa da incubo.
    “No, no,” fa Zazie, “il metrò esce anche all’aperto, corre in alto e si può vedere tutta la
    città, ci si può fermare in superficie e girare all’interno delle stazioni; ci sono ristoranti,
    negozi , librerie, bagni pubblici e persino sale cinematografiche, non è poi così male.
    Io ieri, a proposito di film, ho visto”Ognuno cerca il suo gatto”, molto carino, con
    quella rimbambita di mia cugina Chloé, che fa la parte dell’oca giuliva!
    Devo anche incontrare mio zio Gabriel, un vero arcangelo,
    che di mestiere fa la ballerina gitana, poi insieme dovremo
    andare dal un altro zio che ha una bella casa su dalle parti di
    Porte des Lilas; non so se lo conosci, si chiama Cédric
    Klapisch, di professione regista, lavora nel cinema! Hai capito?”
    Io sono preoccupato per il discorso un poco sboccato e
    sconclusionato della bambina. ”Ma come ti chiami
    veramente, su dimmi la verità”.
    “Sono Zazie e questa è la prima volta che viaggio con il
    metrò”.
    Io penso che l’unica cosa sensata da fare sia cercare un
    controllore, qualcuno che lavori qui sotto , oppure un
    poliziotto e consegnarli la bambina che – secondo me- si è
    smarrita.
    Accidenti , mi sono distratto e ho saltato la fermata “Pasteur”, che fare adesso?
    Zazie mi guarda e comprende: ti sei sperduto, hai sbagliato treno, dove devi andare??
    Sai, c’è anche un altro mio zio, Noiret, che lavora di notte nei cabarets, potremmo
    andare da lui che vive a Montmartre, dalle parti del Mercato delle pulci, lui conosce
    bene Parigi!”
    Penso che la faccenda si stia ingarbugliando.
    “Guarda Zazie, scendiamo alla prossima fermata e poi chiederemo aiuto a qualche
    addetto ai lavori”. Il treno si arresta e io scendo velocemente: accipicchia sono a
    Jussieu, sulla linea 7!
    Mi guardo intorno, Zazie non c’è. È rimasta sul metrò che ormai è scomparso nella
    galleria. Che faccio?
    Non mi resta che salire in superficie
    La ragazzina mi ha lasciato una grossa busta nella quale, io presumo, siano contenuti
    gli albi da me precedentemente intravisti.
    ”La devi consegnare a Jacovitti- che io conosco benissimo- che è vivo e vegeto”, mi ha
    detto con un sorriso innocente, “io posso mandarti in qualsiasi luogo e in qualsiasi
    tempo”, ha aggiunto seriamente.
    Una situazione metafisica, surreale, un sogno ad occhi aperti, una questione di farfalle
    e di filosofi ( o viceversa)??
    Tomaso Prospero Turchi
    Si, è nel giusto Santinuzzo, il pezzo proibito era intitolato “Ali Baba”, confusione mnemonica ha voluto si sia trasformato in Baba Yaga! Eeeeh, l’età….
    Credo che se Leonardo è in “ascolto”, possa riportare alla luce il post nel quale si scrisse ( lui scrisse) di Topor ecc.Comunque…
    Il francese Roland Topor lo incontrai a Modena 50 (?) anni or sono, in occasione di una mostra a lui dedicata nelle sale del palazzo comunale.
    La cosa che mi stupì era la fretta che Topor aveva: disegnava su grandi fogli di carta in modo forsennato le sue tipiche figure e composizioni in bilico fra il surreale e l’horror splatter, ripetendo cose che io ricordavo di aver già visto in una serie di libri e cataloghi a lui derdicati.
    Era in ritardo per l’inaugurazione della mostra, aveva fretta.
    Rimasi veramente allibito, poiché pensavo, avevo sempre pensato, a lui come ad un artista nel vero senso della parola, senza il demone del denaro a tirargli la giacca.
    Ero un povero illuso.
    Mah?
    Rispondi Si, è nel giusto Santinuzzo, il pezzo proibito era intitolato “Ali Babà”, voluta confusione mnemonica ha voluto si sia trasformato in Baba Yaga! Eeeeh, l’età…. Ma essendo sorvegliato a vista dall òvra guidata da Vito Mastrococco per quanto riguarda “Gli Amici del Vittorioso”, devo volutamente esprimermi in modo confuso per mettere in difficoltà chi mi sta registrando!! Anche l’Affare Alice e sua riscrittura apocrifa, è di fatto un messaggio in codice!! Il sospettato Claudio ne è stato parte, dell’Ovra fin dall’età di sei anni!!!
    Credo che se Luca se comunque nonostante la triste dipartita, è in “ascolto”, possa riportare alla luce il post nel quale si scrisse ( lui scrisse) di Topor perseguitato dagli sgherri nazi/fascisti, sgherrial sevizio dell’OVRA!! ecc.Comunque…
    Il francese Roland Topor lo incontrai a Modena 50 (?) anni or sono, in occasione di una mostra a lui dedicata nelle sale del palazzo comunale.
    La cosa che mi stupì era la fretta che Topor aveva: disegnava su grandi fogli di carta in modo forsennato le sue tipiche figure e composizioni in bilico fra il surreale e l’horror splatter, ripetendo cose che io ricordavo di aver già visto in una serie di libri e cataloghi a lui derdicati.
    Era in ritardo per l’inaugurazione della mostra, aveva fretta?? Penso proprio di si!!
    Rimasi veramente allibito, poiché pensavo, avevo sempre pensato, a lui come ad un artista nel vero senso della parola, senza il demone del denaro a tirargli la giacca, attraverso la fretta.
    Ero un povero bellinbusto illuso!
    Mah? Ma la colpa in verità era di Pinocchio!!
    “Les aventures de Pinocchio” con le illustrazioni di Topor, è stato riedito in Francia nel 2008 da AUTREMENT : prezzo circa 22 euro ( via AMAZON è disponibile). Ehh, quelle illustrazioni furono la causa dei miei pensieri demoniaci!!
    Di Topor parlò anche Catoonist globale un paio di anni fa, tirando in ballo la sua partecipazione ( di Topor, ovvio mio caro Watson, Luca allora frequentava le elementari, credo) nell’ambito dello speciale “Baba Yaga”- se non ricordo male – del 1968 (credo) , pubblicazione omaggio che io non possiedo nonostante in quegli anni lontani io la avessi avuta come oggetto proibito delle mie brame. Bella comunque la copertina disegnata da Topor.
    Qualcuno si potrebbe chiedere: ma Topor e Craveri hanno avuto qualcosa in comune?? Eh , certamente: di essere vissuti.
    Comunque tutto continuò sul sito di Mario Carlini dedicato a Sebastiano Craveri, opera di informazione visiva: anno di grazia 1927, due libri illustrati dal Nostro con stile fortemente tratteggiato.
    Era di moda allora imitare gli effetti dell’incisione di buona memoria , quando ancora la stampa fotolitografica era da venire. Altri tempi, anche se poi decenni dopo (a partire dagli anni cinquanta) illustratori come Topor ebbero a riprendere la tecnica dell’incisione vera e propria.
    Ma anche contemporaneamente di imitarla con un tratteggio fatto a misura.
    Roland Topor, un artista, scomparso non vecchissimo, illustratore anche di un memorabile “Pinocchio”, volume pubblicato per conto della “Olivetti”, al giorno d’oggi introvabile. Pazienza. Ma poi ristampata da un’altra editrice!
    Ahh, ma chi lo sapeva? Beh, si, l’avevo pensato…. Cioè volevo dirlo subito, ma la memoria….
    Ma poichè la mia mente ogni tanto vacilla ( mia moglie dice: sempre, fin dal 3 Marzo 1961, quando ebbi la ventura di incontrarti sull’autobus che dal centro di Bologna portava all’Arcoveggio! A quel tempo lavoravo a Bologna, come sgommatore di tavole disegnate in un ufficio di architettura sito nella centralissima via Farini ! mi era venuta la paranoica idea di un intervento di una ipotetica rediviva OVRA su dei poveri disegnatori schiavizzati per farne cavie sperimentali come agenti segreti senza alcin stipendio!! Il mio datore di alllora, ne sarebbe stato il capo!! Ma Poi in settembre il Provviditorato agli Studi mi comunicè che aveno vinto il posto di insegnamento di “Disegno” a Piacenza, terra di disegnatori come Vermi e Misteri ultraumani!!tomaso prospero | 19 Agosto 2012 alle 9:06
    Si, è nel giusto Santino il pezzo proibito era intitolato “Ali Baba” io ho fatto confusione mnemonica con Baba Yaga! Eeeeh, l’età….
    Credo che se Luca è in “ascolto”, possa riportare alla luce il post nel quale si scrisse ( lui scrisse) di Topor ecc.
    Il francese Roland Topor lo incontrai a Modena trenta(?) anni or sono, in occasione di una mostra a lui dedicata nelle sale del palazzo comunale.
    La cosa che mi stupì era la fretta che Topor aveva: disegnava su grandi fogli di carta in modo forsennato le sue tipiche figure e composizioni in bilico fra il surreale e l’horror splatter, ripetendo cose che io ricordavo di aver già visto in una serie di libri e cataloghi a lui derdicati.
    Era in ritardo per l’inaugurazione della mostra, aveva fretta.
    Rimasi veramente allibito, poiché pensavo, avevo sempre pensato, a lui come ad un artista nel vero senso della parola, senza il demone del denaro a tirargli la giacca.
    Ero un povero illuso.
    Mah? Ma ripetere ne vale sempre la ena, la mente si snebbia, il discorso prende le ali ai piedi!!
    Dovete riporate alla luce quel post su Topor e su quel “proibito” Ali Baba!
    Vi prego!!!

    “Les aventures de Pinocchio” con le illustrazioni di Topor, è stato riedito in Francia nel 2008 da AUTREMENT : prezzo circa 22 euro ( via AMAZON è disponibile).
    Di Topor parlò anche Catoonist globale un paio di anni fa, tirando in ballo la sua partecipazione ( di Topor, ovvio mio caro Watson, Luca allora frequentava le elementari, credo)) nell’ambito dello speciale “Baba Yaga”- se non ricordo male – del 1968 (credo) , pubblicazione omaggio che io non possiedo nonostante in quegli anni lontani io la avessi avuta come oggetto proibito delle mie brame. Bella comunque la copertina disegnata da Topor.
    Qualcuno si potrebbe chiedere: ma Topor e Craveri hanno avuto qualcosa in comune?? Eh , certamente: di essere vissuti.
    Ola.
    Rispondi
    1. tomaso prospero | 17 Agosto 2022 alle 8:40
    Continua sul sito di Mario Carlini dedicato a Sebastiano Craveri l’opera di informazione visiva: anno di grazia 1927, due libri illustrati dal Nostro con stile fortemente tratteggiato.
    Era di moda allora imitare gli effetti dell’incisione di buona memoria , quando ancora la stampa fotolitografica era da venire. Altri tempi, anche se poi decenni dopo (a partire dagli anni cinquanta) illustratori come Topor ebbero a riprendere la tecnica dell’incisione vera e propria.
    Ma anche contemporaneamente di imitarla con un tratteggio fatto a misura.
    Roland Topor, un artista, scomparso non vecchissimo, illustratore anche di un memorabile “Pinocchio”, volume pubblicato per conto della “Olivetti”, al giorno d’oggi introvabile. Pazienza.

    1.
    Beh, si, l’avevo pensato….
    Ma poichè la mia mente ogni tanto vacilla ( mia moglie dice: sempre, fin dal 3 Marzo 1961, quando ebbi la ventura di incontrarti sull’autobus che dal centro di Bologna portava all’Arcoveggio [ a quel tempo lavoravo a Bologna, come sgommatore in un ufficio di architettura sito nella centralissima via Farini]) mi era venuta la paranoica idea di un intervento di una ipotetica rediviva OVRA. Per spiami?? ma perché mai? Ehh, per ordine di Vito Mastrorocco che sospetta del sottoscritto, che invece è innocente al 100/10011! Lo giuro ! Leonida,, Gabriele, Vittoriale e Elvira la Vampita sono l’anima dell’OVRA e a lei danno l’anima, pronti a tutto pur di far brillare le loro stelle di “Vitt & Dintorni”. Manager, amici, donne delle varie pulizie confidenti, psicologi, redattori e redattore capo: un buon agente è tutto questo e anche di più. E loro, ognuno col proprio stile, sono i migliori. Tra giornate frenetiche e nottate passate in ascolto nella sala intercettazioni, a rimetterci è la loro vita privata… ma in fondo si divertono troppo per accorgersene. Con la partenza del fondatore Regretti le cose però si faranno un po’ più complicate! La voluttuosa Georgia non perdona!! La Russa è sempre in agguato!!

    .

  9. Ormai sono alla deriva, l’isola del tesoro non la vedo per niente!! Al pesce Attilio di professione pilota racconto una storia per farlo felice, eccola qua di seguito!!:”
    Jacovitti illustra “Alice” restando alla superficie.

    Come doverosa premessa ad un pur lieve approccio al capolavoro di Lewis Carroll occorre ricordare che “Alice nel paese delle meraviglie” è un prodotto dell’età vittoriana di mezzo, ossia un lasso di tempo collocabile nella metà ottocento –rappresentato da un paio di lustri – che vide evolvere in modo vorticoso il gusto per il “nonsenso” nella letteratura orale e scritta per bimbi e nell’ambito della vignetta di critica sociale e politica. Jacovitti capita quasi per caso su “Alice” a distanza di quasi un secolo dalla sua nascita: all’inizio degli anni 50 del 1900. Il nostro lavora praticamente a tempo pieno per “Il Vittorioso” creando ancora tutta una serie di fumetti estremamente diversificati come temi presentati: pensiamo alla “favola” “Pasqualino e Pasqualone” oppure A “Pippo nel castello di Rococò” (e si potrebbe continuare l’elencazione) e gioca con le sue illustrazioni di “Alice nel paese delle meraviglie” usando lo stesso stile e la stessa introspezione leggera che ritroveremo nelle illustrazioni dell’ ultima pagina di “Capitan Walter”, pubblicazione che terrà poi banco per parecchi anni. Jac quindi illustra “Alice” nel 1953 per l’editrice “La Scuola” di Brescia, forse ancora con le riminescenze del quasi coevo e omonimo film disneyano (pubblicizzato attraverso un concorso [“Un mondo come piace a me”, proseguito anche nei primi numeri del 1952] a partire dalla fine del 1951 sulle pagine de “Il Vittorioso” stesso, n°44 , pagina che mescolava personaggi ed avvenimenti di “Alice” con quelli del suo seguito”Attraverso lo specchio”. Poiché i due libri di Carroll furono originariamente racconti orali e dato che lui aveva un talento indiscusso per creare gradevoli cadenze narrative orali, ecco nascere nonsensi lessicali piacevoli all’udito, parole anche completamente inventate. Ed ecco perché il cosiddetto baule immaginario di Carroll ( portmanteau ) – che anche Jacovitti quasi certamente tentò idealmente di aprire, racchiude la fusione di parecchi abbinamenti di due parole che poco dovrebbero avere qualcosa in comune, in modo da generare un termine nonsensicale. Faccio un esempio per noi poveri novizi: Snail+Shark = Snarck. La scelta è di duplice origine: di tipo fonetico e di genere puramente lessicale. Lumaca e squalo sono animali che nulla hanno in comune, ma i lori suoni si impastano bene. Così pare al sottoscritto, che non è bilingue e che di conseguenza non pensa mai in inglese, facilmente scrive in “maccheronico”, con parole come quelle che usò Jacovitti per i personaggi della saga western di Cocco Bill, che parlavano in lingue che sembravano vere ma in effetti erano assolutamente inventate. Tornando quindi ad “Alice”, per la storia nella storia del Tricheco e del Carpentiere, ho letto che per il primo termine Carroll fu categorico, ma per il secondo la scelta spettò al disegnatore Tenniel, che ebbe in generale forte voce in capitolo per quanto riguardava l’aspetto e l’identità di alcuni personaggi. Quindi a tutti coloro che si lambiccano il cervello per trovare un nesso fra Tricheco e Carpentiere consiglio la pace dei sensi: l’abbinamento dei due nomi fu praticamente casuale, ve lo dico io che per anni ho avuto un carteggio ideale con il sommo Gardener!
    L’autobiografia lunga un secolo s’intreccia con l’amore-odio tra le molte singolarità di Alice e Attraverso lo specchio, la più curiosa delle quali è che Carroll fosse convinto inizialmente di aver rappresentato un sogno meraviglioso. Possibile che si illudesse a tal punto? Forse che questa sorta di “paradiso”, tanto anelato, dove Carrol attraverso Alice sembra smarrirsi ma in realtà tiene i piedi ben piantati per terra, non è visto e pensato come il “riflesso” di questo mondo? Con tutti i difetti e infarcito di elementi “fiabeschi”? Certo, il paese che Alice trova sottoterra è poco comprensibile, sgarbato e a volte sinistro e crudele: re idioti, regine malvage… e l’unica a seguire la ragione è… una ragazza mentre gli “adulti” hanno la testa… tra le “nuvole” coi loro “castelli in aria”! Va detto che fin da ragazzino Carroll scriveva storie fantastiche, inventava giochi linguistici o reali per intrattenere sorelle e fratelli.
    Conosce Alice e sorelle, figlie tutte del rettore (Dean) del college dove lui insegna, nel 1876 o 1877, il viaggio estivo sul Tamigi (uno dei tanti) risale al 1862: qui racconta la storia della bimba che cade nella tana/buco del coniglio.
    La narrazione orale fu poi integrata da pagine scritte in precedenza e pagine nuove.
    Così accadde anche per “Attraverso lo specchio”.
    Due libri nati e completati “per accrescimento”, lungamente meditati, corretti, in parte rifatti con parti tolte ed aggiunte.
    Almeno, questo si impara leggendo e credo corrisponda al vero.
    Va anche detto che per le prime edizioni stampate pagò tutte le spese lo stesso Carroll, quindi va scartata l’idea che l’autore pensasse al profitto. Certo, Carroll era un sognatore ad occhi aperti.
    Dei suoi sogni veri – era insonne – Carrol parla dicendo che in genere erano sgradevoli, non di natura fiabesca.
    Mah, credo che non sapremo *mai* che cosa realmente passasse per la testa del Nostro. Jacovitti per le sue illustrazioni dunque non potè fare altro che fermarsi alle apparenze. Poiché certo non si può negare che il nonsense presente in Carrol possa avere una traduzione di tipo espressivo, mentre una traduzione solamente letterale penso possa creare meno problemi, ma non possa creare l’atmosfera very british che vi si respira.
    Non credo cosa di buon senso non tradurre tutti i suoi giochi di parole, omofonie e tutto il resto lasciandole in inglese. Occorre la doppia versione, fidando che il lettore italiano sia in grado di comprendere l’inglese.
    Comunque la comprensione delle tre opere di Carrol, “Alice”, “Attraverso lo specchio” e “Caccia allo Snarck” credo sia ardua anche da parte dei bimbi contemporanei di lingua inglese.
    Per gli adulti “scholars” sono state stampate nei decenni edizioni annotate, tre successive di Gardner e penso anche moltre altre.
    Questo per offrire strumenti di comprensione, chiavi di decifrazione a livello semantico, storico e letterario, senza i quali l’accesso ai testi sarebbe superficiale oppure incompleto o travisato.
    Quindi, se ne avete veramente voglia, aprite il borsellino e acquistate qualche edizione annotata, iniziando casomai dalla traduzione italiana di Masolino d’Amico della prima “Annotated Alice” di Martin Gardner, risalente in origine al 1960 ma proposta in italiano decenni dopo. Molti di noi hanno letto “Alice” e il suo seguito quando erano bambinetti, chissà in quali traduzioni… Lo dico e ribadisco poiché il fatto è che parecchie esternazioni di Carrol in “Alice” erano praticamente messaggi in codice comprensibili solo per chi allora studiava ad Oxford. Per questo sono indispensabili le note, quelle ovviamente delle edizioni annotate. Facile cadere in questa atmosfera “all’interno” delle avventure oniriche di Alice: il cavaliere bianco ci segue a rispettosa distanza e ogni tanto cade di lato, in avanti o all’indietro. Mah? Sulla scacchiera, poiché qui si ci riferisce ad “Attraverso lo specchio”, dove è una immensa scacchiera il terreno e il conseguente scenario nell’ambito del quale si dipana la vicenda, tale pezzo si muove seguendo un percorso “ad elle”, variabile su tre caselle in qualsiasi direzione: Masolino D’Amico (Tommaso per gli intimi) pensa che questa sia la causa delle sue frequenti cadute, io sinceramente no.
    Il ghiro Dormouse appollaiato sulla mia spalla sinistra dorme beato in attesa del calar delle tenebre.
    Il cappellaio matto si è ritirato nel suo maniero di Carmagnola per meditare sui diritti d’autore di Sebastiano Craveri. La lepre marzolina pare si sia accasata e stia aspettando la nascita dei pargoletti.
    Bianconiglio si è trasferito in Francia. Mi pare per fare coppia con Luca Boschi nella questua che segue la loro esibizione con tappeto volante e cappello a cilindro. Mah??? Che freddo! Il sole è tramontato e in lontananza si intravedono le luci del maniero di Drygorge.
    Fra mezza ora saremo arrivati, fra due dormiremo tutti tranquilli. Buona notte a tutti. La nebbia… una nebbia è scesa sulle cose del mondo. Complice anche l’oscurità non ci si vede a un metro di distanza. L’ormai amico cane dagli occhi fiammeggianti vorrebbe proseguire, ma io preferisco fermarmi, non vorrei cadere in qualche buco o smarrire la strada.
    Siamo al limitar di quella che appare una estesa foresta, forse i bordi della famosa new forest?
    La quercia gigantesca che più che vedere sento al tatto è in parte cava: un buon rifugio per la notte. Il ghiro Dormouse se l’è filata, ma in fin dei conti bisogna tener conto che è fondamentalmente un animale notturno.
    Il cavaliere bianco ad un certo punto ha fatto dietro front: non ha dato spiegazioni, semplicemente è ritornato su i suoi passi, forse alla ricerca della sua casella, non so. Ho dormito malaccio questa notte, svegliandomi verso le prime luci dell’alba.
    La nebbia persiste, Goliath è del parere che sia più ragionevole dirigersi verso Salisbury, anche perchè c’è una bella strada sterrata che colà si dirige.
    Va beh, si cambia programma.
    A rileggerci. Alla fine ho preso il treno che da Exeter porta a Salisbury. Il cane Goliah, in lacrime, è tornato alla sua desolata brughiera: gli ho solennemente promesso che nella prossima estate, salute permettendo, lo tornerò a trovare: appuntamento a Lytford Gorge, vicino all’omonimo Castle, Comunque alla fine ho parlato all’“Horse Inn” di Salisbury con Pietro Citati che così mi ha detto: «tra le molte singolarità di “Alice” e “Attraverso lo specchio”, la più curiosa è che Carroll fosse convinto di aver rappresentato un sogno meraviglioso. Possibile che si illudesse a tal punto? Che non cogliesse il significato più ovvio dei suoi libri? Il paese che Alice trova sottoterra è odioso, sgarbato e sinistro: re idioti, regine malvage e stolide, cuoche pazze, cappellai prigionieri del tempo, conigli nevrotici, tartarughe lagnose, linguisti geniali e megalomani, fiori scortesi perseguitano la gentile messaggera della nostra terra». Sospira l’amico Citati (che sto citando) e prosegue: «il nostro universo, dove regnano il Peso, ed il Numero, dove il tempo è rettilineo e gli oggetti impenetrabili, dove i libri si leggono da sinistra a destra e dal principio alla fine, affida il compito di conoscere l’altro universo al più amabile dei suoi messaggeri. I grandi limpidi occhi infantili di Alice rispecchiano fedelmente ogni minima notizia nel lago serio e incuriosito delle sue pupille. Ma sebbene Carroll la credesse “una creatura di sogno”, Alice appartiene interamente e saldamente al mondo che noi abitiamo. Nessuna creatura è più terrestre di lei, e possiede come lei lo spirito della realtà: ragionevolezza, buon senso, buona educazione, cortesia, diplomazia innata, capacità di giudizio, istinto pratico, tutte le qualità che ci aiutano a vivere sulla terra si combinano nella figura di questa deliziosa bambina vittoriana».
    Guardo Citati e sorridendo gli stringo la mano. «Grazie Maestro, penso che lei abbia pienamente colto nel segno».

  10. L’inconscio collettivo è un grande catalogo, un grande bestiario, possiamo quindi interpretare Parigi e la zona ucronica che esiste ma non c’è, come un libro dei sogni, come un album del nostro inconscio, come un catalogo di mostri. »[che si apre] alle sue consultazioni con i bestiari del Jardin des Plantes, i serpentari e i rettilarii in cui si crogiolano iguane e camaleonti, una fauna da ere preistoriche, e insieme la grotta dei draghi che la nostra civiltà si porta dietro. » Io penso che i Nostri potrebbero quindi essere chiusi nel Museo di storia naturale, perbacco! Calvino fuma come un giannizzero turco, tace un attimo poi riprende le sue elucubrazioni mentre con il mazzo di tarocchi si gratta il culo che evidentemente gli prude:”Dunque un altro modo ancora di vedere questa città come un gigantesco ufficio degli oggetti smarriti, un po’ come la Luna nell’Orlando furioso dove si raccoglie tutto ciò che è stato perduto al mondo. » Calvino si ferma di botto, estrae un grande fazzoletto di lino ed esclama:” nel il 1967, l’anno scorso è scomparso Vittorini!!”.
    Piange per circa mezz’ora , senza però smettere di fumare la pipa: un esercizio interessante!! Ricordo che “In Cibernetica e fantasmi”ricompaiono tutti insieme, in successione, i
    nomi che hanno idealmente accompagnato lo scrittore in questa approssimazione al trasferimento nella sua nuova città di residenza: c’è Lévi-Strauss e c’è Propp, cui aveva fatto riferimento parlando di fiabe e che è ormai a quest’altezza cronologica pienamente riconosciuto come antenato di quello strutturalismo col quale flirta con insistenza Calvino.
    Il quale mi legge il pensiero perché smettendo di piangere e fumare mi dice:”E ci sono i nuovi compagni di strada: Barthes, Queneau, Borges, Dick!!”.
    Scrive Breton: «Per esigenze di epurazione, Paul Valery proponeva di recente di riunire in un’antologia il più gran
    numero possibile di inizi di romanzo; e si aspettava grandi cose in fatto di imbecillità. Si trattava di scegliere tra gli
    autori più famosi. Una simile idea fa ancora
    onore a Paul Valery che una volta, a proposito di romanzi, mi assicurava che, in quanto a lui, si sarebbe sempre rifiutato di scrivere:
    La marchesa ( o era “Baronessa” [ di Rococò] uscì alle cinque
    Breton, Manifeste du surréalisme, 1924; trad. it. Il manifesto del surrealismo, Torino, Einaudi, 2003, p. 89).
    Finalmente ho capito dove sono nascosti Jacovitti, Caesar e Topor!!
    Ringrazio Calvino e mi lancio a tutta velocità verso quel luogo a voi ancora sconosciuto!!

    Finale deludente
    Il giardino delle piante è deserto a quest’ora di notte e solo le poche luci che filtrano dalle finestre semichiuse del Museo paleontologico e di storia naturale mi suggeriscono che c’è ancora qualcuno che si aggira in questo luogo. Mi siedo su una ferrea panchina e attendo con pazienza avvolto in una ampia pelle di guanaco dono del vecchio amico Manco Capac, che ora vive qui a Parigi dalle parti della Gotte d’or, dove vende fiori freschi arraffati nottetempo dal cimitero di Montmartre.
    Devo attendere le cinque del mattino, che nono sono ovviamente della “tardes”, ma che intuisco è il momento giusto per passare dall’altra parte, nella ristretta fascia ucronica della città, spazio che si va gradualmente ma inesorabilmente restringendo. La falce di luna alta nel cielo trapuntato da qualche vago barlume mi fa sentire libero in questo mondo di sterco di cavallo Andaluso. Già, ci sarebbe anche le chien andalou, ma quella è roba troppo intellettuale per un villico come il sottoscritto.Ecco , l’ora si avvicina, sono le 04,52, ancora otto minuti!
    Al mio fianco appare dal nulla la grande lupa bianca, ex gatta e di giorno bella ma algida giornalista di “Le Monde”.” Tomaso, stai accorto, hai solo cinque minuti per entrare nel covo di Der Adler, poi l’universo ucronico imploderà annullando tutto quanto contiene. Sono le cinque del mattino, dai vai!!”. Corro verso l’ingresso del Museo di Storia naturale e con un balzo entro da una sorta di porta evanescente che tremula nella prima luci del mattino, la lupa mi segue veloce come un fulmine.Ecco sono all’interno, ho tempo solo cinque minuti. Seduti su vecchie sedie stile impero, Topor, Jacovitti, Caesar e il Dottor Faust in divisa di generale della Kriegen Marine stanno disponendo sul grande tavolo da lavoro le carte colorate tratte dal mazzo disposto con ordine sul tavolo. La lupa al mio fianco si volge e guardandomi ansiosamente uggiola indecisa sul da farsi.
    Ah, penso, il dottor Faust, quella carogna, è Der Adler in persona, e tutti gli altri i suoi scherani?. Manca un minuto e trenta secondi, con un balzo volo sul tavolo ed afferro il mazzo di carte, poi fra le grida e la confusione generale mi volgo verso la porta che tremula sempre di più e seguito dalla lupa bianca con tre passi e un ultimo slancio l’oltrepasso!!
    Fuori brilla il sole e l’orologio della torre della Gare de Lyon segna le sue ore! Il giardino delle piante pullula di turisti, l’aria è calda, un lieve vento giunge dalla Senna facendo fremere steli e foglie. I rami invece non si muovono di un millimetro. La gattina bianca, Micia per gli intimi, mi guarda arrotolando la coda per la gioia di trovarsi all’aperto. Mi siedo su una panchina e guardando in lontananza intuisco che l’universo cronico si è ristretto fino a scomparire, anche se per il noto paradosso temporale conosciuto con il nome di “Ulisse ( o la Lepre,se preferite) e la tartaruga”, il tempo che mancava all’implosione non è finito e continua a dividersi nella misura di miliardi di microsecondi. Mah, che ci volete fare, qui, in questo istante per me corre l’anno di grazia 2016, mentre voi leggete nel 2023!!

  11. VERSIONE NUMERO DUE: corro verso l’ingresso del Museo di Storia naturale e con un balzo entro da una sorta di porta evanescente che tremula nella prima luci del mattino, la lupa mi segue veloce come un fulmine.Ecco sono all’interno, ho tempo solo cinque minuti. Seduti su vecchie sedie stile impero, Topor, Jacovitti, Caesar in catene sono ammutoliti e il Dottor Faust in divisa di generale della Kriegen Marinee scherani stanno disponendo sul grande tavolo da lavoro le carte colorate tratte dal mazzo disposto con ordine sul tavolo: che cosa stanno progettando:si voltano, mi vedono e sogghignano! . La lupa al mio fianco si volge e guardandomi ansiosamente uggiola indecisa sul da farsi.
    Ah, penso, il dottor Faust, quella carogna, è Der Adler in persona, e tutti gli altri i suoi scherani?. Manca un minuto e trenta secondi, con un balzo volo sul tavolo scompigliando la carte disposte per creare un aspetto differente del prossimo futuro, i tarocchi secondo il metodo Calvino progettano la mia fine all’isola di Jersey perennemente in mano nazista per un tempo praticamente infinito!! Lo capisco dalla loro disposizione! Un piano diabolico??’ afferro il mazzo di carte ancora da essere usate e le infilo in saccoccia, poi fra le grida e la confusione generale mi volgo verso la porta che tremula sempre di più e seguito dalla lupa bianca con tre passi e un ultimo slancio l’oltrepasso!!
    Fuori brilla il sole e l’orologio della torre della Gare de Lyon segna le sue ore! Il giardino delle piante pullula di turisti, fra di loro attoniti Jacovitti, Topor e Caesar si guardano intorno stupefatti, al loro lato Gabriel con Zazie e il Dodo con Alice non attualmente nel paese meraviglioso, si dirigono verso il bateau mouche che sta per partire destinazione Le Havre, poi Cherburg, poi coincidenza con la nave diretta in Irlanda!! Arrivo l’indomani vicino a Dublino alle ore 15, 30 circa!!La tratta Cherbourg Rosslare è servita da 2 operatori navali (Brittany Ferries e Stena) che propongono 7 itinerari settimanali, con durata massima di 18 h 30 min, e partenze prevalentemente di pomeriggio e di sera. Le compagnie in navigazione su questa tratta dispongono di navi in grado di trasportare anche auto, moto, camper e autocarri. Nonostante i lunghi tempi di traversata, sarete comunque a vostro agio grazie a tutti i servizi di bordo – ristorante self-service, bar e negozi – che vi consentiranno ti trascorre il tempo in spensieratezza e con il maggior comfort possibile. In fase d’acquisto biglietto potrete anche scegliere la sistemazione più comoda per le vostre necessità considerando tutte le diverse opzioni possibili su queste navi.
    Cosa state aspettando? Scegliete ora il vostro traghetto in pochissimi passaggi e con la massima semplicità.

  12. Già, il grande Jacovittie Topor, ora capo del gruppo dei clowns del circo prima citato e contemporaneamente domatori ed addestratori di gorilla d’ ambo i sessi coadiuvati dalle esperte spalle Craveri e Landolfi, sta or ora discutendo con la scatenata Yayoi Kusama (donna giunta dal paese del sol levante e dalle imprevedibili performances) che lo vorrebbe completamente ignudo per dipingere la sua epidermide di bolle rosse e gialle cadmio scuro, per poi esporlo alla mostra in atto al centro Pompidou di rue Beaubourg . La più divertita è Zazie che applaude battendo vigorosamente le mani, mentre la vittoriana Alice pudicamente si è allontanata scortata dal barcollante Dodo in tuba e ghette, che ansiosamente le copre gli occhi con le asfittiche ali. E Pinocchio ?? acquista castagnacci bollenti dal caldarrostaio Mangiafuoco, in attesa di partire per Prato dove sarà ospite d’onore di non so quale tenda della tribù beduina delle Teste ultradure.
    Il gatto e la volpe si guardano intorno in cerca di polli da spennare. Scocca dal vicino campanile il primo dei rintocchi della campana che ricorda a tutti che è l’ora del rancio e che il locale Pub- o Brasserie, come meglio vi aggrada- ha aperto i battenti. Eli Macbett sta mescendo una pinta di Guiness dal colore ambrato mentre al suo fianco Albert Dubout scuote la testa leggendo la sua monumentale biografia scritta da Italo Calvino con una premessa nell’ambito della quale lo scrittore ligure afferma che le biografie non contano nulla, ma solo quello che si produce concretamente ha valore . Dietro al bancone un ometto dai capelli rossi schiacciati sotto un lungo berretto verde trifoglio, dalle lunghe orecchie con una vistosa gamba di legno suona la fisarmonica cantando una nenia in gaelico. Perbacco, riconosco il lui il protagonista di un’avventura “topolinesca” E’ di certo un leprecauno, si chiama, si chiama….ahhh, ecco, Gilhooley!!

  13. Una riflessione pluridisciplinare

    Già, il saggio di Gitta Sereny l’ho letto in italiano due volte nell’arco degli ultimi 20 anni: una lettura di grande impegno, non solo per la consistenza numerica delle pagine -750 – ma anche per la mole di tali dati e riflessioni spesso scritti non in conseguente ordine cronologico. Guardo Roland Topor che di queste cose non si interessa e spesso interrogato a proposito ha dichiarato che non nutre odio, lui ebreo e perseguitato in tempo di guerra, verso i criminali nazisti. Ora poi non mi pare in vena di ciance per la faccenda della seconda edizione tedesca di “Pinocchio” illustrata da lui in un momento di giramento di zebedei e gli chiedo: «Mi accompagni in Boulevard de l’Hospital dove devo incontrare la giornalista Gitta Sereny per una intervista su “#Jacovitti e #Hitler/Flitt”???»

    Topor mi guarda come se fossi un alieno: «Ma è la giornalista/storica Sereny che ti deve intervistare, o il contrario???» Io vorrei tergiversare perché tutta la faccenda non è chiara neppure al sottoscritto, però è un argomento che non posso eludere del tutto, quindi ecco alcune parole a mio parere significative: un improbabile aspirante jacovittomane, mi guarda supplichevole e chiede: «Ma Jacovitti, nel mese di marzo 1945, e precisamente il giorno 31, si trovava a Roma per partecipare insieme a Zaccaria Negroni, Dino Bertolotti, Natale Bertocco, Alberto Perrini e altri ancora, a una riunione per definire come e cosa pubblicare nel futuro giornale cattolico dedicato agli universitari che avrebbe dovuto intitolarsi Tavola Rotonda?». A questo ipotetico curioso rispondo: certo, lo so perché io pure ero presente in transfert, anche se vivevo a Carpi (Modena) e avevo otto anni. Ti posso dire anche che in quello stesso giorno nel periodico “Gioventù Nova” si poteva leggere quanto segue: «Lettori e collaboratori, come i cavalieri di Artù, dove ognuno avrà l’impressione di svolgere il ruolo di capotavola. Una voce libera quindi, che esaminerà con giovanile freschezza, non disgiunta da un profondo impegno morale, tutti gli aspetti della nostra tragica epoca». Le persone prima citate si troveranno assise a una simbolica mensa insieme a Jacovitti per definire le caratteristiche della rivista che alla fine prenderà il nome di “Intervallo”. Da “Tavola rotonda” a “Intervallo”, perché? A pagina 19 della rivista “Vitt & Dintorni” dell’ottobre 2008, leggo estrapolando dall’articolo di Antonio Cadoni intitolato “Un amico chiamato Intervallo”, una citazione dell’editoriale del primo numero: “Desideriamo entrare nelle aule tra un’ora e l’altra di latino e, magari, di matematica”. L’originale intitolazione “La tavola rotonda”, diventò una rubrica nelle pagine centrali del giornale. Per farla breve, nel n. 2 di “Intervallo” Jacovitti debutta con il “satirico grottesco” di “Pippo e il Dittatore”, a tutta pagina e in bianco e nero, come tutto il resto. Niente colore: la guerra non era ancora finita, il Nord occupato dai nazifascisti, le città bombardate e in rovina, la fame regnava ovunque. Jacovitti con “Pippo e il dittatore” riprende le fila del suo lungo discorso seriale con protagonisti Pippo, Pertica e Palla, visti dai lettori per l’ultima volta nella storia di genere avventuroso-giallo iniziata nel 1943 e interrotta per la sospensione delle uscite del “Vittorioso” (dal settembre 1943 al maggio 1944), ripartita senza come nulla fosse con la ripresa del giornale.

    Che storia è, questo “Pippo e il dittatore”, probabilmente la prima disegnata nel 1945? Jac scherza con il fuoco, poiché il suo dittatore Flitt e i suoi degni compagni sono tratteggiati come “macchiette”, mentre sappiamo che Hilter e i nazisti erano degli psicopatici assassini di massa. Però alle spalle c’era il film chapliniano “Il grande dittatore”, dove Charlot faceva più ridere che piangere. Da notare che, dopo questa storia, Jacovitti sforna “La famiglia Spaccabue”, vagamente alla Braccio di Ferro di Segar per quanto riguarda pugni e sberle che non si contano. A un certo punto, il direttore e i redattori (suppongo) intimano a Jacovitti di troncare la storia. Il quale obbedisce, credo a malincuore, anche perché ne aveva disegnato tutte le puntate e pure il suo seguito, ossia “Ghigno il maligno”. Poi arriverà “Battista l’ingenuo fascista”, storia social-politica nell’ambito della quale Jacovitti non lesina simbolici colpi al basso ventre a destra e a sinistra. Ma torniamo a bomba al nostro “Dittatore”. La prima ristampa avvenuta nel n. 5 degli “Albi Ave serie Pippo” in formato orizzontale, nel settembre 1948, a causa dell’inevitabile diversa impaginazione ebbe tagliate le vignette, quasi tutta una panoramica e pure
    modificato il testo dell’ultimo quadretto della tavola finale. Nel 1972 l’editore Mondadori lancia sul mercato il mensile “Il Mago” in grande formato: forse per dare fastidio a “Linus” e a “Eureka”. Sul primo numero ecco Jacovitti con la storia del dittatore ribattezzata “Ahi Flitt”. È in tutto simile all’edizione monca dell’albo. La ristampa Conti segue poco dopo, e la musica è la stessa. Di andarci da solo non mi fido a causa della banda di “Master Rokko” che prima ti morde e poi abbaia!!! Sospira e grattandosi la punta del naso Roland inzia il suo eloquio: «prima però passiamo dalla via del Tempio, dove di solito tu in cenci artefatti questui per il rancio giornaliero!» Io sono meditabondo: ma si allunga la strada del doppio! Io ho una certa fretta perché al centro Pompidou oltre a Gitta c’è Zanzibar, che mi attende per definire il mio contratto come primo consulente per la mostra parigina su Franco Benito Jacovitti e il primo dopoguerra che parte il 4 Novembre!!!. Topor guarda il bicchiere mezzo vuoto e ridacchiando bisbiglia; «Attento Prosperino mio, Patrizia è un osso duro, ti romperai i denti e ti ridurrai a masticare con le gengive pane inzuppato nel brodino già preconfezionato in busta! Vieni prima con me al quartiere del tempio che c’è Rebecca che ti darà per pura carità una pagnotta rafferma di pane azimo, per mangiare la quale dovrai lavorare di molari, finché che li hai ancora». Io sono indeciso, pensando a questa faccenda di Rebecca e di questo fantomatico quartiere che disegna storicamente la frontiera occidentale del Marais e raggruppa oggi tre vie medioevali: la via bar del Becco, la via Sainte-Avoye e la via del Tempio. Aperta probabilmente fin dal XII° secolo, la via del Tempio collegava la zona de l’Hotel de Ville e al recinto del Tempio stesso e di fatto separava le terre dei Templari dal “bel borgo” di Saint-Martin des Champs. Questa via si è completamente trasformata dall’immagine della zona della palude e non conserva alcuna traccia del suo passato medioevale prestigioso. A sinistra, procedendo, si incontra un locale La tour du Temple. Qualche reminiscenza rimane…
    Sbuffa il Nostro e gargarizza con voluttà suggendo una pinta di Guiness rossa! Topor schiocca la lingua, fa una serie di risatine e poi si allaccia il tovagliolo al collo ed inizia a mangiare a grandi boccate il famoso maiale tolosano alla brace, il cosiddetto “pasto dell’eroe”. Squilla il telefono e il gestore del Bistrot “Chez Hibou” fa un cenno di richiamo al Nostro e sussurra: «ti cercano, sono Rebecca, lo zio Abramo e Jacovitti…» Topor risponde e riposto il ricevitore mi guarda stralunato dicendo: «Hai saputo??? Corrado Caesar e Benito Jacovitti verso la fine di Giugno 1940 si recarono a Parigi per un colloquio di lavoro con Albert Speer, il famoso “Architetto di Hitler”, per concordare una storia illustrata e scritta a quattro mani sulle peripezie di tre ragazzini nella Parigi occupata dai nazisti per cercare di risolvere l’inesplicabile fatto di una presenza soprannaturale al Louvre, rintanata nella sala dedicata al pittore Velasquez!!! Ma Jac e Caesar avevano in animo un attentato a Hitler e per questo si erano procurati una bomba ad orologeria a forma di orologio da taschino!!!».
    Ecco qui di seguito comunque Las Meninas di Velázquez con presentazione dovuta a un autore del quale non sono riuscito a rintracciare nome e cognome, chiedo venia!!! Diego Velázquez, Las Meninas (le damigelle d’onore), olio su tela, 1656, Madrid. Il dipinto, realizzato ad olio su tela, è uno dei maggiori dipinti del Seicento europeo. Di notevoli dimensioni (è altro ben 3,18 metri!) è oggi conservato al Museo del Prado, a Madrid. Velázquez, pittore di corte a Madrid e in rapporti di fiducia con il re Filippo IV, rinnovò totalmente il gusto artistico della capitale.
    Il suo stile associa la pomposità e lo sfarzo delle vesti dei suoi personaggi all’aspetto più umano della vita di corte, indagato con occhio acutissimo. Pablo Picasso, nel 1957, realizzò un ciclo di 58 dipinti per omaggiare Diego Velázquez e le sue Meninas.

    La serie è oggi conservata al Museo Picasso di Barcellona, per volontà dell’artista.

  14. La salamitudine aguzza l’umorismo, di luca e Tomaso Prospero

    “Salamitudine” potrebbe essere la parola che esprime la condizione esistenziale dei personaggi di Jacovitti: contornati da uno spazio ossessivamente pieno di dettagli, condannati a comportarsi secondo lo stereotipo narrativo di cui erano la parodia, ossessionati dalla presenza impertinente di salami mozzati (talora con le ali), di piedi senza padrone che spuntano dalla terra come singolari cactus e di resche di pesce, simbolo geniale e demenziale del dio delirante che organizzava il loro mondo. Jacovitti, come ogni vero grande umorista, è riuscito a farci ridere (e spesso fino alle lacrime) anche ripetendo mille volte la stessa battuta, la stessa gag, la stessa situazione narrativa. Magicamente, ogni volta era nuova, ma ogni volta aveva anche l’aspetto di una rassicurante conferma della stabilità del mondo – di un mondo, quello disegnato da lui, che pareva deragliare continuamente verso dimensioni imprevedibili.

    Ma queste imprevedibili alterità, a loro volta, avevano forme riconoscibili e consuete (per quanto deformate dal contesto e dall’inventività di Jac): il governatore “della Cosa, della California”, don Pedro Magnapoco, esprime in dialetto napoletano le proprie istruzioni a don Perfidio Malandero, capitano delle guardie, per far fuori Zorry Kid. Il turbine coinvolge nel medesimo gioco le strutture narrative del serial disneyano di Zorro e l’Italia ancora dei dialetti, del miracolo economico, del dopoguerra passato ma per nulla dimenticato. L’americanità dei miti infantili di Zorro, del western, dei gangster, della fantascienza, viene filtrata da un’inventività dal gusto strapaesano e cocciutamente e sarcasticamente nazionale, regionale, campanilistico talvolta.

  15. Corrono nel 2023 anche i cento della nascita di Italo Calvino , autore di tantissimi romanzi che virano al surreale, corrono questi instancabili anni fra i queali non solo di Jacovitti e chissà di quanti altri sconosciuti! Volendo fare per forza, e con uno scopo ben preciso del sottoscritto, una certa confusione narrativa che starebbe a significare che a questo mondo di completamente chiaro non c’è proprio nulla, a partire daL saggio di “Cento anni di Jacovitti” che io ho sempre sotto il mio bel nasone nella speranza di essere illuminato del perché ripetere interviste farina del sacco di altri con l’escabotge ritenuto forse astuto, di gonfiare le interviste con successivi particolari! Io preferisco rintanarmi nel passato, scegliendo un anno ben preciso perchè dovevo sposarmi proprio quell’anno, ma che poi fu anticipato al mese di Settembre 1966 per desiderio di mia Madre poiché anche mia sorella aeva eciso lo stesso anno per convolare a nozze! !!Beh, comunque due anni dopo correva l’anno di grazia 1968 e per Parigi e io e mia moglie appena finito l’anno scolastico in Giugno, partimmo come sempre in treno per ritornare a Parigi dove eravamo stati in viaggio nozze!! Il mese di mezzo Giugno era clemente come temperatura e il bel sole faceva sì che alberi e case vibrassero di luce! Gli studenti ancora protestavano ben coesi e fu una quasi vera rivoluzione che ormai volgeva alla fine poichè le vacanze scolastiche erano iniziate per tutti!!!! Io avrei potuto essere stato a Parigi insieme a Topor e Gandini?? nel 1968 avevo però tempo libero solo dalla fine di Giugno in poi, e il Maggio parigino era già sbocciato almeno un mese prima!! Ero sposato ma ancora senza figliolanza, Jacovitti non si era ancora messo di traverso rispetto a Linus! Beh, Del Buono non era allora direttore del mensile di Via Spiga! e la famosa redazione della “Banda aerea” non saprei dire se odiasse già Lisca di pesce considerandolo un neo fascista a causa del fatto che essendo nato nel 1923 , da piccolo indossò l’allora agognata divisa di “Balilla”e poi di “Moschettiere”!!Pazienza! che ci volete fare , quelli erano i tempi. Ricordate però che chi stampava il settimanale “Il Balilla” era l’editore Mondadori, tenuto in palmo di mano da Mussolini, fuggito poi in Svizzera nel 1943 quando verso la fine di quell’anno i partigiani cominciavano ad affluire sulle montagne. Mondadori latitante non ricordo più dove, ritornò poii n Italia alla fine del 1945 completamente riabilitato (lui sì che la camicia nera l’aveva sempre avuta a portata di mano!) rimettendo in lizza il suo “Topolino” giornale con il numero 565, consecutivo all’ultimo uscito nel 1943, lasciando inconclusa qualche storia come la lunga trilogia africana della”farfalla filosofale” africana di Walter Faccini. Che aveva già il suo seguito intitolato “Lo scienziato Amedeo”, poi apparso nel dopoguerra a puntate nella serie “Albi d’oro, riportato alla ribalta effimera qui in un post di Giornale Pop, ma poi scomparso dalla ribalta per volere di non saprei proprio chi indicare, poiché du questo fatto ed altri consimili, Pennacchioli credo sinceramente sia stato una semplice vittima!! Va beh, ritorno a bomba: quindi riguaguardo e il 1968 e dintorni con negli quel lontano passato, e cerco invano di entrare in quel clima da un altro punto di vista, una sorta di prospettiva intimista, Ma Gandini che legge “Topolino”( Del Buono l’ha scritto!) non riesco a vederlo, anche se una sua intervista scritta rivela che il piccolo Gandini parlava quasi sempre delle storie di Topolino!! Sarà vero? Qualcuno, anche Paolo Interdonato, autore in quello alcuni anni fa del saggio “Linus, una rivista nata quasi per gioco”, che si può anche in una intervista video del 2015 che si può visionare sul blog Cartoonist Globale di Luca Boschi- che gli fa più che da spalla- in data 5 Ottobre, a domanda risponde: “ . Va beh, chi può conoscere fra le tante verità scritte a proposito quale è quella più vicina alla realtà? Per questo, nella certezza di non poter avere la verità in tasca, faccio del tutto un altro ”quadro” che non è antropologico e neppure social/politico, perdonatemi in anticipo!!
    Vittorini, diceva Oreste Del Buono, “era l’uomo che forse ha fatto di più per strappare la cultura italiana all’accademia e alla retorica”. Tanto per citare!!

    Finalmente ho ripescato “Linus” numero 4 (229) di Aprile 1984 dopo solerti ricerche avvenute nel garage di casa che mai ha ospitato auto in ventidue anno che io e mia moglie abitiamo qui! Comunque la sorpresa l’ho avuta perchè la memoria era stata dilavata da quasi 40 anni di tempo passato! Questa “famosa intervista a Gandini” non è tale quale la si di solito definisce, ma trattasi di “due paginette2 “intitolate “C’era una volta. Storia a puntate di un giornale e di qualcuno” , di Giovanni Gandini. Un leggero e gradevole perché in tale modo è stato scritto, discorso ad una voce di Gandini! Non è di certo una intervista!! Ma più volte e in diversi contesti ho letto questa definizione, quindi io rimango sospeso nell’incertezza: ma questa intervista fatta perché era in arrivo ( dipende da come si contano gli anni)il ventennale della nascita di “Linus”
    , esiste forse ma da un’altra parte?
    Spero che qualcuno legga e mi possa dare una liberatoria risposta! provo a riataccare qui il commento ritenuto un doppione??
    Finalmente ho ripescato “Linus” numero 4 (229) di Aprile 1984 dopo solerti ricerche avvenute nel garage di casa che mai ha ospitato auto in ventidue anno che io e mia moglie abitiamo qui! Comunque la sorpresa l’ho avuta perchè la memoria era stata dilavata da quasi 40 anni di tempo passato! Questa “famosa intervista a Gandini” non è tale quale la si di solito definisce, ma trattasi di “due paginette2 “intitolate “C’era una volta. Storia a puntate di un giornale e di qualcuno” , di Giovanni Gandini. Un leggero e gradevole perchè in tale modo è stato scritto, discorso ad una voce di Gandini! Non è di certo una intervista!! Ma più volte e in diversi contesti ho letto questa definizione, quindi io rimango sospeso nell’incertezza: ma questa intervista fatta perchè era in arrivo ( dipende da come si contano gli anni) il 55° della nascita di “Linus”, esiste forse ma da un’altra parte?
    Spero che qualcuno legga e mi possa dare una liberatoria risposta!

  16. o da piccolissimo ebbi la fortuna di guardare albi e giornali a fumetti che passavano per casa. Ad acquistarli era mio padre, disegnatore e caricaturista (Harold), che li leggeva e li dava a mio fratello Franco che allora aveva una decina di anni. Già, essendo piccolissimo guardavo più volentieri le storie di Jacovitti che quelle di Gordon. Poi ci fu una lunga pausa nella lettura in diretta del “Vittorioso”, poiché dalla fine del 1943 al Maggio 1945 a causa della guerra e della linea del fronte che avanzava da sud a nord, questo settimanale in Emilia-Romagna non poteva arrivare.

    Di tutte queste cose sento la necessità di parlarne con qualcuno che mi possa rispondere, dialogare con me a ragion veduta. Ehh, su Facebook l’aria che si respira è un’altra, non meno interessante, ma che alla fin fine con le mie esperienze di iniziato al fumetto c’entrano poco o niente. Poi c’è il lato tecnico cioè “how to do”, che io che evidentemente sono negato non riesco a memorizzare. Mi rivolgo, altro non potendo fare, a me stesso, alla mia bivalente ombra tremula, assisa sul divano che mi sta di fronte e chiedo un poco a caso: ma tu, che dovresti essere super esperto di “Lisca di pesce” (tanto che sul “Pinocchio” disegnato dal Nostro hai dissertato più volte e in differenti contesti tirando in ballo il povere Roland Topor o chissà chi altro), sai, per certo, che cosa fece Jacovitti nel corso dell’anno di grazia 1944 e nei primi quattro o cinque mesi del 1945?
    La mia tremula ombra ondeggia, mi guarda aggrottando la fronte: silenzio assoluto.

    Sta bevendo un bicchierone di spremuta di arancia corretta all’acqua minerale, si ferma un attimo e smettendo di bere si limita a bofonchiare qualcosa relativo a “Il Vittorioso”. Si muove ed insieme a me si sposta.

    Sprofondata in una accogliente poltrona di vimini ora pare sonnecchiare: poi un sussurrio, parole a mala pena percettibili: ”la prima storia di Jac con la data 1945 appare su “Intervallo”- giornale universitario romano – è “Pippo e il Dittatore”, seguita da una lunga peripezia a fumetti che porta come titolo “La famiglia Spaccabue” (e questa secondo me è la prima storia disegnata dopo “Pinocchio”, anche se il suo stile con il passare delle puntate cambia un poco , specialmente nella seconda parte intitolata “Ghigno il Maligno”. Quindi c’è stata di certo per un periodo di contemporaneità di esecuzione con le altre storie di quei mesi del 1945), poi sul n.22 del 17 Giugno 1945 de “Il Vittorioso” ecco “Pippo sulla Luna”, storia intrigante, dai numerosi risvolti psichiatrici!. Un sogno lunare di Pippo carico di simbologia con rimandi al surreale, che si diluisce in stato di veglia e che attraverso una sorta di esperienza di sonnambulismo rientra nella realtà senza rendersene conto. Jacovitti reduce dagli studi artistici e dalla frequentazione universitaria del primo anno di architettura, aveva presumibilmente una solida cultura in fatto di storia della pittura, compresa quella “moderna” del 1900, secolo per noi passato ma nel quale Jac stava allora vivendo. Probabilmente gli venne naturale pensare che la vicenda onirica di Pippo e compagnia bella, potesse essere narrata figurativamente attraverso il mondo surreale dei pittori metafisici dei quali De Chirico era ed è il caposcuola e massimo rappresentante, anche poi a ben guardare c’è il belga Magritte che non gli è da meno. Non si tratta di “surrealismo”, in modo stretto, ma di qualcosa di marca italiana, con peculiari caratteristiche di genere onirico. Jacovitti quindi utilizza le atmosfere metafisiche di De Chirico per confezionare una storia “per ragazzi” che ha un substrato colto. Poi la storia jacovittesca si evolve e bruscamente passa dal sogno al sonnambulismo e inconsciamente alla realtà, periodo nel quale il nostro Pippo credendo ancora di sognare esce di casa dalla finestra del primo piano, cadendo dentro una botte piena di acqua posta a fine grondaia: che combina allora? Ehh, di tutti colori. Ma a questo punto la storia occorre vederla e leggerla; contemporaneamente sul settimanale di Roma, il cattolico e studentesco “Intervalllo”, c’era ancora “Pippo e il dittatore”.
    “Intervallo, Intervallo”… siamo sempre all’inizio del mese di Maggio di quello stesso anno.

    Che cosa disegnò mai Jacovitti nei primi quattro mesi di quel periodo fatale, mentre ancora al nord infuriava la guerra ed io di pomeriggio al cinema comunale ospitato dall’ex palazzo della G.I.L., mi deliziavo con la visione di vecchie comiche mute, mentre la notte la passavo nell’improvvisato rifugio sotterraneo di tipo casalingo (una cantina) quando poi dal cielo il misterioso aereo inglese, soprannominato “Pippo”, sganciava bombe a casaccio con evidente scopo terroristico?
    Nessuno risponde.
    Va beh, le storie che poi furono pubblicate dopo, che si identificano osservando bene lo stile del disegno che appare inizialmente precedente a quello delle prime tavole di “Pippo e il dittatore”: “La famiglia Spaccabue” ad esempio (a mio parere Jac iniziò per prima proprio questa storia, che poi ebbe una coda assai lunga e “spezzata”), oppure la breve storia “Giove il bove” o “Oreste il guastafeste”.

    Il fatto che l’epopea degli Spaccatovi sia stata pubblicata dopo quella del Dittatore (Oreste addirittura tre anni dopo, Giove il bove decenni dopo!”) sempre su “Intervallo”, non vuol dire nulla, lo stile del disegno rivela che probabilmente Jac iniziò a disegnare le due storie in contemporanea mentre metteva mano anche ad altri lavori destinati a “Il Vittorioso”. Per questo non è possibile ordinare tutti questi lavori in data di esecuzione, perché di fatto Jacovitti li accavallò! La stranezza è che questa messe di storie hanno avuto come precedente il solo “Pinocchio” disegnato nel corso dell’anno precedente. Vera fucina jacovittesca: su questa storia sono stati versati fiumi d’inchiostro, quindi mi pare saggio evitare di ribattere sul chiodo dalla testa consunta. Ora son molte ombre, mi osservano con espressione di incertezza. Qualcuna si schiarisce la gola e sospirando apre la bocca per parlare, la richiude, la riapre per infilarci la pipa, che intanto si è ingloriosamente spenta.
    Io estraggo dal capace zaino che sempre mi tiro dietro il volume “Jacovitti 60 anni di surrealismo a fumetti “ e lo apro a pagina 76 leggendo le prime righe in alto: …il cambiamento si nota bene nel passaggio da Cin Cin (disegnata nel 1943 e non nel 1944, n.d.r.) pubblicato nel 1944 su “Il Vittorioso”, confrontandolo con le storie successive (qui si allude a “Pinocchio” disegnato del corso del 1944? Parrebbe che invece l’invito al confronto venga fatto fra Cin-Cin e Ciak, infatti…). Il cambiamento si nota bene nella sognante favola di Cin-Cin confrontata con “Ciak”, storia dal disegno meno barocco, più organizzato e coerente, basta ricostruire, al di là delle date di pubblicazione, l’autentico ordine in cui Jacovitti disegna questi capolavori, fra il suo nascondiglio fiorentino e la piena luce del sole dell’Italia liberata.
    Questa è la parte finale del capitolo “Jacovitti sulla Luna” inserito ex novo nella nuova edizione 2010 del saggio in questione, edito da Nicola Pesce e che in pratica sostituisce quella del 1992 dovuta a Granata Press. Voi che ne dite? Non c’è un poco di involontario depistaggio?
    Provate a fare un confronto su come sono disegnati rispettivamente “Pippo e la pesca” del 1943 e “Pippo sulla luna”, vi renderete conto che i due anni che li separano sono stati forieri di essenziali cambiamenti. Pensate alla storia del Nostro intitolata “Ciak”, disegnata nella metà del 1945: sarebbe stata pensabile una storia felliniana ante-lettera di tal genere solo un anno prima?
    Il mondo cambia, non solo per quanto concerne Jacovitti.
    Inizia un’altra epoca, stanno per arrivare nuovi eroi.
    Mi sbaglio?

    Poi alla fine la guerra finì.

    Del 1945, avevo sette anni, mi rammento l’arrivo del “Vittorioso” con “Pippo sulla Luna”, e soprattutto la successiva storia in perfetta continuity “Pippo in montagna”, perché era misterioso e – per me – carico di pathos. Mah?

    Pensando agli anni dell’immediato dopoguerra non posso celare la mia emozione di fronte ai ricordi del “Vittorioso” di quel periodo con storie strepitose di Jacovitti e Craveri. Fra le tante cose che meriterebbero di essere citate scelgo come inizio un numero non a caso de “Il Vittorioso” 1947: il n.45 del 23 Novembre!! Come mai due punti esclamativi? Beh, perché qualcosa c’era di diverso rispetto ai numeri precedenti, ossia l’impaginazione delle tavole centrali, quelle tutte a colori. Sul numero di Giugno 2006 di “Vitt & Dintorni” Sergio de Simone parla intervistato dal nostro Renato Ciavola: “…ma ad un certo punto Piercostante Righini venne promosso ad altro incarico; iniziò così un periodo particolarmente triste perché a sostituirlo fu chiamata una persona (Enrico Gastaldi, lo aggiungo io), che pur degnissima, non si manifestò all’altezza del suo compito, con scarsa attitudine alla direzione di un settimanale come il Vitt”.
    Io, sbrigativamente, faccio coincidere quell’infausto momento con la strana impaginazione delle due pagine centrali, dove le tavole della storia craveriana “L’Isola della pace” si rimpiccioliscono e sdoppiano, e le avventure ”Mino e Dario“ di Franco Caprioli vengono sistemate fra le rimpicciolite puntate delle peripezie craveriane dell’Isola della pace assumendo una inusitata forma di “T”!
    Mah?? a Jacovitti con “Pippo e la bomba comica”, Craveri con prima “Roba da chiodi” e poi “Il delfino inossidabile”. Sulla prima storia craveriana penso valga la pena spenderci su due paroline: viene pubblicata sulla parte sinistra del paginone centrale impaginato in modo da ospitare ben tre storie a fumetti, questo sull’onda un poco maniacale di una moda inaugurata l’anno precedente sul mondadoriano settimanale “Topolino”, che appunto nelle due pagine di centro presenta tre storie a fumetti, due disneyane e una di Brick Bradford. Ecco, in tale maniera probabilmente si pensava di mettere più carne sul fuoco per la delizia dei piccoli lettori, ma in pratica sulla graticola in tale maniera venivano messi i giovani utenti che si trovavano sotto agli occhi sì ben tre storie a fumetti, ma impaginate in modo poco pratico e soprattutto penalizzanti per gli autori/disegnatori di quei fumetti che vedevano le loro tavole rimpicciolite e disposte in modo incongruo. Riguardando ora l’avventura degli zoolandini “Roba da chiodi” opportunamente ingrandita, beh, l’effetto è sorprendentemente diverso: risulta migliorata la leggibilità, il disegno acquista più respiro, la lettura dei contenuti delle “nuvolette” e didascalie perde l’affanno derivato dall’originale compressione e piccolezza, la narrazione della stessa storia e dei suoi contenuti narrativi risulta alla lettura molto più godibile. Insomma, la doppia pagina con tre storie era e rappresenta di fatto il caso emblematico del contesto che condizione il senso di una parte del testo che gli appartiene.
    Va beh, non mi dilungo e vi invito a rileggere questa avventura craveriana ingrandendone le tavole. E poi gli albi… che non erano solo quelli dell’AVE ma anche tutti gli altri, una sorta di confusa alluvione di storie vecchie e nuove, mescolate casualmente insieme da vari editori; alcuni dall’operato assai effimero – se così mi permettete di dire – cito a tal proposito alcune serie raggruppate sotto l’egida di ”Enigmistica popolare”, editore tipografo Bandettini, Firenze. Ma i pezzi da novanta erano molti altri, fra i quali non è possibile dimenticare Nerbini e Capriotti. Nell’ambito del recente saggio a sei mani di Gori, Gadducci e Lama, “Eccetto Topolino” edito dal romano Nicola Pesce, ci si ferma praticamente al 1945: il dopoguerra sarà forse trattato in un altro successivo lavoro, anche se le premesse contemporanee (Agosto 2017) non lasciano ben sperare se anche Gori non può fare mente locale sulla copiosa e differenziata produzione nerbiniana già esistente nell’estate 1945. Va beh, però di Capriotti e le sue pubblicazioni con i rinati eroi americani dell’età d’oro si sarebbe potuto dare una visione d’insieme più approfondita, poiché in effetti, essendo l’editore in questione operante in quel di Roma ancora a guerra non conclusa – pensiamo al settimanali “Grandi Avventure”, poi all’“Avventura”, “L’Ometto Pic”, “Cantastorie”, “Giramondo” e relativi albi di Mandrake, Cino e Franco, L’Uomo Mascherato, “Marco Spada” e così via – la sua produzione di materiale a fumetti si lega in continuità con quella degli anni precedenti dovuta ad altri editori, fra i quali anche Mondadori, il quale poi per ragioni di opportunità politica (compromesso con il defunto regime fascista) rimase alla sbarra di partenza fino alla fine del 1945. Comunque io, abitando nel nord Italia, le prime cose le vidi a guerra conclusa e in modo discontinuo, spesso sulle bancarelle dell’usato che vendevano alla metà della metà del prezzo originale. In tale maniera qualcosa riuscivo ad acquistare: ricordo edita da Capriotti nella serie Grandi Avventure una storia misteriosa ed intrigante intitolata “Cino e Franco contro i fotografi della 5° colonna” ed alcuni albi de “L’Uomo Mascherato” nell’ambito dei quali il forzuto giustiziere in calzamaglia trovatosi non so come a Parigi, doveva combattere contro la banda della “Freccia d’oro”, congrega di donne bellissime ma, ahimé, dedite ad imprese delittuose di ogni genere. Nel primo dei tre albi che contengono tale avventura, “La freccia d’oro”, una didascalia iniziale ci informa che il Nostro è un passeggero su di un treno che ha viaggiato alla volta della capitale francese: ma come mai, che cosa era successo prima? Mistero, poiché di quella storia risalente peraltro in origine al 1939-40 (mai prima arrivata in Italia a causa della guerra), mancano le prime 30 strisce giornaliere! Va beh, allora queste erano cose consuete, ma io in quel momento avevo solo 11 anni e mi ponevo domande sul perché e percome: da dove arrivava L’Uomo Mascherato???

    La precedente avventura apparsa solo in parte su “L’Avventuroso” nerbiniano nel corso del 1941 ci raccontava la famosa avventura de “Il furto alla caverna del teschio”, quindi epopea ambientata nella Jungla originaria, sede naturale dell’Uomo Mascherato; su “L’Avventuroso” questa avventura continuerà apocrifa disegnata dal bravo Lemmi, ma i suoi contenuti saranno completamente inventati e quindi forvianti rispetto alla sconosciuta versione originale americana.
    Va beh, per ora è tutto.

    (TPT)

  17. Il problema dei rapporti fra testo, contesto e codice sono estremamente complessi.
    Io trovo affascinante addentrarmi nell’analisi di particolari momenti storici: per Jacovitti fu fondamentale il periodo 1957/60.
    La contemporaneità della sua presenza di tante pubblicazioni così diverse fra di loro ( pensiamo al “Corriere dello Spazio” con il suo incompiuto “Vola Hop” e alle storielline per “Il Piccolo missionario”) necessita di una lettura assai attenta.
    Altrimenti si rischia di fraintendere il rapporto di causa effetto e il senso della indubbia continuità nell’operato del Nostro.
    Il volume “Surrealismo ecc,ecc” è un’opera colta, con numerosi rimandi ai contenuti di altri media, non ultimo il cinema, ad esempio.
    Per questo avrei visto volentieri la riproduzione di tavole tratte dal “Travaso delle idee” , che con tre storie assai diverse fra di loro, è stato un contenitore che ha dato a Jacovitti di esprimersi certamente con maggior libertà rispetto ai contemporanei “Il Vittorioso” e “Il Giorno dei ragazzi”.
    Tutto qui.
    Saluti a tutti.
    Rispondi
    tomasoProspero3 novembre 2011 07:33
    Come al solito lo scrivere al computer mi mette in difficoltà per questioni visive, quindi nonostante io ingrandisca moltissimo faccio spesso e errori non solo di battuta ma anche di costruzione del periodo saltando parole o nella coniugazione dei verbi ecc, ecc.
    Dovrei stampare, correggere, riscrivere, cosa che non mi sento di fare.
    Metto a posto solo questo:….che ha dato a Jacovitti modo e maniera di esprimersi certamente con maggior libertà”.
    Chiedo venia, ma l’età incombe.
    Tomaso Prospero Turchi 29 Aprile 2021, 9:56 Rispondi
    é corretto postare l’intervento di Donald risalente al 2011 senza chiedergli il permesso?? Non so, ma io Donald( Leonardo Gori) non saprei come contattarlo, anche per evitargli di casomai dover rispondere e perdereil tempo che per lui certamente è prezioso””
    Donald1 novembre 2011 18:08
    Allora, cominciamo con Tomaso.
    Non ho (abbiamo) scusanti per l’omissione di un’analisi delle storie sul “Travaso”. Ti posso solo spiegare com’è andata: nessuno di noi tre autori (Franco Bellacci ha curato “solo” l’appendice) disponeva di quel materiale. Di fronte all’esigenza di fare comunque una scelta, tra le cose da privilegiare nell’analisi, abbiamo scelto di occuparci di quelle che conoscevamo di più, ognuno nei limiti delle proprie competenze. Nei libri scritti a più mani, in cui gli autori si spartiscono i capitoli, com’è il caso di Jac (ben diversamente è andata con Eccetto Topolino), c’è ovviamente una “regia”, ma è inevitabile che qualcosa sfugga, anche di importante, specie quando ci sono limiti di spazio ben precisi.
    Insomma, oltre a Pasqualino Rififi sono saltate certamente molte altre cose, e certe assenze magari saranno dispiaciute più ad altri che a te (o a me).
    Avanti con la seconda critica, dai! ?
    Tomaso Prospero Turchi 30 Aprile 2021, 9:00 Rispondi
    Mah, ho già risposto in data 30 Ottobre 2011!
    Qui ho solo postato le varie domande e risposte in ordine diverso per creare un movimento nel tempo! Comunque al giorno d’oggi, ultimo giorno di Aprile 2021, posso fare riferimento al numero 30 della collana edita da Hachette “Cocco Bill e il meglio di Jacovitti”, edito il 13 Marzo 2018, creando un piccolo spostamento a ritroso nel tempo! Comunque su questo numero si può trovare la ristampa della canizza parisienne di Jacovitti “Pasqualino Rififì, con due interventi di Luca Boschi, pagina iniziale e successiva ( senza numerazione), e pagina 38 che precede l’inizio del fumetto in questione! Di più su questo argomento non dico , se siete curiosi potete cercare in rete un mio articolo originariamente apparso sul stito “Amici del “Vittorioso” intitolato “Troppi libri su Jacovitti?, poi successivamente defenestrato dalle forze benigne del Bene, in accordo con qualche benpensate dirigenziale dell’Associazione prima citata! Essendo io catalogato in quell’ambito come rappresentante del “Male” con contorno di demoni vari, che altro mi dovevo attendere??’
    Sauro Pennacchioli 30 Aprile 2021, 17:42 Rispondi
    Aspetto sempre tuoi articoli, Tomaso.

    Tomaso Prospero Turchi 1 Maggio 2021, 14:30 Rispondi
    Ehh, articoli…. sono in caduta libera, è già tanto se riesco a planare senza fracassarmi al suolo. La mia planata per scansare le pallottole delle mitragliatrici dei cari Amici del Vittorioso, non solo, anche Leonardo Gori con compagni di merendine mi pare sia infastidito dalla mia perveranza, che adotto per cercare di capire cose e situazioni! Il fatto poi che io lo faccio solo per il piacer mio, insospettisce molti! A
    Ma non tutti sono malfidenti, ricordo con piacere e amicizia Angela Ravetta, che qui saluto, che oltre a scrivere benissimo, non mi ha mai ostacolato, anche se scrivevo cose un poco stupide. Mah?
    Tomaso Prospero Turchi 1 Maggio 2021, 18:59 Rispondi
    Beh chiedo scusa, naturalmente “Perseveranza”, o con snobismo avrei potuto scrivere “residienza”, ma questo non avrebbe corrisposto al vero, poichè la mia planata su questo vecchio aereo da museo, non va come avevo sperato (o forse si?) e capisco che sto per schiantermi nei pressi dell’inquietante Devil hole, una sorta di buco nero senza ritorno. Ehh, articoli, me li sognerò, a meno che all’ultimo istante non intervenga il prozio Uggero Castellazzi, eroe della prima guerra mondiale, fratello di mia nonna paterna!
    tomaso Prospero Turchi 8 Maggio 2021, 19:10 Rispondi
    Nuova Canizza parigina con Angela e il sottoscritto in primo piano
    Oggi 7 Maggio 2021 non è una buona giornata, per il fatto che dopo aver mangiato il pranzo fuori orario per colpa del tecnico informatico Pop Eies specializzato in micro computer ( vi dirò, forse, poi…) mi sono addormentato su una panchina di questa piazza che sembra solo un incrocio di strade: nonostante il mese di Maggio tiepido, vento e questa strana pioggia che parla di solitudine quasi fermando il senso del tempo, mi sferzano senza requie.
    Una sorta di attesa alla Hopper, ma senza tanta luce, con il vento che c’è ma non muove le cose. Pioggia battente, eppure sul set che mi si para davanti, di questo film film amatoriale girato da Jacovitti con la consulenza di Fellini e Simenon truccato da commissario Maigret inizio anni sessanta, il gruppo di cantimbánchi girovaghi di certa etnia lombarda ( riconosco Mastrorocco, Ragni e Maggi tutti e tre in mutandoni per esigenze sceniche ( Fellini docet)!!) incuranti che l ‘addetto alle luci Hopper non illumini la scena, peraltro immota, si impegna per intrattenere i pochi curiosi passanti, che in questo remoto angolo del 20° si affollano intorno a loro. Alla questua penso io minacciandogli improvvisati spettatori a scrocco, con una finta rivoltella fatta di marzapane, raccolgo in tale maniera qualche soldino per la futura ristampa in albo di gran lusso di “Pippo e la pesca”, colorato dal daltonico Lo Tedesco in tandem con Von Turcken, mio cugino svizzero di Ginevra!
    Straziante una voce fuori campo- mi pare Pazzi che soffre di gotta- sottolinea le danze dei tre poveri malcapitati con tonalità e ritmi portoghesi popolari tradizionali.Pazzi un portoghese?? Mah, anche questo non lo immaginavo!!
    Beh, non ci troviamo esattamente nel 20° arrondissement parigino, ma un poco più ad est oltre la Porte des Lilas , dalle parti del cimitero omonimo, dove strade e vicoli si intersecano in modo disordinato mantenendo la casualità della loro disposizione risalente alla fine 800. Ah, la poesia della banlieu, cantata da Prevert e immortalata in tanti films del regista René Clair, la voce conturbante del “brutto anatroccolo” Edith Piaf, l’interprete più autorevole della chanson intime. E poi il film cult Godot, Jean Sernais dal volto impenetrabile nella bagarre del film Rififi, il primo Delon, ambiguo e – per le donne- bellissimo, Jean Gabin e il suo grisbi. Mah, altri tempi. Tempi di noir e di polar

  18. Jacovitti si aggira nel garage ermetico e si smarrisce tra la folla di Alieni che al mercato delle pulci di Saint Ouan cercano “L’affare”!! Dietro al suo Banco di articoli in vendita Lupus denari scruta Jacovitti e sorride furbescamente!!
    Denari e Ezechiel sono seduti al Bistrot “ Chez lupo in fabula” , qui in place “Contrescarpe” ospiti della linea letteraria inaugurata nel saggio commemorativo di”100 anni con Jacovitti”, già bestseller in Cappadocia nel monastoro dei frati sordomuti che hanno fatto anche il voto di non esprimere mai un parere al di fuori dei fioretti di San. Francesco, all’interno di una storia straordinaria di Caprioli quale è “Rose fra le torri” risalente al 1944!!!La storia da riassumere sarebbe piuttosto lunga, quindi mi limiterò a fare una premessa di tipo cronologico partendo dalla lontana, per spiegare la fuga in Irlanda, braccati ( io, Luca Boschi e Leonardo Gori e mi pare Sani travestito da pellegrino circense accompagnato dal suo mentore in fatto di avvenimenti di genere poliziesco, mister Sherlock Holmes, “retired” da decenni, dedito all’allevamento di api nel suo eremo ubicato in una landa quasi irraggiungibile del Sussex e tornato in attività per supportare una strana indagine dell’alter – ego di Gori, un certo Arcieri……che spesso si può contattare nei panni di lavapiatti e cuoco nei momenti di estro a Parigi in rue Guisarde nel ristorante situato al n°13, Chez Fernand. Gori dopo aver jetto “ Cento anni con Jacovitti” é rimasto apparentemente impassibile: si gratta la zucca e chiude gli occhi! Dorme???’ Mah, e chi lo sa!! Forse pensa ai primo fumetto,storia, di Jacovitti?? Primi anni sessanta??Quanti anni avevo la prima volta che mi capitò di guardare una storia a fumetti? Non posso ricordarlo, poiché nel 1937 quando ebbi la ventura di venire al mondo, mio fratello maggiore Franco, allora di anni sette, già aveva fra le mani Albi e giornali a a fumetti quali !i Corriere dei Piccoli, l’Avventuroso, Topolino giornale e relativi albi e anche Il Vittorioso allora appena uscito nelle edicole; arrivato all’età di anni cinque, nel 1942, le cose viste e poi successivamente lette, rimasero nella mia memoria. Quindi i ricordi iniziarono a sedimentarsi in qualche parte del mio cervello preposto a tale funzione! Di allora di altro ricordo Dick Fulmine Albogiornale e Jacovitti autore di storie per me allora straordinarie, quali quelle di “Cucu” e successivamente le avventure di Pippo, Pertica e Palla più cane Tom, alle prese con spie e villain vari, fra i quali l’impnotizzatore circense Putifarre!! Poi la folgorazione di Mandrake e L’Uomo Mascherato sulle pubblicazioni Nerbini!
    Una formazione quindi pluralistica, nella quale convivevano anime del fumetto assai diverse fra di loro, con origini eterogenee e lagate ad Immaginari fra di loro estremamente differenziati!
    Personalmente iniziai ad acquistare fumetti a dieci anni, nel 1947, “Il Vittorioso” per Jacovitti soprattutto, poi qualche albo di Mandrake e Phantom anche nell’edizione del romano Capriotti.
    Da allora non ho mai abbandonato il fumetto. Anche ora da vecchio guardo le edicole che ritengo un mondo alieno,o quasi!!, anche se sono rimasto molto legato ai fumetti del passato come Blake e Mortimer di Jacobs, anche se le storie apocrife non le trovo sempre di mio gusto!!
    Delitto in rue de Lancry narrato in prima persona
    “Roland, ehi, Roland!!” Scuoto l’amico che dorme beatamente sul divano di velluto rosso pompeiano, proprio sotto alla grande finestra che completamente aperta lascia entrare il rumore continuo del traffico che sfreccia sul boulevard sottostante, a due passi da porte Saint Cloud. Roland Topor apre gli occhi e guardandomi sorpreso sbadiglia e chiede:” ma che ore sono?”. Io indico il grande orologio a pendolo che sulla parete di fronte segna le 16,18. Ride sommessamente l’amico Roland e stirandosi un poco si mette a sedere sul divano, io subito prevengo le sue domande e dico in fretta:” ascolta bene questa storia che narrerò al presente, non in corsivo e in prima persona! Ecco si va ad incominciare! Mi schiarisco la gola e attacco: Hugo Pratt si toglie la pipa di bocca, la osserva un poco e poi la batte per farne uscire la cenere ancora fumante. Guarda con aria quasi corrucciata Luca Boschi e Leonardo Gori che stanno sorseggiando il famoso caffè irlandese che il Nostro ha imparato a fare con l’aiuto del fido maggiordomo O’ Gally, reclutato nella contea di Clare dopo il famoso caso dei delitti delle scogliere di Moher, dove un centinaio di turisti finirono al cimitero per aver bevuto tazze di caffè alla panna con stricnina al posto del liquore; non si alza dalla comoda poltrona e si avvicina alla grande portafinestra, scosta la tenda di pizzo e guardando fuori sospira dicendo:” Tomaso mio carissimo, qui al n°42 de Lancry, un posto tranquillo di questo quartiere parigino a due passi dal famoso canale di San Martin, mi trovo bene, sento un’aura positiva che mi circonda, che mi rimanda alla mente ricordi di posti lontani da me visitati innumerevoli volte. Uno di questi è sicuramente l’Irlanda.
    Naturalmente potrebbe continuare……..
    Mi sono invece incongruamente addormentato mentre guardavo avidamente il volune Taschen con l’integrale di Little Nemo, sotto agli occhi vigili di Micia e della lupa bianca a volte suo Alter ego!! Dai loro continui miagolii e sonorità varie risvegliato con intenzionità , apro gli occhi e dalle fessure della finestra semiaperta percepisco che filtra l’incerta luce del tramonto o del primo mattino, non saprei dire… Ho avuto un incubo spaventoso, leggevo il saggio ”100 anni di Jacovitti” di Denari e Colabelli, e mi rendevo conto che era un rifacimento scritto e gonfiato !! Ma era solo un incubo, la realtà non può produrre certe cafonerie furbeschamente fritte e rifritte!! Italo Calvino sbuffa, non si cura di queste faccende di stravaganze scritte e riscritte in modo poco astutamente gonfiato e integrato da contesti complementari, è pensieroso mentre sfoglia pigramente la rivista appena arrivata per posta dall’Italia. Riesco a vedere l’intitolazione: “GULLIVER”. Ah, la creatura cartacea di Grillo! in questo numero viene ristampata la storia di Jacovitti del 1945 “Pippo sulla Luna” con l’impaginazione rimontata nel formato a tutta pagina verticale. Operazione ortodossa, perché nessun taglio di vignette od altro viene effettuato. Nemmeno il lettering ha subito gli oltraggi del cosiddetto rimodernamento, tanto caro a grafici/calligrafi di nuova generazione, va beh, meglio che niente! Però l’emozione provata da chi ha avuto modo di leggere nel corso del 1945 settimana per settimana lo svolgersi del sogno lunare è ovviamente cosa irripetibile. Calvino mi osserva attentamente e con grande calma , con voce monotona mi dice:” Già, questa storia a fumetti si presterebbe bene ad essere manipolata seguendo il metodo della combinazione .. ehm, combinatoria. Ossia una operazione che ho compiuto in età matura, quella consistente nel ricavare delle storie dalla successione delle misteriose figure dei tarocchi, interpretando la stessa figura ogni volta in maniera diversa, certamente ha le sue radici in quel mio farneticare infantile su pagine piene di figure. È una sorta di iconologia fantastica che ho tentato nel Castello dei destini incrociati. . (Cfr. A. Piacentini, Tra il cristallo e la fiamma, alle voci “Calvino, Il castello dei destini incrociati…………”; “San Gerolamo”; “San Giorgio”; e per il ruolo dei fumetti nel narrare di Calvino alle pp. 431-439). Roland Topor sorride osservando Calvino intento a parlare e parlare sdraiato su un comodo divano beve da un boccale birra chiara e dopo schiocca le labbra soddisfatto: “Mi è sempre piaciuto il personaggio di Bianconiglio… un essere dominato da impulsi al limite del maniacale, rivelatosi poi alla fine uno scherano della regina malvagia. Peccato che io non abbia mai avuto l’opportunità di illustrare “Alice nel paese delle meraviglie”! Fra tutti gli artisti che ci hanno messo mano mi piace molto Newell, un americano dell’inizio del 1900 alla corte di Carrol!!” Ride ancora Topor felice della sua battuta. Jacovitti avvolto nella nube tossica emessa dall’enorme sigaro che sta fumando sorride sornione: Guarda Roland Topor-“Ma dai Roland, qualche illustrazione con Alice protagonista l’hai pur fatta!” Topor sospira:” Beh, in verità si, ma cose da nulla, non come per Pinocchio, per il quale ho prodotto 23 illustrazioni fuori testo. Certo, una bazzecola al confronto di quanto a proposito hai combinato tu”. Così dicendo Topor ride a singhiozzo guardando Jacovitti che apertamente sogghigna. Il nostro Jac si fa improvvisamente serio. Grattandosi la testa si toglie il sigaro di bocca e lo schiaccia nel portacenere.
    Mi giro e mi accorgo con un brivido che la solita distorsione spazio /temporale mi ha spedito “altrove”, lontano da Roland Topor e la sua dimora parigina. Si, ma dove poi?? . Un movimento impercettibile dell’aria mi mette in allarme: Franco Benito, anima in pena, sei tu?”. Intorno al piccolo vortice una figura spettrale emerge porgendomi un libro. Ah, perbacco. Si tratta del volume edito da Taschen con la raccolta completa delle tavole di “Little Nemo, del grande Winsor McCay. Leonardo Gori nel suo blog “Fumetto Classico, nello scorso mese di Dicembre 2014 lo ha magnificato ( e in effetti il volume è stupendo), definendo una bazzecola il prezzo di cento euro e passa. A dir il vero io non la penso in questo modo nei riguardi del prezzo rapportato a che cosa significano cento euro per tutti coloro che per campare tirano la cinghia, però forse sbaglio. Mah? Guardo lo spettro/Jacovitti e in trasparenza vedo alle sue spalle la silhouette incombente di Bruno Manco Arcieri Capac: stranamente appare non avere spessore, un paradosso della fisica. Mancobruno estrae dalle pieghe del mantello di alpaca una serie di cordicelle fittamente annodate: capisco il messaggio in codice. Ho studiato per anni la scrittura a nodi inca – quipu – e ho passato un’ intera estate al museo di Cuzco a decifrare nodi con la consulenza del noto studioso americano di civiltà mesoamericane e in special modo sulla loro rete stradale di comunicazioni, Victor W. Von Hagen, eminente personalità che conobbi a Roma nel 1956 quando ero ragazzo mentre presentava il suo libro”Highway of the sun “.
    Beh, si il messaggio in “scrittura” quipu è in pratica una poesia d’amore dedicata ad una certa Elena Contini. Il nome non mi giunge nuovo. Ah, si,si, ora rammento, il grande amore di Arcieri sbocciato verso la seconda metà degli anni ’30, quando il nostro poeta innamorato era poco più che trentenne. Rammento una bella storia parigina… ah, l’amour! posso rimanere inattivo di fronte ai patemi amorosi di Bruno?? Certamente no! Ed eccomi quindi qui sull’Esplande des Invalides insieme ad una decina di musicisti principianti chr mi sto esercitando con il flauto peruviano. Gori,direttore onorario d’orchestra, non si vede, è certamente rimasto a banchettare da Chez Maxim, dopo una intera notte di stravizi. Ah, se non fossi diabetico, cardiopatico e con una massa oscura non meglio identificata che mi ingombra il cervello, sarei anch’io della partita. Beh, non proprio, poiché mangiare molto non mi piace, bere poi…sono astemio. Donne, dite donne?ma io sono felicemente insieme con mia moglie dal mese di Marzo 1961 e non ho mai toccato altra donna. Sono Padre e nonno felice. Insomma, vorrei solo interloquire ogni tanto con qualcuno che condivide i miei appetiti intellettuali. Già, la lettura, i fumetti che sono un prodotto di non solo intrattenimento. Chiedo troppo?? Mi devo ritirare nell’anfora che a morte avvenuta conterrà le mie ceneri?. Beh, metaforicamente lo posso fare.
    L’unico che mi capisce è Mancobruno Arcieri, in arte musical sonora Capac! Bordelli, voi dite anche il commissario Bordelli?
    Nooo, mi spiace per Marco Vichi, è pur vero che soffre costantemente per amore, ma le sue passioni sono tempeste adolescenziali, anche se ormai la sua età non è più verdeggiante.
    Ps. Il flauto peruviano, chiamato anche flauto di Pan o zampogna, è uno strumento a fiato sudamericano. Ci sono vari tipi di scanalature, ma il flauto peruviano è caratteristico per la sua gamma limitata di tubi. Tipicamente, esso presenta 10 tubi, talvolta suddivisi su due file da cinque. Lo strumento crea un suono unico, “legnoso”, ed è relativamente semplice da suonare, ma per perfezionare il proprio suono sullo strumento richiede anni di pratica.
    Anni, non so se ce la farò. Lascerà scritto nel mo testamento che i miei discendenti dovranno perseguire, almeno moralmente, lo studio del flauto peruviano, affinché in caso di bisogno siano in grado di affiancare Manco Bruno nelle sue performances.
    Ultima parte del primo degli innumerevoli capitoli: “ Se tu sapessi, dice Jac a Roland Topor intento a disegnare una bella copertina di “Hara –Kiri”, in quale circostanze disegnai i miei primi due Pinocchio, quando ormai l’Italia era in mano alle camicie nere delle Repubblica sociale e a quei pazzi nazisti dei tedeschi…..” Topor si fa cupo e inizia a parlare quasi sussurrando:”Io nel 1943, all’età di soli 5 anni dovetti fuggire da Parigi con tutta la famiglia e rifugiarmi in Savoia, per salvarmi dalla Gestapo, che voleva eliminare come ebreo me e tutti gli altri, parenti, genitori ed amici con in comune la stessa fede religiosa. In queste circostanze un individuo, per sopravvivere, deve dissimulare la sua virulenza. Deve svolgere una attività utile a una comunità umana, a un gruppo sociale. Deve dare l’impressione di essere sincero. Deve apparire UOMO NORMALE. La sola rivolta individuale consiste nel sopravvivere”.. detto questo Topor guarda me, Calvino e Jacovitti e ride a singhiozzo con espressione indecifrabile. Io penso che, forse, Topor ha intuito quello che bolle in pentola. Insomma, la faccenda relativa allo scrittore Italo Calvino ormai stabilmente residente a Parigi e che avrebbe l’intenzione di proseguire i suoi esperimenti letterari di combinazione, non più utilizzando i tarocchi ma una pagina di una storia a fumetti, possibilmente di mano Jacovittesca, o comunque una tavola gremita di personaggi. In questo caso mi pare evidente l’influenza di Raymond Queneau, la fama del quale è probabilmente, in Italia, legata ai romanzi del mondo un po’ ambiguo della banlieue parigina, dell’uso dell’argot e ai giochi ortografici del francese parlato quotidiano, un insieme narrativo con una sua rigorosa logica interna, molto coerente e che raggiunge il suo massimo di vis comico/surreale in Zazie dans le mètro. “Si, ma Ehm, ehm, vedo che Manco nervosamente si sta stuzzicando le unghie con l’affilato machete, torniamo quindi al dunque… Mi rivolgo all’evidente paradosso: “Manco, cerca di essere meno severo con chi ( io, per la cronaca) scrive per passatempo: la simbolica matita rossa e blu di triste memoria non ti si addice; è vero, la comunicazione deve essere chiara e conclusiva se si vuol far capire il senso del messaggio, ma spesso in una conversazione “scritta” fra più persone capita che ognuno parli quasi solo per se stesso, ignorando l’esigenza di chi vorrebbe interloquire. I personaggi prendono la mano allo “scrittore”, definizione questa che sta per persona che semplicemente scrive. Nessuna megalomania – spero – da parte del sottoscritto. Il linguaggio parlato poi, se trascritto alla lettera, a volte non ha quasi senso. Una questione di codice, tu ne dovresti sapere qualcosa che al posto delle parole scritte annodi cordicelle!! Su questo aspetto famosi scrittori hanno giocato le loro carte, non ultimo Raymond Quenau. I suoi giochi linguistici hanno fatto scuola. Certo, difficile assomigliare anche lontanamente a Queneau, oppure a Calvino che tradusse del maestro francese l’intraducibile . “Lisca di pesce” si alza e ci saluta dicendo:” devo andare alla galleria del teatro Odeon dove Corteggiani- il quale mi ha ricevuto ieri mattina alla gare de Lyon- e Wolinsky mi aspettano per inaugurare una mia personale, non solo Cocco Bill richiesto a gran voce, ma con ben 500 tavole originali, comprese tutte le puntate di Caramba, Cucu, Chicchirichi e Cin Cin . Quest’ultima storia poi, risalente alla fine del 1943 la terminai contemporaneamente alle illustrazioni di “Pinocchio” fatte per l’editrice La Scuola. Ricordo ancora bene quando fui contattato da Vittorino Chizzolini, anima dell’editrice bresciana. Il Nostro sospira e ci saluta agitando la mano. Va beh, penso io, Jacovitti ne avrebbe da raccontare! Già, commentiANGELA RAVETTA 22 Luglio 2023, 13:20 Che bella la Parigi di Tardi e Malet! Forse è la città che imita i suoi cantori. Certamente è la città ce io ho visto la prima volta ce sono andata a Parigi.Tomaso Prospero Turchi 22 Luglio 2023 16:48 a iniziai, fra le tante altre cose, il tentativo di raccogliere i film degli anni 40/50 fino agli inizi 2000 circa ambientati a Parigi, presumibilmente girati con il sistema neorealista e con gli ambienti esterni non ricreati in studio.
    Questo con l’aiuto fondamentale di mio cognato Luciano esperto cinofilo e cinefilo, cani e pellicole!!
    Impresa disperata, il cane, Ossobuco , labrador forse misto, spesso sbriciolave pellicole per passatempo approfitando dell’assenza del padrone di casa! Così finìa nnche la raccolta di pellicole relativa alle interviste video (suppongo) di Jacovitti fino al 1992. Comunque qualcosa ho combinato nonostante il cane distruttore di pellicole! La mia ricerca di film su Parigie relativi a Jacovitti era sempre fatta sul campo, con viaggi e viaggetti vari!
    L’impressione che ne ho poi ricavato è che pure Léo Malet , esperto anche di cinema e attore a tempo perso, abbia seguito anche questa pista sistemica, specialmente per i film in bianco e nero degli anni ’50 genericamente di tipo poliziesco: attori protagonisti Paul Belmondo, Alain Delon, Jean Gabin, Lino Ventura eccetera . Poi certamente Malet, cantante sedicenne nei locali notturni di Montmartre, conosceva ed era -lo dico io- sedotto dalle canzoni del periodo e dalle grandi interpreti , in testa alle quali pongo l’insuperabile “uccellino” di Belleville, Edit Piaf. Io poi ho una forte irrazionale simpatia per Ives Montand e per il suo modo di cantare.
    L’hanno detto in molti, la Parigi di Malet e poi di Tardi è fatta di suggestioni, non è un duplicato della realtà ma è opera in un certo senso di fantasia.
    Il fatto, di tipo tecnico, che Tardi disegna gli sfondi urbani usando una prospettiva di tipo scolastico – linea dell’orizzonte all’altezza dell’osservatore, cioè a circa 1,7o dalla linea di terra- e generalmente non assotiglia le linee di contorno delle forme nella realtà vià via più lontane, non preoccupandosi di creare il senso della lontananza legate alla convenzione figurativa dello spazio di tipo leonardesco, è di fatto una personalizzazione di tipo espressionistico ( l’ha scritto pure lui!!), non di certo legata agli stilemi pittorici del realismo/ naturalismo.
    Mi fermo qui per non farvi cadere in uno stato di sonno liberatorio.
    1. Tomao Prospero 22 Luglio 2018, 17:16 Rispondi
    Rileggendo quanto ho scritto, devo correggere almeno una mia svista: nella storia a fumetti “120 rue de la gare”, i fatti si svolgono da Settembre 1940 a dicembre 1941, e non 1940 come da me scritto in uno dei miei soliti momenti di deconcentrazione.
    Poi, per quanto riguarda la cantante Edith Piaf, mi pare che il nome d’arte Piaf, in argot di Belleville significhi “passerotto” e non “uccellino” come- mi pare- da me scritto a memoria. A volte si scrive a ruota libera senza controllare il risultato: frequente il caso di battere i al posto di o , oppure viceversa. Così mio cognato da cinefilo è diventato cinofilo!! Però a priori non si può escluder che ci ama i film ami pure i cani. E chi ama Parigi e Jacovitti non sia un fan di Male e Tardi, scrittore e disegnatore e autore dei testi della annosa saga di “Adele Blanc sec” lui stesso!! Comunque dalla collaborazione tra i nostri Malet e Tardi, uscirono quattro volumi, distribuiti nell’arco di un quasi ventennio, dal 1982 al 2000, legati insieme non soltanto dalla paternità della storia originale, ma anche dalla figura di Nestor Burma, detective privato furbo ma spesso imprudente , che si trova alle prese con situazioni ingarbugliate e pericolose che lo fanno finire spesso malconcio in un letto, curato dalla sua segretaria tutto fare Hélène Chatèlin, che è al suo fianco fin dagli anni quaranta, ma, magia della fiction, non invecchia di un’ora mentre Parigi intorno a lei subisce le ingiurie della guerra e poi il passare dei decenni fino a giungere alla fine degli anni settanta con casi assai diversi in ognuno degli episodi, che si svolgono quasi sempre all’interno di un singolo arrondissement, o “distretto amministrativo parigino”, se preferite.
    Da una attenta visione e lettura del tutto, possiamo a buon diritto affermare che trama, ordito e filo conduttore della serie è, ovviamente oltre al protagonista, la stessa città delle luci, Parigi. Ogni volta Malet sceglie un arrondissement diverso per inquadrare il dipanarsi dei misteri che Burma si trova a dover risolvere. Alla ricerca di indizi legati ai vari delitti, il detective percorre le strade di una Parigi uscita ormai da dieci anni e più dalla guerra e dall’occupazione tedesca, ma ancora sostanzialmente immutata sotto il profilo monumentale e urbanistico, con i vecchi quartieri del “centro” formati da strette e tortuose vie e vecchie abitazione non di rado con struttura portante in legno ben in vista, con zone molte caratterizzate dal punto di vista anche sociale e umano. Per fare un esempio, quella degli enormi mercati generali, Les Halles, il vero “ventre di Parigi”. A poco distanza di tempo le otto grandi strutture metelliche, dovute a Baltard, spariranno sotto la furia demolitrice del rinnovamento e speculazione edilizia. Al suo posto il famoso “buco”, che rimarrò tale per lungo tempo e che una volta visitato da Italo Calvino accompagnato da un giornalista che gli farà da guida, farà finalmente sciogliere la lingua al nostro scrittore solitamente ermeticamente taciturno. Ora, anno di grazia 2018 le cose si sono quasi sistemate, all’infuori della sistemazione dei giardini. Il tutto descritto con la precisione vivida di chi conosce quei quartieri come le proprie tasche e non esita a inserirvi dettagli anche a volte minuziosi. Nessuna approssimazione. Messo da parte l’espediente narrativo dell’omicidio, tutto il resto è un pretesto per raccontare Parigi, la Francia ( per Malet forse ancora quella dei ricordi anteguerra) dell’epoca, per accennare a qualche episodio della guerra che Malet -ma non Tardi- edulcora [ I Nazisti sono inesistenti o quasiche a Parigi, pur hanno comandato per 4 anni perseguitando, derubando, incarcerando e mandando nei campi di concentrameto poi di sterminio quindi alla morte, centinaia di migliaia di ebrei francesi, un milione forse solo in quella situazione geografica limitata] per tracciare con arguzia anche i personaggi di contorno, per svelare, racconto dopo racconto con l’artificio di una autobiografia con transfert, la storia di Nestor Burma, che si incrocia e si mescola con la quella di Léo Malet. Una carrellata di quartieri, di strade acciottolate in pendenza con rigagnoli ai lati , di appartamenti sfatti, di tipi umani, ai quali andiamo incontro spinti dalla curiosità di svolgere l’intreccio e che ci regalano un’immagine di Parigi, quadro reale e flash di vita vissuta
    Leggetevi le 4 storie disegnate da Jacques Tardi nell’original uso del bianco e nero + due toni di grigio diversi per intensità . Cercate i cartonati originali francesi editi da Casterman , che sono meno cari delle edizioni italiane e soprattutto hanno la carta e la resa tipografica giuste per mettere in risalto l’atmosfera notturna di una Parigi spesso bagnata da frequenti acquazzoni, con le pavientazioni stradali che riflettono luci e si ammantano di nero dove l’ombra inghiotte ogni cosa. Buona ricerca, se siete sincere anime in pena, soggiogate dalla sana nostalgia di una Parigi che ormai rivive solo nei nostri ricordi e sentimenti e di un aspetto di Jacovitti che ultimamente con il bailamme creato dai cento anni dalla sua nascita, 1923/2023, è stato bistrattato in molti modi e maniere, persino inaspettatamente dal Gesuiti romani sul loro “Civilìà cattolica”, con atmosfera di ombre e luci non so se creata ad arte per fare colpo!! Jacovitti diventa anche “qualunquista”, cosa che lascia perplessi, ma che ci volete fare, l’opinione a meno che non sia apertamente offensiva, non è reato. Mah, siamo comunque in pieno delirio!!

  19. Buona Pasqua 2023 a tutti gli uomini di BUONA VOLONTa!! Il ponte Jacovitti inaugurato per il centenario della sua nascita, 1923/2023, fu scenario di numerosi film di successo: Ultimo tango a Parigi, Ascensore per il patibolo, Zazie nel metrò, Il poliziotto della brigata criminale, Ronin, Taxxi 2, Il mistero delle pagine perdute – National Treasure, La Belle Personne, Un indiano in città, Munich, Inception, Dexter, Il prezzo dell’arte, e venne utilizzato inoltre da Marcus Miller per la copertina dell’album Renaissance (2012).

  20. 1. Il ponte fu scenario di numerosi film di successo: Ultimo tango a Parigi, Ascensore per il patibolo, Zazie nel metrò, Il poliziotto della brigata criminale, Ronin, Taxxi 2, Il mistero delle pagine perdute – National Treasure, La Belle Personne, Un indiano in città, Munich, Inception, Dexter, Il prezzo dell’arte, e venne utilizzato inoltre da Marcus Miller per la copertina dell’album Renaissance (2012). Tomaso Prospero, scrive per diletto senza pensare ai gatti nel cassetto! Pinco panco e Panco pinco il muro hanno dipinto!!
    Saurus Von Sturmenpop, ribatte il chiodo sulla sua fatica fondamentale: l’ analisi storico/idealogica è esattamente il contrario della idea fondamentale che gira e rigira nelle meningi del sottoscritto, povero ex vagabondo del Ponte des Arts!!! Quindi inizio la storia già a mezza via : “lo stesso Hergè negli anni ’70 ha ammesso che la sua formazione era quella borghese del tempo in Belgio e nazioni limitrofe. Negli anni ‘20 del secolo scorso era normale essere clerical-conservatore, non solo in Belgio , ma anche in Italia, germania , Austria e perfino in Francia, checchè se ne dica, come cerdete che il fascismo abbia potuto prendere piede all’inizio degli anni ‘2o?? Se quell’infingardo opportunista del re avesse dato ordine all’esercito di prendere a cannonate le bande fasciste della Marcia su Roma, Mussolini che aspettava codardamente a Roma l’esito della marcia, sarebbe fuggito di nuovo in Svizzera a gambe levate.Invece il re fa passare i marciatori in camicia nera e nomina Benito Mussolini Primo Ministro del governo!!! Che tristezza, meglio cambiare ambiente, andare a rotta di collo nei conclamati“dintorni” di Vitt e seguaci di Jacovitti, Topor, Caesar con Zazie e Alice come mascotte, in un giorno di nebbia e vento portato e venuto dall’ oceano o dal mar dei sargassi con tutti i suoi misteri!!
    I “ dintorni” del “Vittorioso” in un periodo di tempo che si estende dal 1937 al 1970, al quale potrebbe ragionevolmente essere aggiunto il decennio anni 80 con il “Diario Vitt”, sono assai estesi e ricchissimi di pubblicazioni a fumetti che sono di fatto un insieme di realtà che pur formando un puzzle assai intricato, i Gesuiti di “ La cultura Cattolica” nell’occosaione del centenario della nascita dal nostro “Lisca di pesce, non conoscevano quasi per nulla I suppose, ma che con certosina pazienza hanno estrapolato dalla saggistica specifica, inciampando solo o quasi in quella faccenda del “ Qualunquismo” legato a quanto detto da un personaggio di Jacovitti, tale Gionni Peppe, rivoltosi al suo stesso autore, formalmente cosa come al solito legata al “nonsenso” e invece interpretata in modo bislacco dall’autore dello studio critico gesuita Padre Giancarlo Pani. Forse sommerso dalla mole di lavoro da districare e del verosimile scarso tempo a disposizione!! Forse mi sbaglio, io sono in verità un peccatore in cerca della misericordia auspicata da Papa Francesco, quindi anelerei parole di conforto sulle mie idee spesso, queste si, bislacche nei riguardi dei “Dintorni” e Jacovitti che ci bazzica spesso e volentieri!! ! Non ci si dovrebbe meravigliare se questi dintorni appaiono di primo acchito come realtà quasi estranee. Mi guardo intorno: “Chi, ad esempio, è colui che a capo chino con guanti e mascherina carnevalesca ora che la santa Pasqua è alle porte! passeggia guardingo nel quartiere parigino del “Tempio”, tenendo ben stretta la lignea mano di un Pinocchio imbronciato e recalcitrante?? Che sia Alessandro Santi in incognito???Chissà perché questo “sconosciuto” si aggira da queste parti, dove io sono di casa per motivi inesplicabili anche al sottoscritto? Forse per propagandare la prossima uscita di “Vitt & Dintorni”n°47/48 e 49? E in tale maniera far proseliti fra i residenti, barbuti e capelli a treccine, forse.
    Lo sconosciuto, causa un crampo alla mano lascia libero il ligneo burattino che facendo la linguaccia vede in lontananza la ragazzina Zazie sul metro sospeso in alto sulla linea”Bir Hacheim” numero 6 che scavalca ponte e il fiume Senna, fugge verso di lei e agilmente al volo di imbarca sul Metro!! Insieme a Zazie e a Tomaso Prospero , mio gemello virtuale, Il ponte fu scenario di numerosi film di successo:Ultimo tango a Parigi , Ascensore per il patibolo, Zazie nel metrò, Il poliziotto della brigata criminale, Ronin, Taxxi 2, Il mistero delle pagine perdute – National Treasure, La Belle Personne, Un indiano in città, Munich, Inception, Dexter, Il prezzo dell’arte, e venne utilizzato inoltre da Marcus Miller per la copertina dell’album Renaissance (2012), Tomaso Prospero vola con i gilè gialli, A corsa sfrenata con Brogitte Bardot in carrozzella, eccetera, vola il Metro sulla linea sopraelevata perdendosi in lontananza in direzione del famoso Parco Jacovitti, voluto con caparbietà dal presidente Macron, lettore di Jacovitti fin al periodo di pargolo e mio sostenitore come fumettonauta della visione fantastica di Jacovitti e suoi personaggi tutti compresi!!!. Si siede, non si sa chi, il soggetto mancante sbuffando su una ferra panchina di un minuscolo parco popolato da conigli non tanto domestici, intenti a cantare un coro ritmato dalle cadenze di una filastrocca vittoriana concepita in slang londinese! Poi guardandosi intorno con occhio un poco truce, mi racconta incongruamente, digrignando i denti visibilmente falsi, quanto segue: ”Lewis Carrol, uomo dalla mente poliedrica –scrittore, inventore, scienziato, matematico, fotografo, curato protestante e incurabile innamorato di ragazzine- tentò di accompagnare il testo di “Alice’s adventures under ground” con suoi disegni, ma le sue capacità artistiche erano scarse. L’incisore Thomas Bittergrape , che aveva lavorato per Carroll nel 1859 e ne aveva rivisto i disegni per “Il paese delle meraviglie”, gli suggerì di rivolgersi ad un illustratore professionista. Carroll, lettore abituale di “Punch”, si rivolse a il noto, anzi arcinoto, John Tenniel al quale era legato da eterna amicizia per motivi a me ignoti. Nel 1865 Tenniel, forse restio ad occuparsi di tale lavoro che riteneva in certe parti impossibile da illustrare [su suo esplicito volere qualcosa fu tagliato!] , così che dopo interminabili colloqui e lungaggini con Carroll, che servirono a ribadire l’intransigenza generalizzata dell’illustratore, illustrò la prima edizione. La prima versione manoscritta di Alice’s adventures in Wonderland si intitola “Alice’s adventures under ground”, e fu donata da Charles Lutwidge Dodgson (in arte Lewis Carroll) alla sua piccola musa forse inconsapevole del suo ruolo (ma le ragazzine di allora erano educate nell’arte della malizia e della finzione) Alice Liddell, il 26 novembre 1864, come regalo di Natale anticipato. Il manoscritto, ora conservato alla British Library di Londra, presenta un gran numero di disegni dell’autore, che fornirono per certi versi il modello per le illustrazioni di John Tenniel alla prima edizione del libro (1865). Rispetto alla storia contenuta nel manoscritto saranno aggiunti due nuovi capitoli (Pig and pepper e A mad tea-party)”. Tace ora l’erudito conversatore a senso unico, si soffia il naso e in tale modo scopre un poco il volto che con mia sorpresa mi appare la proiezione di me stesso fra alcuni anni, con occhi di vetro e una parvenza di teschio di colore scuro!! Ezechiel, che è sempre e comunque al mio fianco con un ruolo di angelo critico e custode, piange calde lacrime di fronte alla distruzione dovuta al trascorrere del tempo, ma io lo consolo ribadendo a voce piana che il passar del tempo è cosa ineluttabile!
    Comunque di tutto questo non si parlerà nel prossimo “Vitt & Dintorni”, lo so per certo poiché le cose non stanno viaggiando in questa direzione a causa del mio piacere di una mia voluttuosa predilezione per la distonia narrativa. D’altra parte ho già scritto tempo fa un intervento esaustivo quanto bastava, su “Alice nel paese delle meraviglie” e le illustrazioni ( disegni) di Jacovitti per il corrispondente volume edito dalla Scuola” di Brescia!
    Se ne parlerà in un numero futuro del 2021 o 22?? Non credo, perché in realtà tutto è già programmato per ragioni logistiche e inoltre il partito della “Falange nerofumo” è ben rappresentato non solo all’interno della Redazione della rivista” Falce e martello in rosso e nero, ti fa perdere il sentiero”!!, ma anche nel complesso variegato dell’”Associazione Amici del Vittorioso”!!. l numeri 48 e 49, ad esempio, oltre che dedicati a “Federico Pedrocchi e alla nascita del fumetto italiano con “Mefistofele e il dottor Faust “”, saranno ricchi di più di cento pagine, con interventi scritti che vi strabilieranno e vi apriranno gli occhi e le orecchie su particolari della vita un poco narrativamente nebulosa della figlia di Gianni de Luca, rincarnatasi miracolosamente in quella del padre e del suo Mantra! Poi in diverso argomento parte della vita virile e avventurosa ma di fatto parzialmente ipotetica, di Kurt Caesar nel deserto Libico, con trasferte per la sezione X dell”Intelligence” di Canaris, in Marocco, Spagna e si dice Parigi zona ucronica!! E pure brevemente a Pigalle in pieno giorno ( da me prediletta, l’ho pure scritto su “Vitt & Dintorni”,per incontrare il collega francese Le Breton alle prese con l’apache esagitato “Rififi”, spia del “Vittorioso” ai tempi d’oro di questo settimanale e devoto scherano di Ragnibus e Prospero l’ultra fan !
    Va beh, lascio lo sconosciuto (?) narratore ai fatti suoi e penso con preoccupazione alla sentinella di Vitus, in questo quartiere un poco misterioso, è una sua fidatissima collaboratrice e segretaria multilingue, Eva Kant sotto mentite spoglie! Sapendo che in questa finzione nulla corrisponde alla presunta realtà, dopo dodici ore di camminata parigina fatta avantieri insieme a un X Men alato!!! L’angelo caduto (che potete forse vedere nell’affiche cinematografica ( ogni tanto sparisce) disegnata dal padre di Nedejco Bajalika, collaboratore quest’ultimo nei primi anni 90 di Jacovitti, riprodotta qui in alto a destra, poiché tale mi pare l’essere alato. Ezechiel con il pelo irto ringhia sordamente per manifestare il suo dissenso, e fra il ringhio e a denti scoperti mi sibila: ”Tomaso, tu credi agli angeli e cose del genere?? Sei un povero fessacchiotto, non hai capito che quel tale aveva le ali di cartapesta colorata per beffarsi di te? Non l’hai riconosciuto quello sciagurato di Alfonso Garuti, ora pensionato dopo anni di carriera come direttore di una strana sezione metapsichica del Louvre. Poi incarcerato per presunte molestie nei confronti della mummia di una cugina di Nefertiti, evaso dalle segrete della Bastiglia tre notti or sono in occasione della festa del 2 di Luglio con fuochi artificiali e giochi di acqua (Sons et lumieres) provenienti dalle mille vasche d’acqua che adornano le piazze di Parigi??
    Io sono perplesso: ne vorrei parlare più approfonditamente con tutti i miei dieci milioni di fans, ma…..ma devo andare alla libreria Mona Lisait di boulevard de l’Hôpital, dove il simulacro di Sauro lo Pennacchio mi attende per importanti comunicazioni critiche e invidiose sulla direzione presa da “Vitt& Dintorni” verso un certo autocompiacimento autobiografico e autofotografico dei componenti della redazione e la scelta tecnico espressiva nell’uso l’uso del colore su “Vitt & Dintorni”, con parametri basati sul suo uso fatto dal pittore Auguste Renoir al tempo dei suoi paesaggi parigini con al centro i ponti allora sulla Senna (1881). Sarà proprio con lo Stragatto invisibile per innata vocazione che capirò il senso di questo mio scritto in contemporanea evoluzione: che mi dice il famoso gatto dello Cheshire con voce irridente? ”Tomaso, io pensavo al momento dell’ esclusione del nostro Jac Lisca di pesce con cacciata da Linus nel 1974, degli anni settanta quindi (quella degli ottanta è quasi comprensibile)”. Pazienza, dieci anni di differenza non sono pochi. Comunque quello del 1983 fu un rifiuto senza chiarimento alcuno ma in un certo senso annunciato dal fatto che nel 1980 lo stesso Oreste del buono allora ancora direttore della rivista in questione, rifiutò la pubblicazione delle cartoline a luci rosse del nostro Jac, poi passate all’editrice francese “Genziane”! Successivamente Joe Balordo episodio due fu rifiutato senza una parola di spiegazione da parte di Fulvia Serra, almeno anche or ora sul numero Hachette 58 di quasi recente pubblicazione , Luca Boschi nel suo commentario ripete questa teoria, rifacendosi a quanto detto dallo stesso Jacovitti a Stenti in una ormai vecchia intervista risalente al 1992. La faccenda del 1974 è più chiara e alla fine fu lo stesso Jacovitti ad andarsene perché si pretendeva che le sue critiche si rivolgessero solo alla destra politica e mai alla sinistra. Qui il sesso forse non c’entra!! Sospirando Sauro the Handsome sbotta: ”Nel 1983 Jacovitti era decaduto: quella storia era di una volgarità pazzesca, non l’avrei pubblicata neppure io.
    La si può vedere anche nel mio articolo: http://www.giornalepop.it/la-triste-fine-di-jacovitti/ Beh, si, la storia è, pensando all’autore, volutamente volgare, ma non tanto perché nel 1982 quando Jacovitti la disegnò firmando 1983, fosse di colpo decaduto, ma per la cocciutaggine di “Lisca di pesce” tesa a provocare una reazione in Fulvia Serra (di fatto nuova Direttrice al comando di una redazione tutta al femminile, composta di arrabbiate signore e signorine in crisi di astinenza!) che, evidentemente, non le piaceva. Ma allora perché disegnare una storia con quelle caratteristiche?? Jacovitti era irragionevolmente un bastian contrario e forse la situazione contingente l’aveva mandato un poco fuori controllo? Non credo, Jacovitti intendeva fare anche una critica specifica al mondo dell’intrattenimento a luci rosse veicolato attraverso film di serie B e fumetti che negli anni ottanta, anche attraverso Andrea Pazienza che pur era in sintonia con i tempi, intendevano essere all’avanguardia!! Neppure Luca Boschi, recentemente su Hachette/ Tutto Jacovitti, tenta di venire a capo della faccenda, che credo non verrà mai del tutto chiarita. Io penso alla concomitanza di più fattori sfavorevoli.
    Parte seconda: Jacovitti fra la folle folla di fan e dintorni
    I personaggi formativi dell’epos jacovittesco nascono in duplice forma, seriali con Pippo, Pertica, Palla e il cane Tom, e personaggi a loro stanti come Cucu, Caramba , Chicchirichi e così via. Questo fino al 1945, quando nel secondo tempo de “La famiglia Spaccabue” intitolato “Ghigno il Maligno”, si fanno vedere Cip, Gallina e chilometro, investigatori già apparsi e disegnati nel 1943/44 nella storia “Cip Poliziotto”. Sembrava un passo casuale destinato a rimanere tale ed unico. Invece Pippo, Pertica e Palla più il loro cane, reduci dall’avventura onirica sulla Luna, nella storia successiva di “Pippo in montagna”, si mescolano a Cip diventato arcipoliziotto, quasi alle sue spalle, in una storia che si svolge in montagna nel paese di Montelisca, che da questa ambientazione geografica prende il titolo!! In questa storia a fumetti nasce anche il personaggio di Zagar, un malfattore in tuta aderente nera, ispirato alla lontana, dai personaggi criminali della passata stagione della narrazione di storie a puntate sui giornali e poi dalle dispense settimanali. Nel 1945/46 Jacovitti disegna “Cip contro Zagar”, una storia epocale, che instaura il genere poliziesco all’inglese, connotato da una struttura narrativa ad enigmi, dove molti personaggi sono radunati insieme in un ambiente chiuso insieme all’investigatore di turno che con tutti loro avrà la resa dei conti inizialmente a voce, basata su un contradditorio che porterà all’identificazione del delinquente e al suo arresto! Nel caso di questa storia tutti i sospettabili sono radunati nel Castello del conte Lapislaz, collezionista di salcicce di antiquariato. Cip li raduna alla fine per smascherare il colpevole, da notare che all’interno della vicenda verso la fine, fa la sua comparsa Raimondo il vagabondo, già visto in opera nell’ambito di “Ghigno il maligno” e in una avventura a gags omonima al suo protagonista apparsa su”Il Vittorioso nel corso del 1946. I personaggi iniziano a prendersi delle iniziative, Jacovitti sornione li lascia circolare a loro piacimento! Ognuno di loro è caratterizzato da stilemi comportamentali che si ripetono uguali a sé stessi, un riflesso della situazione socio economica del periodo post conflitto della seconda guerra mondiale e che prelude al così detto “Boom economico” degli anni 50. Personaggi che tirano anche la cinghia per campare, che si arrabattano, che alla fine rimangono sempre uguali a sé stessi. Zagar verrà inevitabilmente smascherato, ma riuscirà ad ogni fine a fuggire, un epilogo che continuerà in tutte le storie future di questo genere!! Che saranno numerose (l’ultima in ordine di tempo sul “Diario Vitt” 1971 con “PiPiPi a Parlachiaro, anche se mancano i cani Tom e Kilometro, inaspettatamente mandati forse al canile da Jacovitti ), anche se intercalate per lunghi periodi da lavori di altro genere e anche con personaggi non seriali. Il nucleo formato inizialmente da pochi interpreti, tenderà a diventare più numeroso negli anni seguenti. Nel 1947 con la storia “Pippo e Zagar” i tre Pi arriveranno solo dopo cinque numeri di “sciopero,” alla base del quale stanno le due storie precedenti di “Pippo e la guerra “ e “Pippo e la pace”, che costituiscono un’anomalia in una serie a fumetti narrata sulla falsariga dell’umorismo e avventura, un’accoppiata “leggera”, mentre le due storie di pace e di guerra sono oggettivamente un “fuori serie” che non avrà fatto ridere molti bambini e ragazzi reduci da anni e anni di guerra vera! Comunque l’anno di grazia 1947 con “Pippo e Zagar, “Un cinegiallo arcipoliziesco di Jac”, vede formarsi di nuovo l’insieme di un terzetto con una coppia, più altri personaggi di contorno, che servono per imbastire un fatto non molto adatto alla fruizione di piccoli lettori: il rapimento di una bambina!! Jacovitti scivola su una buccia di banana, non è in asse con le sue fantasticherie, poiché le bambine rapite di solito non sono ridicole. Fanno affluire alle mente bruttissime storie, sono presagio funesto! Il Nostro se la cava per il rotto della cuffia con il rabbonimento dell’altrimenti truce rapitore Zagar, merito di una ramanzina subita dal saggio Pippo! Negli anni successivi le coppie possono diventano folla, sono unite in contesti particolari, come nello sportivo “Giro della Risata”!! Siamo nel 1948 che inizia con “Pippo e la bomba comica”, storia quasi di fantascienza popolare e di utopia, con l’arrivo del prof. Leopardo da Cinci, inventore dalla lunga barba bianca prensile!! Poi lo stralunato viaggio indietro nel tempo con la coppia Cip/Pippo( e il Faraone) e contorno, più l’acerrimo nemico Zagar, nel mondo dell’antico Egitto”. Verso la fine del 1948 finisce il periodo nel quale Jacovitti presenta sul Vitt due storie contemporaneamente, una a colori a tutta pagina e una in bianco e nero collocata in genere a pagina tre e composta di tre, massimo quattro strisce [Salvo accezioni]. Salto gli anni 1949/50 perché Pippo, Pertica, Palla e cane Tom sono in altre faccende affaccendati, senza entrare in contatto con il mondo di Cip e Zagar. Fino a culminare nel 1951 con “Pippo nel castello di Rococò”, dove entra in lizza anche la signora Carlomagno, nata nel 1945 nell’ambito della storia “La Famiglia Spaccabue”. La storia della Baronessa di Rococò, suoi parenti e amici, invitati particolari come Cip e Gallina sotto mentite spoglie, Zagar, la Signora Carlomagno insieme ad una variegata “banda” di ospiti che celano la loro vera indole per scopi fraudolenti, ha trovato più di un critico portato a leggere questa storia di carattere giallo/poliziesco, in chiave di analisi antropologica legata al sociale di allora, 1951. Un momento assai particolare che segue quello della “ricostruzione”, dove si fa largo la brama della ricchezza e del relativo potere, scopi perseguiti con ogni mezzo senza tener conto del principio dell’onestà e del rispetto per i diritti altrui! Il diavolo mette lo zampino nelle società degli uomini e produce l’avidità di molti per la ricchezza, “lo sterco”, appunto, del Diavolo!! Jacovitti nelle sue storie si erge spesso a moralista, e indossa le vesti dell’avvocato accusatore e la toga del giudice, senza mezzi termini condanna delinquenti di ogni tipo, a volte li perdona per interposta persona, Pippo, Cip e così via! Però io penso che questa sua vocazione di fustigatore dei costumi, sia il pretesto per scodellarci storie divertenti, spesso fantastiche e surreali, di genere “Giallo” oppure più genericamente di avventura! Ma Jacovitti, ne ha mai parlato di tutto questo con i suoi molteplici intervistatori?? Non mi pare!! Oppure si??
    Parte terza
    Termino la mia fatica tripartita in chiave storica analitica con Corrado Caesar e dintorni . Voce esterna:“L’eterno dibattito su Vitt e Fascismo, poi, ha alimentato molte pagine delle nostre riviste, e pochi numeri fa un lavoro di Bruno Maggi ha dato bacchettate severe a quegli anni del Vittorioso”.
    Beh, il fascismo non è certo nato per caso e se è durato venti anni non fu certo una situazione effimera, Monarchia, forze armate, nobiltà, borghesia, latifondisti e parte del clero e degli intellettuali gli erano favorevoli. Il quinto potere, la carta stampata, non poteva mettersi di traverso se voleva essere tale, cioè stampata e presente nelle librerie ed edicole. Questo in sintesi. Poi almeno inizialmente ci furono persone e istituzioni che si opposero, ma la dittatura fascista agiva come tale, e senza remora alcuna furono messe a tacere con il confino, la galera o peggio ancora!!
    “Il Vittorioso” se voleva nascere e durare doveva fare l’inchino: a mio parere lo fece allineandosi ai comportamenti degli altri giornali a fumetti per ragazzi. Poi, il comportamento dei singoli appartenenti all’Azione Cattolica non fu univoco, così come quello della chiesa.
    Comunque impensabile che potesse esistere un giornale in odore di antifascismo!! Maggi ha scritto un intervento senza forse avere il senso del contesto di allora, dove chi non si metteva la camicia nera ogni sabato poteva tranquillamente perdere il lavoro e fare morire di fame la propria famiglia.
    Poi dalla caduta di Mussolini e del Fascismo, si apre un altro periodo con il quale chi ebbe coraggio si contrappose ai nazifascisti anche con la lotta armata, ma dalla fine 1943 e parte del 1945 la stampa a fumetti per ragazzi ci fu oppure no a seconda delle circostanze.
    Anche su Caesar i giudizi sul suo stile e sulle sue storie, non è mai apparso uniforme: ognuno diceva la sua.
    E parecchio altro.
    A proposito di Caesar è molto interessante il capoverso che chiude la tua mail di qualche giorno fa, ed è il mestiere che la redazione di V&D dovrebbe promuovere: questa analisi comparata sullo stesso tema tra gli approcci di altre realtà, nella stessa epoca, o in un’altra, ecc..
    Il problema sono i collaboratori e le competenze. Per stare a me, ad esempio, la mia cultura fumettistica è limitatissima, praticamente marginale. Per altri ci sono altri problemi …
    Su Caesar è stato scritto molto, ma qualcosa di esaustivo non esiste e forse non è stato e sarà anche impossibile raccogliere tutti i documenti atti a sviscerare cause ed effetti della vita professionale di Caesar intrecciata a doppio filo com’è con la sua vita privata: il suo stile era discontinuo, però se all’occorrenza il Nostro in una notte disegnava più tavole di una stessa storia a velocità sovrumana, eeh, si può intuire che il risultato potesse poi evidenziare qualche caratteristica criticabile! Faccio solo un esempio, ma la vita di Caesar specialmente fra il 1940 e il 1946 non fu lineare e nemmeno facile: poi dal 1947 lavorò con più tranquillità, anche se poi con la morte prematura della moglie Elfie, il benservito di Mondadori e così via, Caesar non ebbe una esistenza facile, con un bambinetto, Rolf, da crescere. Pochi poi parlano del fatto che si risposò e dalla nuova moglie ebbe altri due figli. Morì relativamente giovane, non fu dunque in questa prospettiva fortunato.
    Io non sono un collezionista, mi son tenuto quello che avevo da ragazzo, senza impazzire per cercare quello che poi in parte ho letto nelle ristampa anche in volume.
    Diciamo poi anche che il fumetto degli ultimi decenni proprio non lo conosco e anche poco mi piace da quello che ho visto: sono ormai fuori tempo, ho altri pensieri per la testa, il fatto di essere più volte nonno mi ha molto impegnato, preferisco impiegare le mie energie residue in questo campo che nel cercare di usare tempo ed energie nello scrivere su argomenti sui quali dovrei faticosamente documentarmi! Ho un poco rimediato scrivendo a ruota libera su temi per me piacevoli che anche mi divertono e non mi stancano tanto: comunque ormai sono in generale in stato di affaticamento e devo tirare i remi in barca! Pazienza, nessuno dura in eterno.
    Postfazione : Beh, credo che sugli anni nei quali acquistavo ”Linus” inizialmente, fino al 1970, c’era in edicola pure “Il Vitt”, che almeno nei primissimi anni aveva collaboratori del calibro di Jacovitti, Landolfi, Giovannini, Sciotti, Caprioli e così via, che poi in parte emigrarono su “Il Giornalino” e ci restarono a lungo: quindi in un certo senso le atmosfere dei fumetti del Vittorioso ebbero un seguito, anche perché gli scrittori delle storie erano vecchie conoscenze, come Basari, Nizzi, Geraldini Signora, poi anche lo stesso Jacovitti, che poi nel 1979/80 con la scelta di illustrare il “Kamasultra” e collaborare con “Playboy”, si diede ingenuamente la zappa sui piedi, creando il caso della sua esclusione sia dal “Diario Vitt dal 1980 in poi e dallo stesso “Giornalino” con lo stop di sue storie già disegnata dal 1978! Ma lo stesso Jac intervistato a proposito più volte, ha sempre ribadito che la sua intenzione nel disegnare storie o semplici tavole di questa sua visione del mondo a luci rosse, è stata quella di demitizzare in senso burlesco la visione del sesso stravolta e ingigantita sia attraverso film a luci rosse o racconti e romanzi, anche fumetti, con personaggi femminili chiaramente proiezione di un immaginario tutto maschile e invero assolutamente illusorio. Si potrebbe dire che Jacovitti fece satira su questo aspetto dei medium che trattava le problematiche sessuali strumentalizzate al fine di vendere, con il palese inganno, perpetrato da i produttori ed editori o cineasti vari che deformavano il reale a solo scopo di far abboccare all’amo i vari pesci dello stagno delle illusioni. Io penso possibile se non probabile, che anche nel 1982 con la seconda storia di Joe Balordo, Jacovitti possa aver pensato di fare satira sul mondo editoriale o cinematografico a luci rosse, usando strumenti narrativi e visivi del fumetto poco opportuni nel contesto, di una rivista come “Linus”, che teneva molto all’apparenza delle cose, specialmente quando gestita il tutto la signora Fulvia Serra che era in sintonia con la redazione tutta al femminile, quella che l’ex direttore Oreste del Buono aveva a argutamente battezzato con il soprannome di “Banda aerea” numero due, mutuando il tutto da alcuni episodi de “L’Uomo Mascherato” alias Phanton nell’originale made in USA! Qui i ricordi sono più chiari, ma certamente non sono più i tempi gloriosi del “Vittorioso degli anni 1940/50 e del coevo modo del classico fumetto americano di avventura dal quale non si può prescindere. Ecco qui ben chiaro ( spero) l’importanza dei famosi “dintorni”, che in questo caso specifico, sono indispensabili per capire l’evoluzione del fumetto italiano avvenuto da guerra finita in poi, fumetto in senso generale compreso il “Vittorioso” e tutti i giornali e albi a fumetti in attività in quel periodo di rinascita, dopo l’egemonia del mondo fascista anche sulla cultura figurativa dei ragazzi durata un ventennio e poco più.
    2.
    Questo sotto gli auspici favorevoli della Chiesa, degli Industriali, del potere bancario e di gran parte della borghesia previlegiata da condizioni di vita che non intendeva cambiare a favore dei più poveri, ma non solo, in una Italia analfabeta e ignorante anche le masse dei lavoratori cittadini e dei contadini guardano con speranza al Duce del fascismo!
    Gli oppositori ci sono, il parlamento e i partiti esistono ancora, ma la violenza fascista con l’aito delle forze armata e dei carabinieri non ha remore a caricare, sciabolare a morte e sparare sulle folle di dimostranti! La Chiesa sorniona aspetta il concordato per poter sistemare l’annosa questione dello Stato Vaticano e tirar acqua al proprio mulino!
    Ehh, questa era la situazione, Certo ci furono persone coraggiose che si opposero e per questo pagarono di persona con la morte, il confino, l’esilio, la perdita del lavoro e la conseguente vita grama. Non tutti leccarono il deretano al Duce!
    A queste persone io anche guardo come esempio, casomai in Italia qualche populista facinoroso potesse in qualche modo andare al potere per potere poi iniziare a perseguitare tutti i diversi per idee, religione, “razza” e quant’altro!
    Hergè nel 1940 fu certamente parte della maggioranza che leccò la mano al tedesco invasore, non rischiò nulla per difendere un ideale di libertà che forse non aveva, fu una mosca grigia in una moltitudine di persone simili a lui.

    Viene ora naturale , almeno per me, desiderare di poter scrivere due righe su qualche disegnatore italiano o attivo in Italia nel campo dei fumetti negli anni trenta e successivo quindicennio. Cominciamo con la strana coppia Jacovitti, classe 1923 e sommerso or ora ai festeggiamenti nella ricorrenza dei cento anni dalla sua nascita, fra i quali mi ha stralunato quella dovuta alla “La cultura Cattolica” per il sistema di basarsi su quanto scritto da altri anche se tutto viene regolarmente notificato! Poi Kurt Caesar nato nel 1908 in Alsazia Lorena allora tedesca. Caesar giunge in Italia nel (1930 ) con la moglie berlinese perseguitata in patria per ragioni politiche ( era proprietaria , direttrice e redattrice di una rivista di moda femminile all’avanguardia con sede a Berlino, Kurt Caesar ne era illustratore e corrispondente anche dall’estero).Allora, che cosa faccia esattamente Caesar in Italia dal 1930 al 35 quando iniziò a collaborare con storie a fumetti sia all’ “Intrepido” che alla “Risata”, si sa poco e nulla, se non che era corrispondente di settimanali stranierei quali il “London news” e che per conto di questa testata viaggiava di paese in paese, giungendo perfino a seguire in Groenlandia una spedizione di una flotta di navi baleniere alla caccia dei poveri cetacei: la moglie non so se lo seguisse o rimanesse a casa a far la calza.
    Già nel 1936 Caesar collabora con Mondadori e con il giornale francese “Adventureux” con una storia a fumetti di fantascienza tutta farina del suo sacco intitolata ” Les conquerants de l’avenir”, ambientata sul pianeta Marte, ispirata al Gordon raymondiano ma più fantastica ed incoerente nella trama ( ancora inedita in Italia nonostante sia disponibile interamente su alcuni siti francesi insieme a tutte le annate del giornale prima citato). Ahi, ahi, qui si tratta ora di parlare di “Romano il legionario ” aviatore fascista ( eh, lo so che in molti mi tireranno le pietre, ma era proprio fascista e naturalmente volontario!) in terra di Spagna; beh, quindi siamo nel 1938 , e la sua collaborazione iniziale con ” Il Vittorioso”, insieme ad altre storie di carattere storico scritte da Gian Luigi Bonelli, era di quella fatta.
    Io mi son sempre chiesto e l’ho scritto fin dall’inizio degli anni ’90 sul periodo “InformaVitt”, perchè mai al cattolico “Il Vittorioso” venne in mente di affidare a Caesar una storia di attualità sulla guerra civile spagnola. Per schiararsi pubblicamente dalla parte della “falange” fascista del generale poi dittatore Franco? che con un colpo di stato iniziò con le armi il tentativo di annientare il legale governo della Repubblica spagnola, governo eletto a seguito di regolari votazioni. Io credo proprio di si, la proprietà del Vittorioso e il movimento di l’Azione Cattolica – pupilla del papa Pio XI°- in questo caso si palesarono come convinti guerrafondai, manifestando un odio poco cristiano nei confronti di tutti gli spagnoli che non erano fascisti.
    Ma Caesar perchè disegnò quella storia se era, come si dice, nemico delle dittature e specialmente del nazismo, regime che subito inviò già alla fine del 1936 mezzi, uomini e materiali, pensiamo alla legione Condor, l’aviazione della quale insieme alla regia ala fascista, bombardò la cittadina di Guernica, non obiettivo militare, ma abitata solo da civili?
    Si, Sauro punta il dito accusatore contro quel fesso di Hergè ( perché da tale nel 1940 si comportò), ma due anni prima in Italia disegnatori e scrittori anche se non obbligati e in una situazione e clima storico diverso ( c’era la dittatura) presero posizione in un avvenimento che non era comodamente patriottico ( alibi dell’amor di Patria), ma trattava una guerra civile che si svolgeva oltre i confini, ossia in Spagna!
    Male comune mezzo gaudio? erano tutti quanti o quasi più o meno fascisti, quindi perchè meravigliarsi? Io non credo ad una semplificazione del genere, le scelte si potevano fare, tanto che furono parecchi gli italiani antifascisti che da volontari combatterono in Spagna contro le falangi del generalissimi Franco.
    Quindi si poteva scegliere, anche di morire per l’ideale della libertà.
    Mi fermo qui.
    3.
    In effetti la tua analisi mi sembra corretta. I sostenitori di Hergé, tuttavia, tirano spesso in ballo la storia “Il drago blu”, dove l’autore prende le difese della Cina invasa dai giapponesi (sembra che in quel periodo il papà di Tintin avrebbe fatto amicizia con uno cinese venuto a Bruxelles per studiare belle arti). Però all’epoca in Cina a combattere i nazisti c’erano tanto i nazionalisti di Chang Kai-Shek (quelli che poi creeranno uno stato-fantoccio a Taiwan) che i comunisti di Mao. Suppongo le vere simpatie di Hergé andassero ai primi. Non capisco invece da dove salta fuori il personaggio del generale Tapioca, un rivoluzionario sudamericano che somiglia un po’ a Fidel Castro. Qualcuno ne sa qualcosa?
    4.
    Naturalmente l’opera di Hergé andrebbe valutata nel suo complesso e il personaggio di Tintin non stigmatizzato in toto e definito “nazista” perché nell’avventura dell’Isola Misteriosa ci sono situazioni dalle quali emergono pregiudizi antiebraici, assai comuni in quell’epoca. Non solo in Belgio, Germania e Francia, ma pure in Italia serpeggiava questo atteggiamento di tipo culturale in senso antropologico. L’odio verso il diverso, poiché la diversità non viene quasi mai accettata, anche se è la regola che è onnipresente in tutti gli esseri viventi a partire da quelli microscopici in sù.
    Il generale Tapioca , per quanto ne so, salta fuori nella storia sudamericana de” L’orecchio spezzato” ( L’oreille cassée”, prima versione a puntate in bianco e nero su “Le Petit Vingtième” a partire dalla fine del 1935.
    5. Tomaso Prospero 21 Settembre 2016, 19:13 Rispondi
    Pardon, un lapsus verniano: ho critto “L’isola misterisa” al posto de “La stella….”
    Come farmi perdonare dai centomila lettori??
    Paolo Motta 23 Settembre 2022, 9:55 Rispondi
    X Tommaso Prospero: grazie dell’informazione. Ho scoperto il personaggio di Tapioca grazie alla serie animata. Il fumetto da te citato non l’avevo mai letto.
    Un’ultima postilla: in fondo ci lamentiamo di Tintin e di Hergé, ma persino il pittore Salvador Dalì fu un simpatizzante del fascismo, all’opposto del suo grande amico, il regista Luis Bunuel, e del resto del gruppo dei surrealisti.

    Va beh, laggiù in fondo di surrealisti ne vedo solo uno, che si avvicina barcollando, a causa certamente dell’emozione di incontrare un personaggio di tale risonanza ( io, naturalmente).
    Un coraggioso aspirante jacovittomane surrealista e assolutamente non qualunquista,, fra i milioni di frequentatori di questo blog e in particolare dei post(s) dedicati al nostro amato “Lisca di pesce” ( che si stanno moltiplicando fra l’orrore generale come conigli australiani) si avvicina dunque e, bramoso di notizie pettegole, mi guarda supplichevole e chiede sibilando leggermente a causa della dentiera ballerina:” Ma Jacovitti, nel mese di Marzo 1945 e precisamente il giorno 31 si trovava a Roma per partecipare insieme a Zaccaria Negroni, Dino Bertolotti, Natale Bertocco, Alberto Perrini ed altri ancora, ad una riunione per definire come e cosa pubblicare sul futuro giornale cattolico dedicato agli universitari l’intitolazione del quale avrebbe dovuto essere “Tavola Rotonda??”
    Allora, a questo ipotetico curioso rispondo:” Certo, lo so perché io pure ero presente in transfert, anche se vivevo a Carpi (Mo) e avevo otto anni. Caro inguaribile curioso ti posso dire anche che in quello stesso giorno sul periodico “Gioventù Nova” si poteva leggere quanto segue:”Lettori e collaboratori, come i cavalieri di Artù, dove ognuno avrà l’impressione di svolgere il ruolo di capotavola. Una voce libera quindi, che esaminerà con giovanile freschezza, non disgiunta da un profondo impegno morale, tutti gli aspetti della nostra tragica epoca”. Le persone prima citate si troveranno assisi ad una simbolica mensa insieme a Jacovitti per definire le caratteristiche di quello che poi si chiamerà “Intervallo”. Da “Tavola rotonda“ ad “Intervallo”, perché?? Leggo a pagina 19 di “Vitt & Dintorni” di Ottobre 2008 estrapolando dall’articolo di Antonio Cadoni “Un amico chiamato Intervallo” che cita l’editoriale del primo numero: desideriamo entrare nelle aule tra un’ora e l’altra di latino e , magari, di matematica. La pensata intitolazione” La tavola rotonda”, diventò una rubrica che occupava le pagine centrali del giornale.Per farla breve, sul n°2 di “Intervallo” Jacovitti debutta con il “satirico grottesco” Pippo e il Dittatore”, a tutta pagina e in bianco e nero, come tutto il resto. Niente colore, la guerra non era ancora finita, il nord occupato dai nazifascisti, le città bombardate e in rovina, la fame che regnava ovunque!
    6. Piolo piuli 22 Settembre 2016, 15:26 Rispondi
    Bell articolo e commenti all altezza , aggiungerei una piccola bibliografia , se possibile
    7. Tomaso Prospero 22 Settembre 2016, 20:49 Rispondi
    Una bibliografia?? Articoli su Tintin in italiano ce ne sono stati, saggi in forma di libro non credo.
    Io per quanto riguarda i saggi in francese mi sono foraggiato dal volume edito da Casterman e scritto da Benoit Peetwrs ” Le Monde d’Hergé”, 1983, che secondo me rimane il più completo; poi è anche molto interessante “”Hergé et Tintin”reporters” di Philippe Goddin, editions du Lombard, 1986.
    Per gli articoli segnalo un terzetto di interventi su “Fumetto” dell’ANAFI di Manfredo Gittardi, con cronologie accuratissime non ricordo l’anno ma si trova cercando in rete. Un altro biografo di Hergé e della “Linea chiara” in generale è di Andrea Sani, professore di filosofia in un liceo fiorentino, facente parte della “banda ” dei toscani, Boschi, Bellacci e Leonardo Gori . Sani da giovincello era il bello del gruppo, tutte le volte che mia moglie ne vedeva una qualche immagine fotografica diceva:” Carinoooo…”.
    POi, buon ultimo c’è anche il vecchio e canuto sottoscritto autore di un articolo su “Tintin e l’isola nera”, nell’ambito del quale ne esamino e faccio un confronto fra le tre diverse edizioni. Fu pubblicato su “Informavitt” mi pare nel 1993, quando ero giovane ed aitante, ma non quanto Sani!!
    8. Tomaso Prospero 22 Settembre 2022, 20:51 Rispondi
    Correggo: Benoit Peeters, perbacco!!
    9. tomaso Prospero 8 Ottobre 2016, 9:53 Rispondi
    Benoit Peeters, poveraccio, ho letto in in blog francese, che è morto quest’anno all’età di 57 anni!! Sono rattristato.
    Salvator Dalì era spagnolo e evidentemente un franchista, ossia un simpatizzante della falange fascista del generalissimo Franco.
    Per quanto riguarda il suo atteggiamento politico durante la seconda guerra mondiale non saprei dire, poichè le sue biografie che ho letto erano di topo selettivo, previlegiavano cioè la sua produzione artistica.
    Comunque ora proverò a fare una ricerca, poi se ne varrà la pena, interverrò a proposito.
    Paolo Motta 8 Ottobre 2022, 10:24 Rispondi
    Io ho sentito che negli anni ’30 ebbe Dalì ebbe contrasti con André Breton e il gruppo dei surrealisti (che erano tutti di sinistra, anche se in maniera molto settaria), perché aveva detto “sono affascinato da quell’uomo” riferito a Adolf Hitler. Poi magari è solo una diceria. Invece le buone relazioni con Franco sono documentate: infatti lui, a differenza di Picasso che aveva dipinto Guernica, poteva senza problemi tornare in patria e avere anche un suo museo personale nella sua città natale.

    10. tomaso Prospero 8 Ottobre 2016, 10:00 Rispondi
    Interessante il lapsus “topo selettivo”, Ma Freud non c’entra, si tratta di un errore di battitura dovuto al fatto che pur possedendo due occhi di fatto ne uso quasi sempre automaticamente uno solo a causa di un difetto di comunicazione cervello, nervi e muscoli ottici. Mi manca quasi del tutto il senso della distanza delle cose e loro posizione e dato che batto sulla tastiera a memoria, spesso batto “i” per “o” oppure viceversa. Mah? C’è una cura?? Purtroppo no!!! Se avessi due anni forse, ma essendo “un poco” più vecchio non ho speranza alcuna.
    11. tomaso Prospero 8 Ottobre 2023, 10:18 Rispondi
    Volevo anche aggiungere una cosa a proposito di “Tintin nazista” : quanti sono i quadretti incriminati di antisemitismo nel contesto della storia della “Stella misteriosa”? Edizione anteguerra naturalmente, perchè poi Hergé correrà ai ripari cambiando nomi, bandiere e togliendo parti di vignette .
    Allora, quanti saranno i quadretti incriminati?? Dieci, venti??
    Vogliamo fare un confronto con i quadretti componenti l tuttee storie anteguerra di Tintin, per vedere se l’atteggiamento antisemita di Hergè era una regola fissa oppure un’eccezione??
    Beh, insomma, è chiaro che i quadretti antisemiti della “Stella misteriosa” sono una minoranza esegua!
    Però, bisogna pur che io lo dica poichè lo penso: l’educazione di Hergé era di stretta osservanza cattolica conservatrice, il che comportava quasi automaticamente radicati pregiudizi anti ebraici! Nel linguaggio colloquiale della mia infanzia -fine anni trenta inizio quaranta e cinquanta poi-, dire ” rabbino [ rabein in dialetto] . equivaleva a dire avaro, strozzino: era un retaggio-inconscio per me- di pregiudizi antiebraici assai comuni negli anni trenta e con radici lontane nel tempo, assimilati dal sottoscritto dal clima culturale e linguistico del tempo. Ma io ero ,fin dall’età della ragione, svisceratamente anti nazifascista!!!
    IO spero che Hergè dal 1945 in poi si sia sinceramente pentito e ravveduto in fatto di pregiudizi antiebraici: di fronte all’orrore dell’Olocausto se non l’avesso fatto, se non avesse ammesso la coòpa dei nazisti e riconosciuta l’innocenza degli ebrei( trucidati a milioni), beh, allora io sarei il primo a condannare Hergé.
    Voi che ne pensate?
    12. Viaggio al termine della notte con Mortimer: Sos meteore 8 Dicembre 2023Il ponte fu scenario di numerosi film di successo: Ultimo tango a Parigi, Ascensore per il patibolo, Zazie nel metrò, Il poliziotto della brigata criminale, Ronin, Taxxi 2, Il mistero delle pagine perdute – National Treasure, La Belle Personne, Un indiano in città, Munich, Inception, Dexter, Il prezzo dell’arte, e venne utilizzato inoltre da Marcus Miller per la copertina dell’album Renaissance (2012). , 9:40 Rispondi
    […] Anche Hergé avrebbe potuto lavorare per questo giornalino prendendo un compenso modesto, ma onesto, invece di collaborare con il principale quotidiano belga controllato dai tedeschi per avidità e aderenza ideologica al nazismo trionfante: vedi “Il filonazismo di Tintin”. […]
    13. tomaso Prospero 1 Gennaio 2017, 10:38 Rispondi
    Sauro con la riproposizione a non lungo termine del suo intervento su Tintin supposto giovane nazista, butta benzina sul fuoco!
    Purtroppo di scritti coevi alla storia”La stella misteriosa” dovuti a Hergé ed amici io non ne conosco: sarebbe interessante poter sentire dallo stesso creatore di Tintin che cosa pensava negli anni dell’occupazione tedesco/nazista del Belgio e Francia.
    Era veramente convinto che Hitler avrebbe vinto la guerra e nazistizzato tutta l’Europa? Un “Ordine nuovo” ? una dittatura gestita da pazzoidi assassini!!! Omicidio di massa con milioni, centinaia e forse migliaia di milioni di morti? Dopo gli ebrei,zingari e dissidenti, gli uomini di colore, neri africani, arabi, cinesi ecc, tutti nei forni crematori per la gloria del nuovo terzo Reich millenario!! UNa visione demoniaca. E quel povero fesso di Benito Mussolini che per megalomania, desiderio di potenza e grandezza, si mette al servizio di Hitler!! Mah, come fare a capire che cosa pensava veramente Hergé in quegli anni?
    Io sono propenso a credere che fosse un opportunista, che non gli interessasse poi tanto che era al potere, quindi un egocentrico; in questo quadro che configura Hergè come un conformista che educato in un clima di destra cattolico conservatrice vede gli ebrei con un occhio fortemente permeato di odio/avversione di etnia , classe e cultura! Non era una cosa inconsueta questo atteggiamento di forti pregiudizi verso il “diverso”, aveva solide radici nel passato a partire dal tempo dei tempi.
    Ancor oggi non sono poche le persone, anche in Italia, che facendo di tutte le erbe un fascio, se potessero si darebbero ad azioni di violenta repressione nei confronti di ebrei, musulmani, animisti, induisti e cos’ via, solo perché non appartengono antropologicamente alla nostra cultura cattolica e di occidentali in genere..
    Il mondo è fatto in tale maniera, purtroppo.

  21. La mia tremula ombra ondeggia, mi guarda aggrottando la fronte: silenzio assoluto.

    Sta bevendo un bicchierone di spremuta di arancia corretta all’acqua minerale, si ferma un attimo e smettendo di bere si limita a bofonchiare qualcosa relativo a “Il Vittorioso”. Si muove ed insieme a me si sposta.

    Sprofondata in una accogliente poltrona di vimini ora pare sonnecchiare: poi un sussurrio, parole a mala pena percettibili: ”la prima storia di Jac con la data 1945 appare su “Intervallo”- giornale universitario romano – è “Pippo e il Dittatore”, seguita da una lunga peripezia a fumetti che porta come titolo “La famiglia Spaccabue” (e questa secondo me è la prima storia disegnata dopo “Pinocchio”, anche se il suo stile con il passare delle puntate cambia un poco , specialmente nella seconda parte intitolata “Ghigno il Maligno”. Quindi c’è stata di certo per un periodo di contemporaneità di esecuzione con le altre storie di quei mesi del 1945), poi sul n.22 del 17 Giugno 1945 de “Il Vittorioso” ecco “Pippo sulla Luna”, storia intrigante, dai numerosi risvolti psichiatrici!. Un sogno lunare di Pippo carico di simbologia con rimandi al surreale, che si diluisce in stato di veglia e che attraverso una sorta di esperienza di sonnambulismo rientra nella realtà senza rendersene conto. Jacovitti reduce dagli studi artistici e dalla frequentazione universitaria del primo anno di architettura, aveva presumibilmente una solida cultura in fatto di storia della pittura, compresa quella “moderna” del 1900, secolo per noi passato ma nel quale Jac stava allora vivendo. Probabilmente gli venne naturale pensare che la vicenda onirica di Pippo e compagnia bella, potesse essere narrata figurativamente attraverso il mondo surreale dei pittori metafisici dei quali De Chirico era ed è il caposcuola e massimo rappresentante, anche poi a ben guardare c’è il belga Magritte che non gli è da meno. Non si tratta di “surrealismo”, in modo stretto, ma di qualcosa di marca italiana, con peculiari caratteristiche di genere onirico. Jacovitti quindi utilizza le atmosfere metafisiche di De Chirico per confezionare una storia “per ragazzi” che ha un substrato colto. Poi la storia jacovittesca si evolve e bruscamente passa dal sogno al sonnambulismo e inconsciamente alla realtà, periodo nel quale il nostro Pippo credendo ancora di sognare esce di casa dalla finestra del primo piano, cadendo dentro una botte piena di acqua posta a fine grondaia: che combina allora? Ehh, di tutti colori. Ma a questo punto la storia occorre vederla e leggerla; contemporaneamente sul settimanale di Roma, il cattolico e studentesco “Intervalllo”, c’era ancora “Pippo e il dittatore”.
    “Intervallo, Intervallo”… siamo sempre all’inizio del mese di Maggio di quello stesso anno.

    Che cosa disegnò mai Jacovitti nei primi quattro mesi di quel periodo fatale, mentre ancora al nord infuriava la guerra ed io di pomeriggio al cinema comunale ospitato dall’ex palazzo della G.I.L., mi deliziavo con la visione di vecchie comiche mute, mentre la notte la passavo nell’improvvisato rifugio sotterraneo di tipo casalingo (una cantina) quando poi dal cielo il misterioso aereo inglese, soprannominato “Pippo”, sganciava bombe a casaccio con evidente scopo terroristico?
    Nessuno risponde.
    Va beh, le storie che poi furono pubblicate dopo, che si identificano osservando bene lo stile del disegno che appare inizialmente precedente a quello delle prime tavole di “Pippo e il dittatore”: “La famiglia Spaccabue” ad esempio (a mio parere Jac iniziò per prima proprio questa storia, che poi ebbe una coda assai lunga e “spezzata”), oppure la breve storia “Giove il bove” o “Oreste il guastafeste”.

    Il fatto che l’epopea degli Spaccatovi sia stata pubblicata dopo quella del Dittatore (Oreste addirittura tre anni dopo, Giove il bove decenni dopo!”) sempre su “Intervallo”, non vuol dire nulla, lo stile del disegno rivela che probabilmente Jac iniziò a disegnare le due storie in contemporanea mentre metteva mano anche ad altri lavori destinati a “Il Vittorioso”. Per questo non è possibile ordinare tutti questi lavori in data di esecuzione, perché di fatto Jacovitti li accavallò! La stranezza è che questa messe di storie hanno avuto come precedente il solo “Pinocchio” disegnato nel corso dell’anno precedente. Vera fucina jacovittesca: su questa storia sono stati versati fiumi d’inchiostro, quindi mi pare saggio evitare di ribattere sul chiodo dalla testa consunta. Ora son molte ombre, mi osservano con espressione di incertezza. Qualcuna si schiarisce la gola e sospirando apre la bocca per parlare, la richiude, la riapre per infilarci la pipa, che intanto si è ingloriosamente spenta.
    Io estraggo dal capace zaino che sempre mi tiro dietro il volume “Jacovitti 60 anni di surrealismo a fumetti “ e lo apro a pagina 76 leggendo le prime righe in alto: …il cambiamento si nota bene nel passaggio da Cin Cin (disegnata nel 1943 e non nel 1944, n.d.r.) pubblicato nel 1944 su “Il Vittorioso”, confrontandolo con le storie successive (qui si allude a “Pinocchio” disegnato del corso del 1944? Parrebbe che invece l’invito al confronto venga fatto fra Cin-Cin e Ciak, infatti…). Il cambiamento si nota bene nella sognante favola di Cin-Cin confrontata con “Ciak”, storia dal disegno meno barocco, più organizzato e coerente, basta ricostruire, al di là delle date di pubblicazione, l’autentico ordine in cui Jacovitti disegna questi capolavori, fra il suo nascondiglio fiorentino e la piena luce del sole dell’Italia liberata.
    Questa è la parte finale del capitolo “Jacovitti sulla Luna” inserito ex novo nella nuova edizione 2010 del saggio in questione, edito da Nicola Pesce e che in pratica sostituisce quella del 1992 dovuta a Granata Press. Voi che ne dite? Non c’è un poco di involontario depistaggio?
    Provate a fare un confronto su come sono disegnati rispettivamente “Pippo e la pesca” del 1943 e “Pippo sulla luna”, vi renderete conto che i due anni che li separano sono stati forieri di essenziali cambiamenti. Pensate alla storia del Nostro intitolata “Ciak”, disegnata nella metà del 1945: sarebbe stata pensabile una storia felliniana ante-lettera di tal genere solo un anno prima?
    Il mondo cambia, non solo per quanto concerne Jacovitti.
    Inizia un’altra epoca, stanno per arrivare nuovi eroi.
    Mi sbaglio?

    Poi alla fine la guerra finì.

  22. Manu Libera solo in slp è di fatto androgina, sembra proprio un uomo, a parte quello che non si può vedere sotto le mutande di tela impermeabile con lucchetto chiuso sulla sinistra! Ancora alticcia anziché nò , ha un poco protestato quando l’ho spinta/o giù dal ponte delle Arti con la Senna in tumultuante piena! ma io sono certo che il bagno freddo le farà passare un poco i bollenti spiriti!! L’ho fatto per il suo bene, da buon Samaritano quale sono. Poi, quando qualche peniche l’aggancerà traendola in salvo e il suo capitano dopo averla/o ubriacata con qualche flebo di calvados, certamente saprà cosa fare di lei essere forse asessuato!!!! Va beh….. le consiglierò il convento o il monastero, per ricercare il suo centro di equilibrio permanente!! non vorrei uscire, ma devo andare alla libreria Mona Lisait di boulevard de l’Hôpital, dove il simulacro di Sauro lo Pennacchio mi attende per importanti comunicazioni sull’involuzione del Giornale Pop che si vorrebbe gemellare con “Vitt& Dintorni, giunto ora Giugno 2023 al numero 56, con un proluvio di interventi anche poco cmprensibili sull’arte di Jacovitti!! .
    Guardo Roland Topor che non mi pare in vena di ciance per la faccenda della seconda edizione tedesca di “Pinocchio” illustrata da lui in un momento di giramento di zebedei e gli chiedo: “ Mi accompogni in Boulevard de l’ Hospital?? Di andarci da solo non mi fido a causa della banda di “cane nero” che prima ti morde e poi abbaia!!” Sospira e grattandosi la punta del naso Roland inzia il suo eloquio: ” prima però passiamo dalla via del Tempio, dove di solito tu in cenci artefatti questui per il rancio giornaliero!”, Io sono meditabondo:” ma si allunga la strada del doppio! Io ho una certa fretta perché al centro Pompidou c’è Patrizia Z, che mi attende per definire il mio contratto come primo consulente per la mostra bolognese su Hugo Maltese e Corto Pratt che parte il 4 Novembre!!”. Topor guarda il bicchiere mezzo vuoto e ridacciando bisbiglia; “ Attento Prosperino mio, Patrizia è un osso duro, ti romperai i denti e ti ridurrai a masticare con le gengive pane inzuppato nel brodino già preconfezionato in busta! Vieni prima con me al quartiere del tempio che c’è Rebecca che ti darà prt pura carità una pagnotta rafferma di pane azimo, per mangiare la quale dovrai lavorare di molari, finché che li hai ancora”. Io sono indeciso, pensando a questa facenda di Rebecca e di questo fantomatico quartiere che disegna storicamente la frontiera occidentale del Marais e raggruppa oggi tre vie medioevali: la via bar del Becco, la via Sainte-Avoye e la via del Tempio. Aperta probabilmente fin dal XII° secolo, la via del Tempio collegava la zona de l’Hotel de Ville e al recinto del Tempio stesso e di fatto separava le terre dei Templari dal “bel borgo” di Saint-Martin des Champs. Questa via si è completamente trasformata dall’immagine della zona della palude e non conserva alcuna traccia del suo passato medioevale prestigioso. A sinistra, procedendo, si incontra un locale La tour du Temple. Qualche reminiscenza rimane…”. Sbuffa il Nostro e gargarizza con voluttà suggendo una pinta di Guiness rossa! Topor schiocca la lingua, fa una serie di risatine e poi si allaccia il tovagliolo al collo ed inizia a mangiare a grandi boccate il famoso maiale tolosano alla brace, il cosiddetto “pasto dell’eroe”. Squilla il telefono e il gestore del Bistrot “Chez Hibou” fa un cenno di richiamo al Nostro e sussurra:” ti cercano, sono Rebecca e lo zio Abramo e Jacovitti…” Topor risponde ed esce dal locale con sguardo truce in tutta fretta senza dire una parola.
    Tomaso Prospero 30 Giugno 2023 , 20:11 Rispondi
    Topor ed amici sono scomparsi e io devo ritrovarli perché temo siano stati inghiottiti da una delle “porte” che si suppone siano buchi neri e che appaiono e scompaiono nell’arco di un secondo! E’ improbabile, quasi impossibile incappare in una di queste trappole, ma la legge delle probabilità non lo esclude! Si sospetta che non sia un fenomeno naturale ma un marchingegno messo in atto da “Der Alter”, il tiranno che regge con pugno di ferro la zona ucronica di Parigi con l’occulta complicità di Zauro le Pen, dove ancora le pattuglie di SS scorazzano alla ricerca di sospetti lettori di fumetti, categoria considerata altamente eversiva e quindi da eliminare con ogni mezzo. Il mio obbiettivo è percorrere l’itinerario del “triangolo” ( la cosiddetta “zona bucata”), situato tra Piazza della Repubblica, Piazza della Bastiglia e Blanche Manteaul , anche se è ormai certo che l’epicentro del fenomeno metafisico deve collocarsi nel “Conservatorio delle arti e mestieri. direttrice del quale è a tempo perso la dottoressa Manu Libera, già docente alla Sorbona di manuntenzione di rubinetti organici degli androidi di generazione 7°. Comunque estraggo dalla capace borsa in pelle di rospo della Florida un blocco di appunti ed indifferente alle occhiate ansiose che Galileo , Da Vinci e Anita Garibaldi mi lanciano dal loro tavolo di lavoro, sommerso di carte e mappe della città sulle quali sono state tracciate le linee di forza dedotte da L’Oracolo del Pozzo della chiesa di Saint Sulpice, ossia la Sibilla Cumana, in arte l’androide biologico Sat.6 Sunset di settima generazione plus!!
    Al mio fianco il bracco Asimov avuto in prestito da Holmes fiuta a destra e a manca, ma per ora non ha cavato un ragno dal buco.

  23. Queneau parlava bene ed era comprensibilissimo! Zazie , ragazzina cresiuta in provincia a Parigi si trovava a disagio, dalle parti del quartiere di Pigalle poi il francese si mescolava con molte altre lingue!! Anche Jacovitti con Pasqualino Rififì parlava in dialetto di Termoli, non si capivano ed erano felici e contenti!! Il linguaggio parlato poi, se trascritto alla lettera, a volte non ha quasi senso. Una questione di codice!! Guardo Capac in compagnia di Giorgio Ventura del 1947 su “L’Avventura” edita dal romano Capriotti che non era poliglotta , l’italiano non lo capiva quasi, in romanesco quartiere Prati se la cavava! Guardo lo Zio di Ventura e dico:” tu dovresti sapere qualcosa, che al posto delle parole scritte annodi cordicelle!! Su questo aspetto famosi scrittori hanno giocato le loro carte, non ultimo il prima citato Raymond Quenau. I suoi giochi linguistici hanno fatto scuola. Certo, difficile assomigliare anche lontanamente a Queneau, oppure a Calvino che tradusse del maestro francese l’intraducibile ! “Lisca di pesce” sbadiglia , apre bene gli occhi e mi guarda dando segno di far finta di non conoscermi! si alza e ci saluta dicendo:” devo andare alla galleria del teatro Odeon dove Corteggiani insieme a Gianni Brunoro – il quale mi ha ricevuto ieri mattina alla gare de Lyon con Jacovitti – e Wolinsky mi aspettano per inaugurare una mia personale, non solo Cocco Bill richiesto a gran voce, ma con ben 500 tavole originali, comprese tutte le puntate di Caramba, Cucu, Chicchirichi e Cin Cin . Quest’ultima storia poi, risalente alla fine del 1943 la terminai contemporaneamente alle illustrazioni di “Pinocchio” fatte per l’editrice La Scuola. Ricordo ancora bene quando fui contattato da Vittorino Chizzolini, anima dell’editrice bresciana. Il Nostro sospira e ci saluta agitando la mano. Va beh, penso io, Jacovitti ne avrebbe da raccontare! Già,
    ANGELA RAVETTA 22 Luglio 2023, 13:20 Che bella la Parigi di Tardi e Malet con Zazie di sottofondo!!! Forse è la città che imita i suoi cantori. Certamente è la città ce io ho visto la prima volta ce sono andata a Parigi. Tomaso Prospero Turchi lo conobbi proprio in tale città mentre dormiva su una panchina del parco di Lussemburgo abbracciato ad un cane bianco che sembrava un lupo!! Cercò di mordermi alla carotide per gelosia, si calmò quando le cantai (cane femmina) una ninna nanna in albanese, che serve ad ammansire i lupi della Foresta nera!!
    22 Luglio 2023 16:48.
    Ravetta è sempre gentile ma troppo fantasiosa, inoltre la mia lupa bianca è docile come un agnello, fuorché quando sorto il sole si ritrasforma in erudita reporter del quotidiano “Le Monde” !! Ci conoscemmo proprio al giornale “Le Monde”, dove stavo scriveno un articolo su “Jacovitti e Sgarbi ballano la rumba”,e dove iniziai, fra le tante altre cose, il tentativo di raccogliere i film degli anni 40/50 fino agli inizi 2000 circa ambientati a Parigi, presumibilmente girati con il sistema neorealista e con gli ambienti esterni non ricreati in studio.
    Questo con l’aiuto fondamentale di mio nonno Arturo che a quei tempi, a Parigi faceva il cuogggco nel quartiere latino!!Luciano esperto cinofilo e cinefilo, cani e pellicole!!
    Impresa disperata, il cane, Ossobuco, labrador forse misto, spesso sbriciolava pellicole per passatempo approfittando dell’assenza del padrone di casa! Così finì anche la raccolta di pellicole relativa alle interviste video (suppongo) di Jacovitti fino al 1992. Comunque qualcosa ho combinato nonostante il cane distruttore di pellicole! La mia ricerca di film su Parigi e relativi anche a Jacovitti era sempre fatta sul campo, con viaggi e viaggetti vari come contorno!
    L’impressione che ne ho poi ricavato è che pure Léo Malet , esperto anche di cinema e attore a tempo perso, abbia seguito anche questa pista sistemica, specialmente per i film in bianco e nero degli anni ’50 genericamente di tipo poliziesco: attori protagonisti Paul Belmondo, Alain Delon, Jean Gabin, Lino Ventura eccetera . Poi certamente Malet, cantante sedicenne nei locali notturni di Montmartre, conosceva ed era -lo dico io- sedotto dalle canzoni del periodo e dalle grandi interpreti , in testa alle quali pongo l’insuperabile “uccellino” di Belleville, Edit Piaf. Io poi ho una forte irrazionale simpatia per Ives Montand e per il suo modo di cantare.
    L’hanno detto in molti, la Parigi di Malet e poi di Tardi è fatta di suggestioni, non è un duplicato della realtà ma è opera in un certo senso di fantasia.
    Il fatto, di tipo tecnico, che Tardi disegna gli sfondi urbani usando una prospettiva di tipo scolastico – linea dell’orizzonte all’altezza dell’osservatore, cioè a circa 1,7o dalla linea di terra- e generalmente non assotiglia le linee di contorno delle forme nella realtà vià via più lontane, non preoccupandosi di creare il senso della lontananza legate alla convenzione figurativa dello spazio di tipo leonardesco, è di fatto una personalizzazione di tipo espressionistico ( l’ha scritto pure lui!!), non di certo legata agli stilemi pittorici del realismo/ naturalismo.
    Mi fermo qui per non farvi cadere in uno stato di sonno liberatorio.
    Tomao Prospero 22 Luglio 2018, 17:16 Rispondi
    Rileggendo quanto ho scritto, devo correggere almeno una mia svista: nella storia a fumetti “120 rue de la gare”, i fatti si svolgono da Settembre 1940 a dicembre 1941, e non 1940 come da me scritto in uno dei miei soliti momenti di deconcentrazione.
    Poi, per quanto riguarda la cantante Edith Piaf, mi pare che il nome d’arte Piaf, in argot di Belleville significhi “passerotto” e non “uccellino” come- mi pare- da me scritto a memoria. A volte si scrive a ruota libera senza controllare il risultato: frequente il caso di battere i al posto di o , oppure viceversa. Così mio cognato da cinefilo è diventato cinofilo!! Però a priori non si può escluder che ci ama i film ami pure i cani. E chi ama Parigi e Jacovitti non sia un fan di Male e Tardi, scrittore e disegnatore e autore dei testi della annosa saga di “Adele Blanc sec” lui stesso!! Comunque dalla collaborazione tra i nostri Malet e Tardi, uscirono quattro volumi, distribuiti nell’arco di un quasi ventennio, dal 1982 al 2000, legati insieme non soltanto dalla paternità della storia originale, ma anche dalla figura di Nestor Burma, detective privato furbo ma spesso imprudente , che si trova alle prese con situazioni ingarbugliate e pericolose che lo fanno finire spesso malconcio in un letto, curato dalla sua segretaria tutto fare Hélène Chatèlin, che è al suo fianco fin dagli anni quaranta, ma, magia della fiction, non invecchia di un’ora mentre Parigi intorno a lei subisce le ingiurie della guerra e poi il passare dei decenni fino a giungere alla fine degli anni settanta con casi assai diversi in ognuno degli episodi, che si svolgono quasi sempre all’interno di un singolo arrondissement, o “distretto amministrativo parigino”, se preferite.
    Da una attenta visione e lettura del tutto, possiamo a buon diritto affermare che trama, ordito e filo conduttore della serie è, ovviamente oltre al protagonista, la stessa città delle luci, Parigi. Ogni volta Malet sceglie un arrondissement diverso per inquadrare il dipanarsi dei misteri che Burma si trova a dover risolvere. Alla ricerca di indizi legati ai vari delitti, il detective percorre le strade di una Parigi uscita ormai da dieci anni e più dalla guerra e dall’occupazione tedesca, ma ancora sostanzialmente immutata sotto il profilo monumentale e urbanistico, con i vecchi quartieri del “centro” formati da strette e tortuose vie e vecchie abitazione non di rado con struttura portante in legno ben in vista, con zone molte caratterizzate dal punto di vista anche sociale e umano. Per fare un esempio, quella degli enormi mercati generali, Les Halles, il vero “ventre di Parigi”. A poco distanza di tempo le otto grandi strutture metelliche, dovute a Baltard, spariranno sotto la furia demolitrice del rinnovamento e speculazione edilizia. Al suo posto il famoso “buco”, che rimarrà tale per lungo tempo e che una volta visitato da Italo Calvino accompagnato da un giornalista che gli farà da guida, farà finalmente sciogliere la lingua al nostro scrittore solitamente ermeticamente taciturno. Ora, anno di grazia 2023 le cose si sono quasi sistemate, all’infuori della sistemazione dei giardini. Il tutto descritto con la precisione vivida di chi conosce quei quartieri come le proprie tasche e non esita a inserirvi dettagli anche a volte minuziosi. Nessuna approssimazione. Messo da parte l’espediente narrativo dell’omicidio, tutto il resto è un pretesto per raccontare Parigi, la Francia ( per Malet forse ancora quella dei ricordi anteguerra) dell’epoca, per accennare a qualche episodio della guerra che Malet – ma non Tardi- edulcora [ I Nazisti sono inesistenti o quasi, che a Parigi pur hanno comandato per 4 anni perseguitando, derubando, incarcerando e mandando nei campi di concentrameto poi di sterminio quindi alla morte, centinaia di migliaia di ebrei francesi, un milione forse solo in quella situazione geografica limitata] per tracciare con arguzia anche i personaggi di contorno, per svelare, racconto dopo racconto con l’artificio di una autobiografia con transfert, la storia di Nestor Burma, che si incrocia e si mescola con la quella di Léo Malet. Una carrellata di quartieri, di strade acciottolate in pendenza con rigagnoli ai lati , di appartamenti sfatti, di tipi umani, ai quali andiamo incontro spinti dalla curiosità di svolgere l’intreccio e che ci regalano un’immagine di Parigi, quadro reale e flash di vita vissuta
    Leggetevi le 4 storie disegnate da Jacques Tardi nell’original uso del bianco e nero + due toni di grigio diversi per intensità . Cercate i cartonati originali francesi editi da Casterman , che sono meno cari delle edizioni italiane e soprattutto hanno la carta e la resa tipografica giuste per mettere in risalto l’atmosfera notturna di una Parigi spesso bagnata da frequenti acquazzoni, con le pavientazioni stradali che riflettono luci e si ammantano di nero dove l’ombra inghiotte ogni cosa. Buona ricerca, se siete sincere anime in pena, soggiogate dalla sana nostalgia di una Parigi che ormai rivive solo nei nostri ricordi e sentimenti e di un aspetto di Jacovitti che ultimamente con il bailamme creato dai cento anni dalla sua nascita, 1923/2023, è stato anche bistrattato in molti modi e maniere, persino inaspettatamente dai Gesuiti romani con padre Pani sul loro “ La Civilìà cattolica”, con atmosfera di ombre e luci non so se creata ad arte per fare colpo!! Jacovitti diventa anche “qualunquista”, cosa che lascia perplessi, ma che ci volete fare, l’opinione a meno che non sia apertamente offensiva, non è reato. Mah, siamo comunque in pieno delirio fantastico!!

    BUON Aprile 2023 at 9:3 Buon

    Ferragosto 2023, che il tempo ad avvenire vi sia propizio!

    Reply
    Tomaso Turchi
    8 Aprile 2023 at 9:38
    Buona Pasqua 2024 in anticipo, a tutti gli uomini di BUONA VOLONTa!! Il ponte Jacovitti inaugurato per il centenario della sua nascita, 1923/2023, fu scenario di numerosi film di successo: Ultimo tango a Parigi, Ascensore per il patibolo, Zazie nel metrò, Il poliziotto della brigata criminale, Ronin, Taxxi 2, Il mistero delle pagine perdute – National Treasure, La Belle Personne, Un indiano in città, Munich, Inception, Dexter, Il prezzo dell’arte, e venne utilizzato inoltre da Marcus Miller per la copertina dell’album Renaissance (2012).

    Tomaso Prospero
    8 Aprile 2023 at 11:26 A ritroso nel tempo!!
    Il ponte fu scenario di numerosi film di successo: Ultimo tango a Parigi, Ascensore per il patibolo, Zazie nel metrò, Il poliziotto della brigata criminale, Ronin, Taxxi 2, Il mistero delle pagine perdute – National Treasure, La Belle Personne, Un indiano in città, Munich, Inception, Dexter, Il prezzo dell’arte, e venne utilizzato inoltre da Marcus Miller per la copertina dell’album Renaissance (2012). Tomaso Prospero, scrive per diletto senza pensare ai gatti nel cassetto! Pinco panco e Panco pinco il muro hanno dipinto!!
    Saurus Von Sturmenpop, divaga dopo aver bevuto una caraffa di Gin schietto e ribatte il chiodo farfugliando sulla sua fatica fondamentale: l’ analisi storico/idealogica è esattamente il contrario della idea fondamentale che gira e rigira nelle meningi del sottoscritto, povero ex vagabondo del Ponte des Arts!!! Quindi mozzo la storia già a mezza via, decisione dovuta alla mia formazione che potrei collocare genericamente negli anni 40!! “lo stesso Hergè negli anni ’70 ha ammesso che la sua formazione era quella borghese del suo tempo, logico, in Belgio e nazioni limitrofe, Jacovitti invece la sua formazione la intreccia a doppia corda con il periodo degli anni 40, grosso modo, dove anche “Il vittorioso” ebbe una parte fondamentale!! Zazie mi ha ascoltato mangiando a morsi un gelato senza zucchero arraffato nel mio frigorifero! Non dice nulla ma fa boccacce sputacchiando frammenti disciolti di gelato!! Non lo fa apposta, tutta colpa di Queneau che l’ha immaginata in tale maniera, almeno credo! Ezechiel interviene sempre tenendosi a debita distanza da Zazie:”Una cavolata di finale per far prima!! Ma le catacombe di Parigi incombono, sopratuttto perchè io Tomaso Prospero e Zazie ci finimmo dentro con Jacovitti nel tentativo di fuggire dal locale notturno di Pigalle “Chez Sauropodis” dove i flics avevano fatto irruzione!! Poi la storia scritta è scomparsa per un guaio al computer!! Questo contesto rende la scoperta ancora più inquietante. Nell’agosto del 2024, la polizia parigina, durante un’esercitazione, “scoprìrà” un cinema completamente attrezzato in una delle caverne precedentemente scoperte nelle Catacombe. Le terrazze sono state scavate nella roccia per formare un anfiteatro, in cui sono state trovate apparecchiature di proiezione, uno schermo cinematografico a grandezza naturale e una varietà di film thriller e noir. Le pellicole non erano né offensive né vietate; sembra che qualcuno volesse semplicemente allestire il proprio inquietante cinema privato. Non ci credete??? eppure il fatto l’anno prossimo diventerà di pubblico dominio!! Vi saluto, per ora!

  24. Storia vera, verissima!!

    tomasoprospero | 3 Luglio 2013 alle 21:50
    Io partirei per l’analisi dettagliata di “Caccia grossissima” del 1943 poi stampata sul “Vtttorioso! ben tre anni dopo a guerra abbondantemente finita!! Cioè nel 1946!! Io partirei con le immagini della prima pagina di topolino 1949 con la storia “Topolino e il cobra bianco”, il n°730, ad esempio. Storia che finirà sul n° 1 libretto. A pagina 6 La tigre di Sumatra di caprioli, puntata 18.
    Poi con qualcosa del Vittorioso 1949 : Craveri, Caprioli, Jacovitti. Non male
    Io però posso scannerizzare mezza pagina alla volta. Che ne dici?’
    Rispondi
    Luca
    Se cominci tu a commentare, okay, chiedo a Carlini di poter riprodurre qualche immagine delle sue e andiamo avanti!
    Poi, ri-evidenzio questo post, gli ultimi commenti ormai sono da tempo fuori home page e magari molta gente se li è persi!
    Rispondi
    Tomaso Prospero Turchi
    Sul sito di Mario Ossobuchi appaione le prime tre tavole a colori della storia di Bertolotti/Craveri, pubblicate nel 1949 su “Il Vittorioso”: potrebbe essere un bell’inizio per parlare della storia stessa e di quel particolare momento storico relativamente ai fumetti dell’AVE e dintorni:1949/50, ne accaddero delle cose in quei due anni….. Topolino, L’Avventura e L’Intrepido passano dal formato giornale a quello libretto.
    Resistono “Il corriere dei Piccoli”, il Vittorioso e in futuro “Il Pioniere” e (1957 Il Giorno dei Ragazzi”).
    Un bel poco di carne al fuoco!!!
    Succede anche questo: due (illustri) frequentatori di questo blog Cartoonist Pop Globale si scambiano opinioni, nella sezione dei commenti, su un’opera di grande rilevanza “fumetto/artistica” e poi la recensiscono ciascuno in base alla propria sensibilità.
    Peraltro, ve lo confesso, chi sta scrivendo è un sosia del blogger di Cartoonist Globale: siccome gli hanno tolto la scorta, a volte usciamo io e i miei analoghi per svolgere qualche mansione.
    Il fumetto è il ciclo di Koma, di Pierre Wazem e Frederik Peeters (sotto in una foto mentre è al lavoro nel suo studio, e quindi in un autoritratto sottoforma di zombie).
    Questo commento è dell’esperto di fumetti, onnivoro collezionista e redattore di Vitt e dintorni Tomaso Turchi.
    In prossimo sarà del fumettista e pittore Nestore del Boccio.

    Penso alla bimba Addidas, di professione spazzacamino, che apparentamente vaga nei meandri claustrofobici di una vita sognata, dominata dal re del’ Inconscio (chiamiamolo così): un mostro che crede di essere il creatore di ogni cosa. Non avete ancora letto la saga disegnata da Peeters e scritta da Wazem?? In origine son stati ben sei tomi usciti nell’arco di altrettanti anni – 2003/2008 – editi dall’editrice cosiddetta indipendente Humanoides Associée, poi in Italia in tre soli volumi da Renoir editore ed ora ripropoposti integralmente in solo volume in bianco e nero.
    Addidas, già: la storia di una bambina senza la mamma scomparsa in circostanze misteriose, che ha la sfortuna di soffrire di una strana malattia che ogni tanto, improvvisamente e senza cause apparenti, la fa cadere in uno stato di incoscienza. Insomma, uno scenario apparentemente da romanzo d’appendice.
    In realtà la sua storia evolverà verso altri orizzonti narrativi, fra il metafisico e la parabola etico/morale finalizzata alla liberatoria catarsi finale con la sconfitta di quello che apparentemente potrebbe rappresentare il male.
    La caduta della nel fondo di un camino mentre è intenta a farne la pulizia pulizia, perché tale è la sua professione al seguito del padre (per associazione di idee una situazione che ricorda i bambini utilizzati nelle miniere per infilarsi in stretti cunicoli impraticabili dagli adulti), la porta nel sottosuolo: il rimando al classico di Lewis Carrol è – da un punto di vista letterario – a mio parere palese: come l’alter ego Alice che sotto terra trova il suo paese delle meraviglie, Addidas in una sorta di distorcimento speculare si ritrova in seguito alla caduta verso il basso di certo in un altro “paese”, ma forse non proprio meraviglioso.

    A questo punto il gioco dei rimandi, delle citazioni si fa sempre più illusorio e in un certo senso estraniante.
    Come poter dimenticare la prefazione di Stefano Bartezzaghi alla versione fumettista di Zazie nel metro (anche lei una ragazzina che vorrebbe andare nei meandri sotterranei ma non ci riesce [anche se – è risaputo – esiste una precedente versione di Raymond Queneau nell’ambito della quale Zazie insieme alla nonna esplora per più giorni la rete metropolitana parigina] dovuta a Clément Oubrerie (In Italia Lizard/Rizzoli 2011), nel contesto della quale Zazie viene accostata ad Alice e persino all’impudica ninfetta Lolita di Nabokov?
    Vabbe’, per ora lasciamo perdere queste derive letterarie e torniamo alla nostra Addidas.
    Nelle profondità della terra si muovono esseri di wellsiana ( The time machine, ricordate?’) memoria che accudiscono macchine le quali controllano i simulacri(??) degli umani che popolano la dimensione onirica (se tale è, ma certezze non ce ne sono) del mondo.
    Ma l’imprevedibile accade.
    Aiutata da uno dei “mostri”, quello che dovrebbe accudire alla macchina in simbiosi con la sua esistenza e che rivela una inaspettata umanità e capacità di libero arbitrio, Addidas accompagnata e aiutata da questa sorta di “guida”, decide di affrontare l’entità che tira i fili del destino.

    Anche in questo caso la narrazione ha elementi di classicità, perché molti sono stati i personaggi che accompagnati da animali amichevoli, da esseri non umani (vedi Il mago di OZ) o da vere e proprie guide con forte connotazione simbolica (Virgilio [chiedo venia agli studiosi di Dante]), affrontano pericoli di ogni genere e tipo.
    La volontà della piccola Addidas sarà più forte di quella del supposto Creatore. Il trionfo della sua innocenza infantile? Il suo amico mostro che modifica in positivo il delicato equilibrio che regola la sua macchina vitale??
    Dal mondo fortemente industrializzato rappresentato da una città formalmente clonata dal periodo storico collocabile fra le due grandi guerre del 1900 o forse anche prima, con tanto di stato poliziesco e novella Gestapo, Addidas vuole fuggire per andare/tornare alla campagna.
    La campagna come simbolo oppositivo alla rivoluzione industriale?
    Pervicacemente, senza remora alcuna, Addidas attirerà il Padrone nel suo mondo interiore e lo trasformerà annientandone l’individualità e la volontà. Una sorta di discesa nel Nirvana per il Creatore??? Che in tale situazione palesa i suoi limiti e si rivela essere non onnipotente.
    Alla fine, in pratica, inizia la vera storia con Addidas libera ma sola, che i creatori del fumetto, Wazem e Peeters non possono ovviamente raccontare, poiché tutto è già stato scritto e disegnato.

    Il dato dell’inspiegabilità regna sovrano.
    A meno che l’interpretazione di Koma non sia basato su parametri meno concettuali, con Addidas simbolo dell’innocenza infantile, che proprio per questo suo dato di naivitè affronta e sconfigge il male, che contro lo sguardo puro di un bambino appare assolutamente impotente.
    Non so, fate voi. tomaso prospero | 20 Febbraio 2012 alle 12:31Per Elisa (senza accompagnamento musicale).
    Quale il senso del finale di “Koma”? la ragazzina Addidas vinto il mostro tuttofare impone la sua realtà – che sarebbe poi quella nella quale tutti viviamo – e in un mondo azzurro e verde lontano dalle tonalità cupe delle tavole precedenti, sola, guarda dall’alto il paesaggio sottostante.
    Ehh, il ritorno alla realtà dopo l’incubo, il trionfo della volontà di sopravvivere contro le avversità dell’esistenza??
    Metto il punto interrogativo, poiché il mostro creatore trasformato in una massa brulicante di vermi in effetti non è morto.
    L’ultima vignetta che ritorna all’uso tonale del colore e raffigura il sottosuolo come un groviglio di radici(?) allude alla forma tentacolare del mostro creatore: Wazem, dacci la luce!!

    I miei due ultimi commenti non sono ancora apparsi: dispersi nella rete?? O nella neve? che anche questa mattina scende a larghe falde nonostante il calendario segni piena estate! Ma qui in Alaska dove passo una decina di giorni ad inseguire un lupo umano che va ipnotizzato e disgiunto dal suo doppio, cosa che solo io e micia insieme possiamo fare!!!
    Va beh: a parte quel disgraziato del lupo umano che aveva cercato di sbranarmi per dispetto della mia bellezza inimitabile, avevo solo aperto bocca e fatto delle considerazioni sull’uso del colore in “Koma”, storia concepita per l’uso del colore e disegnata certamente tenendo conto di questo dato.
    Peeters, Wazem e la colorista hanno lavorato sicuramente in sintonia per raggiungere certi effetti .
    Quindi non è colore aggiunto a caso, come a volte può capitare, penso alle strisce giornaliere di Topolino anni trenta, ma anche a lavori di Jacovitti con i “Tre Pi” nati in bianco e nero , poi successivamente colorati pensando solo all’uso della cromia come riempitivo di aree.
    “Pippo e la guerra” e “Pippo e la pace ” ad esempio….
    Ma anche alla ricolorature di avventure di “Blake e Mortimer” di Jacobs, apparse su “Tintin”settimanalmente colorate in modo naturalistico, con azzurri, verdi e rosa, poi stampati in albun in quel modo ma ristampati poi, a morte di Jacobs avvenuta, con una scelTa tonale dei colori, previlegiando la gamma dei viola e dei gialli: un falso filologico, insomma.
    Con “Koma” invece non sono stati fatti questi “giochetti”: semmai è l’integrale in bianco e nero che sbilancia tutta la storia.
    Per me è stato necessario confrontare le due versioni, ed alla fine pur apprezzando il solo bianco e nero per la concisione del disegno, preferisco la versione a colori che crea la giusta – secondo me- atmosfera.
    Va beh, passo speranzosamente la parola ad eventuali esperti in grado di approfondire questo aspetto; con l’auspicio che i letterati poeti del surreale/assurdo risparmino questo post ora in mano di Pennacchioli chiaramente anche lupo licantropo a tempo perso!:
    Thank you in advance!!!

  25. Una biografia romanzata
    Il mondo di uno dei più geniali fumettisti italiani viene raccontato da Stefano Milioni e Edgardo Colabelli in un libro (100 anni con Jacovitti, Ballon’s Art, con una prefazione di Vincenzo Mollica) che con disegni inediti e foto passa in rassegna la vita dell’artista e quella del nostro paese, dal Ventennio fascista alla fine della Prima repubblica, passando per la guerra, il Dopoguerra, la difficile fase della ricostruzione, la ripresa, il boom economico, il turbinio degli anni Settanta, gli anni di piombo, e quelli che avrebbero portato a Tangentopoli.
    Amici miei del Vitt oppressi dalla calura estiva, son qui A Parigi su la “butte” delle ex quaglie con Sgarbi che stranamente è silenzioso, mentre le onde gravitazionali generate dai buchi neri macro si scontrano a miliardi di anni luce dalla terra, quindi, a noi non dovrebbero interessare! Invece l’Universo è uno per definizione, altrimenti dovrebbe essere usato una diversa denominazione! Con con Il vecchio cane Ezechiel che oggi piange perché ha compiuto 20 anni e si sente vecchio!! Io lo consolo, io di anni ne ho compiuti 86!! Ma noi siamo un granello di polvere nell’Universo, anche se tutto ha un peso, e l’insieme dei pesi non hanno fine poiché il tempo scorre mosso dalle onde gravitazionali stesse! Einstein l’aveva già scritto nel 1919!! Forse addirittura non era ancora nato!! Intanto verso la fine della storia del “Maggiore Fatale”, Mosca bianca è rimasta sola e Moebius deve risolvere la situazione narrativa!!Ma Ezechiel appena nato sull’asteroide del Maggiore Gruber, in arte mosca bianca, riesce a fuggire con il cagnolino nascosto sotto i vestiti ed entrare, attraverso una porta per gli altri invalicabile, nella metroplitana numero 6 “Opera” di Parigi!! essendo nato sull’asteroide è immortale come il maggiore Gruber, quindi posso continuare la storia senza patemi d’animo!! Un sasso gettato in uno stagno suscita onde concentriche che si allargano non solo come apparentemente sembra sulla sua superficie, coinvolgendola nel loro moto, non solo a distanze diverse ma anche in profondità verso la dimensione del subconscio, con diversi effetti; il povero Lo Pazzu sprofondato sul fondo del laghetto del bois di Vincennes, con il probabile intervento della la ninfa detta anche Nereide, che lo aspetta e lo salverà dal torpore paralizzante delle acque gelide, la canna di Gori pescatore di frodo, la barchetta di carta opera sublime del diabolico Sani, il galleggiante del pescatore Bellacci che non demorde anche se da decenni la sua pesca è infruttuosa o quasi! Non diversamente una parola, gettata nella mente a caso, produce onde di superficie e di profondità, una serie infinita di reazioni a catena, coinvolgendo nella sua caduta suoni e immagini, analogie e ricordi, significati e sogni, invenzioni e l’immersione nella dimensione dell’automatismo creativo e del surreale! Sono parole illuminanti, queste di Gianni Rodari e del suo occulto suggeritore a posteriori, Tomaso Prospero, che dovrebbero far capire qual è il senso profondo della sua Grammatica della Fantasia: non un manuale di istruzioni ma un serie di impulsi, che, come sassi nello stagno, generano occasioni di riflessione e di approccio espressivo sui processi che guidano la fantasia. L’espressività è alla base di quasi tutto quello che si va scrivendo, una manipolazione creativa del nostro povero cervello stimolato a non essere meramente ripetitivo!! Da un intervento, credo, di Luca Boschi , esorcizzato per ragioni occulte!
    Il primo volume che Non analizzerò, “ Dal SignorBonaventura a Saturno contro la terra” di Pier Luigi Gaspa, per farvi un favore, lettori in genere , è un saggio fondamentalmente cólto/didattico, rivolto- io credo- ad una utenza di lettori diversamente impegnati, o comunque non adusi ad affrontare simili letture, senza alcuna storia a fumetti ristampata, anche se con moltissime figure a corredo. Non che gli interventi scritti sui volumi jacovitteschi editi ad esempio da “Stampa Alternativa”, siano viceversa più “popolari”, no, tutt ‘altro, ci mancherebbe, ma la parte fondamentale è rappresentata dalle ristampe dei fumetti. Però i due volumi in questione in un certo senso si assomigliano perché ripensano in modo diverso entrambi cose già conosciute in parte in precedenza, con la stranezza di non prendere, mi pare ( se mi sbaglio chiedo scusa in anticipo) mai in considerazione alcuni fra le decine e decine di articoli scritti sul “tempo di Jacovitti” e i suoi dintorni vasti ed eterogei, pubblicati soprattutto su, “ Informavitt / Vitt & Dintorni”, anche se la bibliografia, da pagina 169/72, è veramente cospicua. Per altri versi, su differenti volumi precedenti, quanto è stato scritto è esemplare, vedi il lungo intervento di Goffredo Fofi nei riguardi del periodo storico del 1960/80 all’ interno del quale vengono a collocarsi “Gli anni d’ oro del diario Vitt”. Un intervento degno di quell’ intellettuale impegnato che Fofi è. Criticato però inopinatamente da Gori, Boschi e Sani all interno del loro remake “ Jacovitti. Sessant’anni di surrealismo a fumetti”. Penso alla parte- maggioritaria- dedicata alle storie a fumetti sui libri di Stampa Alternativa, che non di rado dal punto di vista della riproduzione grafica è scarsa: vedi Peppino il Paladino ( una cosa, secondo me, incomprensibile). Certo, il prodotto è – forse- rivolto ad un utenza non specializzata nei riguardi dell epos jacovittesco, però in questo modo, comunque, non si rende un buon servizio alla memoria del rimpianto Lisca di Pesce. Bellacci mi chiese circa 10 anni fa, se su Vitt & Dintorni ci sarebbe stata una presentazione o recensione del volume edito da Nicola Pesce, chiedendo eventualmente a me di provare a farla. Non è da tutti trovare il filo di Arianna che permette di percorrere il labirinto jacovittesco rappresentato da quanto da lui prodotto dal 1939 ad un momento imprecisato degli anni 90. E di capire bene il senso di questa sterminata produzione. Credo, penso, che il lavoro di Bellacci, Boschi, Gori e Sani miri a questo. Secondo me il progetto se è come io suppongo- è veramente ambizioso, nel senso non di una sfrenata brama di onori e casomai anche soldi, ma di un forte desiderio di raggiungere un obbiettivo importante. Sinceramente non saprei dire se poi questo in effetti è avvenuto: da che cosa nascono i miei dubbi? Dal fatto che- è ovvio, ma lo dico lo stesso- quanto scritto, specialmente dai magnifici tre toscani,( Bellacci lo tiro fuori, poiché la sua parte è tecnicamente ineccepibile) esprime spesso pareri e valutazioni storico critiche molto personali, a vote dissonanti con quello che di quelle stesse cose penso io; se la questione viene posta in tale maniera i contenuti del volume in questione sono automaticamente da considerarsi discutibili. Ovverosia cosa sulla quale si potrebbe discutere. Però una ipotesi del genere per concretizzarsi dovrebbe usufruire del dialogo fra le opposte ( in senso amichevole) parti. Ma non credo che Boschi, Gori e Sani, o anche uno solo dei tre, abbia motivazioni per farlo, con me o chiunque altro. Io ho scritto, ma non ho rivevutorisposta, a parte sul blog di Leonardo Gori Se si volessi fare una recensione approfondita del volume qui in questione – attualmente ancora stranamente latitante da molte librerie- non si potrebbe prescindere dal dialogo. Chiaramente una presentazione su Vitt & Dintorni nell’ ambito della rubrica Sullo scaffale dei libri mi pare doveroso si debba fare. Ma in quale modo??? Io a proposito in effetti qualche idea ce l ho.Nel centenario della nascita di Benito Jacovitti (Termoli, 19 marzo 1923 – Roma, 3 dicembre 1997), la prima iniziativa avviene nel comune di Sutri, nell’ultima mostra della mia sindacatura, dal titolo allusivo «Triste, solitario y final». Mi auguro che i miei concittadini si possano compiacere di questo primato nel ricordare uno degli artisti più liberi, fantasiosi e originali del nostro Novecento parallelo, che trova negli illustratori, talvolta considerati con sufficienza, dei veri maestri, liberi dall’obbligo di testimoniare le inquietudini della storia. 
    “Il mondo di Jacovitti”, mi sussura Sgarbi, “è il mondo del sogno, dei bambini, dell’infanzia che ci accompagna per tutta la vita. Alla fine potremmo rinunciare alla pizza ma non a Jacovitti, a costo di ritrovarci con un salto nel tempo di nuovo nel 1939 sul “Brivido “, giornale in vernacolo fiorentino a ripartire dalla panoramica della “Linea Maginòt”e alle successive illustrazioni di Jacovitti con i suoi “Tre PI” e gli Inglesi sul “Vittorioso, con i fumetti ancora non pubblicamnte invisi dalla cultura italana rimescolata dei pedagoghi con la testa immersa nei pregiuduzi ottocenteschi, e le loro didascalie spesso in rima, cose adatte au bambini, poiché il “baloon” contenente il discorso parlato che esce dalla bocca “pipetta” per confluire nel baloon, era”forse” un odiato parto americano, tanto che del 1908 sul gia citato “Corriere dei Piccoli” era avulso!! Da chi? Beh nel 1908 non potevano essere i “fascisti” che non esistevano, ma i “pedofoghi! purtroppo sì!! Riprende Sgarbi “: L’illustrazione sta alla grande pittura come la pittura vascolare ai dipinti dell’antichità. Il Corriere dei Piccoli, Il Vittorioso, Il giorno dei Ragazzi e tutti i loro supplementi e collane relative, Jak Mandolino in albo ( anche), resteranno a testimoniare una storia parallela senza rapporti con la realtà sempre più tragica. Il mondo di Jacovitti è il regno dell’infanzia che risponde a una realtà in cui anche le guerre sono un gioco e le armi restano giocattoli. Ne era consapevole lo stesso Jacovitti. La sua avventura umana e artistica è raccontata nel libro Cento anni con Jacovitti di Stefano Milioni e Edgardo Colabelli con l’introduzione di Vincenzo Mollica. La consapevolezza che, per ragioni politiche, Jacovitti è stato sottovalutato è anche in un intervento di Goffredo Fofi per il prossimo numero di linus dedicato al grande artista, al quale la formula «artista» sta stretta, come lui stesso chiarisce: «stare nella realtà è possibile solo se riesco a riderne».

    Un giornalista di Libération chiese a Benito Jacovitti nel 1997: «Ma lei ha avuto un’infanzia felice?». «Sì che l’ho avuta – rispose Jacovitti – ma, ahimè, l’ho perduta». Credo che il senso più autentico della verve del Nostro almeno in parte sia dovuta alla sua giovinezza mentale ! Che poi Jacovitti abbia virtualmente cercato di non crescere, di non essere mai adulto, alla ricerca sempre di un’infanzia perduta, mi pare cos dubbia, se pensiamo alla lenta metamorfosi della natura delle sue storie, che erano certamente fruttu di un a mentalotà giovanile per almeno finchè non ha iniziato ad invecchiare nel corpo e nella mente!! Con i piedi credo sia sempre stato bene per terra, con le sue paure ed annsie, lontano nella vita un da un universo, un wonderland alla Lewis Carroll di matrice storiva “vittoriana” inconcepibile nel suo tempo della sua vita durante la guerra e seguito!!, Jacovitti, nonostante le sue manifeste simpatie per i conservatori, non era stato certo troppo più tenero con gli altri.
    Io da buon parola scrittaci tengo a ribadire attraverso quanto scrivo la mia individualità. Comunque, dovrei venire a più miti consigli e non partire lancia in resta criticando questo e quello?? Non so, mi sbaglio?? Questo mi viene suggerito anche da Nato Diavoli, che dopo aver letto una bozza del mio articolo intitolato “Jacovitti senza Rififì & Dintorni”, mi ha amichevolmente tirato le orecchie. Io l’ ho poi un poco modificato. Però alla fine ho scritto quello che mi frullava per la testa ma che trovate qui di seguito e in precedenza perché altri prima di me ne hanno discettato ad iosa! “ Ad esempio…..

    Il recente volume su Jacovitti di Colabelli e aiutanti, passa in rassegna anche il suo ( di Jac) percorso con il fascismo che per tanti anni lo ha ingabbiato nella retorica ideologica di essere al servizio del pensiero mussoliniano. Polemiche sterili degli anni settanta quando il movimento studentesco e la “contestazione” che ne seguì per un tipo, Jac, a detti di alcuni, piuttosto dispettoso,cosa cche al sottoscritto appare gratiuta! A nove anni, nel 1932, partecipò alla raccolta del grano in presenza di Mussolini. Il duce, con quell’aria che tutti noi conosciamo dai filmati dell’epoca, gli domandò cosa volesse fare da grande. Lui rispose senza peli sulla lingua: «Visto che anch’io mi chiamo Benito alla vostra morte prenderò il vostro posto». Mussolini lo prese per una gamba, lo sollevò, e disse: «Il duce sono solo io. E poi vivrò molto a lungo».
    Fu il suo primo “incredibile” incontro di Jac con il fascismo, a me pare una buffonata del giorno d’oggi per deridere questo e quello!! Tanti anni dopo Jac confessò a Oreste Del Buono, mitico e strampalato direttore con la testa nelle nuvole di mille pubblicazioni, compresa Linus!! l’amarezza di essere scambiato per fascista. «Quello che penso del fascismo l’ho già raccontato chiaramente in alcune mie storie. Ha fatto tanti danni. Io poi ero poco più che un ragazzino, cosa vuoi che capissi. Ma pensa a mio padre: era un fascista molto convinto, ma dopo le leggi razziali, dopo aver capito l’orrore che era, ha aiutato diversi ebrei a fuggire per evitare che finissero nei campi di concentramento».
    Sempre nel 1932 Jac fece un ritratto di Cesare Balbo, uno dei comandanti della Marcia su Roma e aviatore prodigioso e coraggioso, caduto per la Patria sotto il fuoco amico! Un episodio che lasciò in molti increduli e perplessi! Il padre con orgoglio portò comunque ( anche se i due fatti non sono consecutivi, Balbo morì all’inizio della guerra, direi nel 1940! il disegno alla sede cittadina del partito fascista, senza accorgersi che il figlio sulle mostrine della divisa di Balbo aveva disegnato due falce e martello, un’immagine che, senza che ne conoscesse il significato, Benito aveva copiato dalla rivista satirica fascista 420. ?
    Pubblicato il 12 marzo 2019
    Le circostanze della morte di Italo Balbo, avvenuta a Tobruk il 28 giugno 1940, hanno sempre suscitato l’interesse degli studiosi per il fatto che negli ultimi anni il governatore della Libia aveva assunto posizioni assai critiche nei confronti degli sviluppi della politica fascista: le leggi razziali, il Patto d’acciaio, l’intervento italiano nel secondo conflitto mondiale. Ad avvalorare la “teoria del complotto” stava poi la presenza a bordo del Savoia-Marchetti pilotato da Balbo del giornalista Nello Quilici, capo dell’ufficio stampa libico dell’aviatore nonché direttore del Corriere Padano: il giornale fondato dallo stesso quadrumviro ferrarese che, con le sue ardite posizioni controcorrente, aveva sfidato più volte la censura del regime.
    Il giorno successivo la sciagura il Comando supremo diramò un bollettino in cui si annunciava che Balbo era caduto sul “campo dell’onore”, al ritorno da una missione bellica sul territorio egiziano. Mussolini dichiarò due giorni di lutto nazionale, mentre le salme dei caduti venivano portate prima a Bengasi, quindi a Tripoli, ove furono sepolte; per rimanervi fino al 1970, allorché l’ondata di nazionalismo scatenata dal colpo di stato guidato da Gheddafi indusse le autorità italiane a rimpatriarle, destinandole al “Quadrato degli Atlantici” appositamente costituito presso il cimitero di Orbetello.
    Per ragioni di segretezza i particolari dell’incidente non furono forniti; ma la mancanza di spiegazioni plausibili non mancò di dare la stura ai pettegolezzi, come riferito da una testimonianza dell’epoca. “La strana morte del Maresciallo dell’aria è ormai sulla bocca di tutti. Le voci che il suo aereo sia stato abbattuto per ordine di Roma si intensificano a tal punto che la polizia non fa a tempo a raccoglierle tutte. Mussolini è nervoso e l’idea che si possa pensare che sia stato lui a liquidare il famoso gerarca gli provoca attacchi di ulcera. La situazione peggiora quando gli comunicano che anche i familiari di Balbo sostengono tale versione e che in particolare la vedova manifesta apertamente a tutti coloro che si recano a farle visita la propria convinzione circa il suo coinvolgimento: “Lui mi manderà al confino, ma io dico tutto. Italo non voleva la guerra, si era sempre opposto. Diceva che non eravamo preparati”. D’altra parte, data la nota rivalità esistente fra il dittatore e l’eroico trasvolatore non ha mancato di prendere subito piede l’ipotesi del sabotaggio: di conseguenza, la voce che sia stato il Duce a ordire la liquidazione del pericoloso concorrente è dilagata dai salotti-bene della capitale sino all’ultimo bar di periferia”.

    Un anarchico di centro
    Camerati sbeffeggiati da un ragazzino. In realtà Jacovitti era un convinto anticomunista e questo ha creato a lungo l’equivoco che fosse fascista. Lo è stato nei primi anni della sua vita. Ma appena nato non poteva urlare “Viva il Duce!!” . Ma si allontanò presto dal fascismo al punto che decise a un certo punto di non farsi più chiamare Benito ma Franco, suo secondo nome. Era un artista e uno spirito libero. Nella sua vita ha subito censure da tutti: cattolici, fascisti, sul finire degli anni ’40 Togliatti lo dichiarò «nemico del popolo» per la rappresentazione che aveva dato dei comunisti in alcuni suoi disegni.
    Ha sempre votato Democrazia cristiana, Partito liberale, socialdemocratico. Si definiva un anarchico di centro. Nel 1979 venne invitato dalla redazione della rivista satirica Il Male, la cosa più a sinistra che si potesse immaginare in quel periodo, a disegnare un omaggio a John Wayne, scomparso nel giugno di quell’anno.
    Jacovitti amava sicuramente lo spirito ribelle della rivista (da quell’esperienza nacque poi Frigidaire, da cui sarebbero emersi disegnatori eccelsi come Andrea Pazienza, Tanino Liberatore, Stefano Tamburini, Filippo Scozzari). Jacovitti andò a disegnare il suo omaggio nella redazione della rivista che si trovava a Roma nel quartiere di Monteverde Vecchio. Fece un disegno in bianco e nero in un silenzio quasi mistico, mentre tutti gli altri fumettisti lo guardavano all’opera, ammirati. Alla fine Jacovitti salutò regalando a ognuno un suo disegno.
    . Il lavoro è adatto per gli Amici del Vitt?? Mah?. Cordiali saluti. Tomaso .

    Prologo
    Vedo Roland Topor che in rue Suger dove Dubout al secondo piano ebbe per decenni il suo studio, che io ebbi modo di visitare anche se sul muro dell’edificio in questione non c’è eppure una targa a memoria, raccatta una pizza al taglio nel cestino dei piccoli rifiuti!! La mangia avidamente pulendosi le dita nel retro dei pantaloni variopinti e poi sospira!! Guardo Roland Topor che di queste cose di pantaloni alla pizza non si interessa e spesso interrogato a proposito e non, ha dichiarato che non nutre odio per nessuno che lo deride per sciocchezze simili,, lui ebreo e perseguitato in tempo di guerra, tanto meno verso verso i criminali nazisti che la pizza non sapevano nemmeno che cosa era!. Ora poi non mi pare in vena di ciance per la faccenda della seconda edizione tedesca di “Pinocchio” illustrata da lui in un momento di giramento di zebedei e gli chiedo: «Mi accompagni in Boulevard de l’Hospital dove devo incontrare la giornalista Gitta Sereny per una intervista su “#Jacovitti e #Hitler/Flitt”???»

    Topor mi guarda come se fossi un alieno: «Ma è la giornalista/storica Sereny che ti deve intervistare, o il contrario???» Io vorrei tergiversare perché tutta la faccenda non è chiara neppure al sottoscritto, però è un argomento che non posso eludere del tutto, quindi ecco alcune parole a mio parere significative: un improbabile aspirante jacovittomane, mi guarda supplichevole e chiede: «Ma Jacovitti, nel mese di marzo 1945, e precisamente il giorno 31, si trovava a Roma per partecipare insieme a Zaccaria Negroni, Dino Bertolotti, Natale Bertocco, Alberto Perrini e altri ancora, a una riunione per definire come e cosa pubblicare nel futuro giornale cattolico dedicato agli universitari che avrebbe dovuto intitolarsi Tavola Rotonda?». A questo ipotetico curioso rispondo: certo, lo so perché io pure ero presente in transfert, anche se vivevo a Carpi (Modena) e avevo otto anni. Ti posso dire anche che in quello stesso giorno nel periodico “Gioventù Nova” si poteva leggere quanto segue: «Lettori e collaboratori, come i cavalieri di Artù, dove ognuno avrà l’impressione di svolgere il ruolo di capotavola. Una voce libera quindi, che esaminerà con giovanile freschezza, non disgiunta da un profondo impegno morale, tutti gli aspetti della nostra tragica epoca». Le persone prima citate si troveranno assise a una simbolica mensa insieme a Jacovitti per definire le caratteristiche della rivista che alla fine prenderà il nome di “Intervallo”. Da “Tavola rotonda” a “Intervallo”, perché? A pagina 19 della rivista “Vitt & Dintorni” dell’ottobre 2008, leggo estrapolando dall’articolo di Antonio Cadoni intitolato “Un amico chiamato Intervallo”, una citazione dell’editoriale del primo numero: “Desideriamo entrare nelle aule tra un’ora e l’altra di latino e, magari, di matematica”. L’originale intitolazione “La tavola rotonda”, diventò una rubrica nelle pagine centrali del giornale. Per farla breve, nel n. 2 di “Intervallo” Jacovitti debutta con il “satirico grottesco” di “Pippo e il Dittatore”, a tutta pagina e in bianco e nero, come tutto il resto. Niente colore: la guerra non era ancora finita, il Nord occupato dai nazifascisti, le città bombardate e in rovina, la fame regnava ovunque. Jacovitti con “Pippo e il dittatore” riprende le fila del suo lungo discorso seriale con protagonisti Pippo, Pertica e Palla, visti dai lettori per l’ultima volta nella storia di genere avventuroso-giallo iniziata nel 1943 e interrotta per la sospensione delle uscite del “Vittorioso” (dal settembre 1943 al maggio 1944), ripartita senza come nulla fosse con la ripresa del giornale.

    Che storia è, questo “Pippo e il dittatore”, probabilmente la prima disegnata nel 1945? Jac scherza con il fuoco, poiché il suo dittatore Flitt e i suoi degni compagni sono tratteggiati come “macchiette”, mentre sappiamo che Hilter e i nazisti erano degli psicopatici assassini di massa. Però alle spalle c’era il film chapliniano “Il grande dittatore”, dove Charlot faceva più ridere che piangere. Da notare che, dopo questa storia, Jacovitti sforna “La famiglia Spaccabue”, vagamente alla Braccio di Ferro di Segar per quanto riguarda pugni e sberle che non si contano. A un certo punto, il direttore e i redattori (suppongo) intimano a Jacovitti di troncare la storia. Il quale obbedisce, credo a malincuore, anche perché ne aveva disegnato tutte le puntate e pure il suo seguito, ossia “Ghigno il maligno”. Poi arriverà “Battista l’ingenuo fascista”, storia social-politica nell’ambito della quale Jacovitti non lesina simbolici colpi al basso ventre a destra e a sinistra. Ma torniamo a bomba al nostro “Dittatore”. La prima ristampa avvenuta nel n. 5 degli “Albi Ave serie Pippo” in formato orizzontale, nel settembre 1948, a causa dell’inevitabile diversa impaginazione ebbe tagliate le vignette, quasi tutta una panoramica e pure
    modificato il testo dell’ultimo quadretto della tavola finale. Nel 1972 l’editore Mondadori lancia sul mercato il mensile “Il Mago” in grande formato: forse per dare fastidio a “Linus” e a “Eureka”. Sul primo numero ecco Jacovitti con la storia del dittatore ribattezzata “Ahi Flitt”. È in tutto simile all’edizione monca dell’albo. La ristampa Conti segue poco dopo, e la musica è la stessa. Di andarci da solo non mi fido a causa della banda di “Master Rokko” che prima ti morde e poi abbaia!!! Sospira e grattandosi la punta del naso Roland inzia il suo eloquio: «prima però passiamo dalla via del Tempio, dove di solito tu in cenci artefatti questui per il rancio giornaliero!» Io sono meditabondo: ma si allunga la strada del doppio! Io ho una certa fretta perché al centro Pompidou oltre a Gitta c’è Zanzibar, che mi attende per definire il mio contratto come primo consulente per la mostra parigina su Franco Benito Jacovitti e il primo dopoguerra che parte il 4 Novembre!!!. Topor guarda il bicchiere mezzo vuoto e ridacchiando bisbiglia; «Attento Prosperino mio, Patrizia è un osso duro, ti romperai i denti e ti ridurrai a masticare con le gengive pane inzuppato nel brodino già preconfezionato in busta! Vieni prima con me al quartiere del tempio che c’è Rebecca che ti darà per pura carità una pagnotta rafferma di pane azimo, per mangiare la quale dovrai lavorare di molari, finché che li hai ancora». Io sono indeciso, pensando a questa faccenda di Rebecca e di questo fantomatico quartiere che disegna storicamente la frontiera occidentale del Marais e raggruppa oggi tre vie medioevali: la via bar del Becco, la via Sainte-Avoye e la via del Tempio. Aperta probabilmente fin dal XII° secolo, la via del Tempio collegava la zona de l’Hotel de Ville e al recinto del Tempio stesso e di fatto separava le terre dei Templari dal “bel borgo” di Saint-Martin des Champs. Questa via si è completamente trasformata dall’immagine della zona della palude e non conserva alcuna traccia del suo passato medioevale prestigioso. A sinistra, procedendo, si incontra un locale La tour du Temple. Qualche reminiscenza rimane…
    Sbuffa il Nostro e gargarizza con voluttà suggendo una pinta di Guiness rossa! Topor schiocca la lingua, fa una serie di risatine e poi si allaccia il tovagliolo al collo ed inizia a mangiare a grandi boccate il famoso maiale tolosano alla brace, il cosiddetto “pasto dell’eroe”. Squilla il telefono e il gestore del Bistrot “Chez Hibou” fa un cenno di richiamo al Nostro e sussurra: «ti cercano, sono Rebecca, lo zio Abramo e Jacovitti…» Topor risponde e riposto il ricevitore mi guarda stralunato dicendo: «Hai saputo??? Corrado Caesar e Benito Jacovitti verso la fine di Giugno 1940 si recarono a Parigi per un colloquio di lavoro con Albert Speer, il famoso “Architetto di Hitler”, per concordare una storia illustrata e scritta a quattro mani sulle peripezie di tre ragazzini nella Parigi occupata dai nazisti per cercare di risolvere l’inesplicabile fatto di una presenza soprannaturale al Louvre, rintanata nella sala dedicata al pittore Velasquez!!! Ma Jac e Caesar avevano in animo un attentato a Hitler e per questo si erano procurati una bomba ad orologeria a forma di orologio da taschino!!!».
    Ecco qui di seguito comunque Las Meninas di Velázquez con presentazione dovuta a un autore del quale non sono riuscito a rintracciare nome e cognome, chiedo venia!!! Diego Velázquez, Las Meninas (le damigelle d’onore), olio su tela, 1656, Madrid. Il dipinto, realizzato ad olio su tela, è uno dei maggiori dipinti del Seicento europeo. Di notevoli dimensioni (è altro ben 3,18 metri!) è oggi conservato al Museo del Prado, a Madrid. Velázquez, pittore di corte a Madrid e in rapporti di fiducia con il re Filippo IV, rinnovò totalmente il gusto artistico della capitale.
    Il suo stile associa la pomposità e lo sfarzo delle vesti dei suoi personaggi all’aspetto più umano della vita di corte, indagato con occhio acutissimo. Pablo Picasso, nel 1957, realizzò un ciclo di 58 dipinti per omaggiare Diego Velázquez e le sue Meninas.

    La serie è oggi conservata al Museo Picasso di Barcellona, per volontà dell’artista. Per il decennio anni 50 la storia qui riproposta è invece lo straordinario Pasqualino Rififì, disegnato in effetti fra la fine del 1958 e l inizio del 1959! proiettato verso il divenire dello stile jacovittesco? Non mi pare proprio, specialmente per l’ambientazione della storia, che il Nostro scelse per poter mostrare qualche barlume di nudità femminile, che il direttore Guasta tollerava logicamente in un ambito che traeva linfa da questi aspetti considerati allora “trasgressivi”!! Storia a fumetti ritornata alla ribalta dopo più di 50 anni di oblio, della quale ho parlato su “Vitt&Dintorni di Marzo 2011”. L’ autore definisce questa storia a fumetti una satira di certa imperante letteratura giallonera d’ oltralpe. Da dove prende le mosse Jacovitti per disegnare questa canizza parisienne? Dal romanzo di Auguste le Breton ( nome anagrafico Auguste Montfort) “Du Rififì ches les homme”s edito dalla francese Gallimard nella sua collana noir e risalente al 1953 ? Mi pare poco probabile! l ‘anno seguente ne venne tratto un film, per la regia Jules Dassin – Rififì – che nel 1955 vinse la palma d oro al festival di Cannes. Il romanzo tradotto in Italia nel 1958 da Garzanti, letto ora denuncia la sua età e una visione irreale di Parigi tenuta in pugno da bande di algerini, corsi e dalla mala di Pigalle e zone limitrofe! Alla fine emerge la solidarietà di tutte le etnie malavitose di Parigi di fronte al rapimento di un bambino- ritenuta cosa inaudita e mai vista- da parte di due algerini “Terracotta”! il film, per chi come me, l’ ha visto molte volte, rimane un capolavoro di tecnica e di espressività girato nell’orbita del neorealismo con riprese all’aperto della realtà parigina come si presentava nella metà degli anni cinquanta!! Circa dieci anni dopo , nel 1965/66, Gino Landi girando a Parigi “Maigret a Pigalle” con Gino Cervi e troupe al seguito, tratto dal romanzo “Maigret au Picratt’s, girerà con subdola arte manipolatoria all’aperto, ma con il metodo del “taglia e incolla”, scene parigine dove sullo sfondo di piazza della Bastiglia si intravedono scenari delle scalinate di Montmartre, ed altri “imbrogli visivi” degni di un visionario senza freni!! Probabilmente Jacovitti vide il film originale di Dassin? canticchiò forse anche la canzone motivo conduttore della pellicola, quel Rififi che da noi in Italia il cantante Fred Buscaglione rese famoso. “Io ve lo dico, sono un dritto, A me nessuno fa dispetto, Lo sanno tutti che è così, perché mi garba il rififì”. Musica di Philippe-Gèrard, parole italiane di Buscaglione-Chiosso. Rififi, era una parola in Argot? Secondo Andrea G. Pinketts il nome era quello del cane di Le Breton: ci dobbiamo credere??? Per i curiosi e i dubbiosi esiste il vocabolario Larousse Du français argotique et populaire. Va beh, son cose che forse se non tutti, molti conoscono. Comunque io le ho scritte e riscritte per i pochi che cercandole sui saggi dedicati a Jac non le hanno trovate. In pratica gli anni sessanta vengono elusi ( si sarebbe potuto includere una storia come Pippo zumparapappà, ancora inedita dopo la prima ed unica pubblicazione su Il Vittorioso del 1962, ma……. ). Alla fine mi sono deciso: ho impacchettato il mio lungo articolo su Pasqualino Rifif’ì storia a fumetti di Jac, iniziato a scrivere nel corso del 2011, che appare all’nterno di“Autobiografia di Jacovitti, 60 anni di surrealismo a fumetti”, Pasqualino Rififì”( poi questo fumetto riappare nel 2018 sul volume numero trenta della collana edita da Hachette , dedicata a Jacovitti e curata dal fenomenale Luca Boschi!! Mi sto dirigendo verso l ‘ufficio postale di Atene ( un quartiere parigino) per spedire il tutto a chi?? Forse alla Redazione de Gli Amici del Vitt?? Mah, non so se ne vale la pena, la redazione ha troppa carne al fuoco, non tutto può passare per la Cruna dell’ago!!! Ho sudato sette camicie, in dieci anni di fatica e sudore ho dovuto superare mille ostacoli, ma alla fine ce l’ ho fatta! Poi l’ineffabile fato userà la mia fatica come meglio crederà! Il tempo a venire è infinito, il piccolo tempo dedicato in vita mia a scrivere per il vitt svanità, all’ininzio pochi lo ricorderanno , poi scomparirà dalla memoria di tutti!! Quindi, perchè soffrire per i miei scritti mai stampati??’ che differeza ci sarebbe stata se anche ne avessi fatto un saggio /diario di quando accadde a Jac e compari??’
    Ciao a tutti! Nel 2024 dove sarò???? L’amico Gesuita fratello Pani è ottimista, io nemmeno un poco!!

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